sabato 29 giugno 2013

Arrivederci, Margherita Hack



Il sorriso più aperto, il coraggio della ragione, lo sguardo più... celeste. Il cielo intorno a lei.

lunedì 8 aprile 2013

Incontro con Daria Bignardi




Da "Il popolo cattolico" di sabato 30 marzo 2013
Continuano gli appuntamenti culturali organizzati dall’associazione Clementina Borghi. Dopo il bagno di folla riservato allo storico dell’arte Flavio Caroli, giovedì 21 marzo è stata la volta di Daria Bignardi, giornalista e scrittrice, ospite della nostra città presso l’auditorium dell’ex Cassa Rurale per presentare il suo ultimo romanzo L’acustica perfetta (edito da Mondadori, titolo e copertina bellissimi) terza fatica dopo il fortunato esordio di Non vi lascerò orfani e Un karma pesante.
La scrittrice, aspetto minuto, battuta e sorriso sempre pronti, come si conviene per una conduttrice consumata come lei, avvezza ai tempi e ai ritmi della televisione, ha raccontato la trama della sua ultima fatica, per poi sottoporsi alle domande del pubblico. “Avevo voglia di parlare d’amore attraverso una grande storia romantica”, ha detto, “salvo poi capire che parlo d’amore per parlare in realtà di qualcos’altro: la ricerca del sé, le incomprensioni, i silenzi, la paura, il dolore”.
Arno e Sara si conoscono da adolescenti, poi non si vedono per sedici anni, si ritrovano da adulti, si sposano, hanno figli: ma un giorno Sara scompare, lasciando un biglietto: “Non posso non farlo”. Inizia qui il disperato viaggio di Arno, musicista della Scala, alla ricerca non solo della moglie, ma inevitabilmente anche di se stesso, costretto dagli eventi a rispondere a domande alle quali non aveva mai voluto dare risposta. Arno è un nome di origine etrusca e significa “promontorio roccioso lambito dal mare”; “Così è il mio personaggio”, dice la Bignardi, “Una persona che crede di avere solide certezze, che non ha voglia di sviscerare il dolore, di capire. Sara sì, invece. Sara è il mare”. Il mare è un elemento che compare spesso nella storia, a simboleggiare la profondità, l’andare a fondo delle cose; al contrario di Milano, città nella quale vivono, ma di cui emerge solo l’idea, a parte il luogo sacro della Scala. Arno è Milano. L’autrice ha scelto di raccontare il punto di vista maschile perché personaggio più complesso, più interessante, “Perché mettermi dalla parte di lui è stato liberatorio” dice ancora lei “ho potuto usare un linguaggio diverso e questo mi è piaciuto molto”. Dopo tanta ricerca e un inatteso finale ci resta nel cuore un personaggio contraddittorio che assomiglia, almeno in parte, a ciascuno di noi, e che, in realtà, amiamo fin da subito, fin dalle sue prime parole, quelle dell’incipit: “Ho amato nella vita una donna sola. Quando mi lasciò non la rividi per sedici anni”.

Daniela Invernizzi




martedì 26 marzo 2013

Israele calling

Non ho letto nulla di Abraham B.Yeoshua, ma ho qui tutti i suoi racconti. Il che non significa molto: sono nelle mie mani, rilegati in uno spesso volume dell'Einaudi, ma da loro non mi separa solo il gesto di iniziare a leggere. Tra me e questo libro ci sono ore e ore che avrei già destinato a figli, lavoro, progetti. Ad altre letture.
Però... continuo a riprenderli in mano e a sfogliarli.
Questi racconti hanno percorso una lunga strada per arrivare qui, sul mio tavolo. Durante il loro viaggio si sono trasformati, hanno cambiato lingua, aspetto, colore, temperatura, ambiente. Ad Haifa, dove sono stati composti in gran parte, ci sono oggi circa 24 gradi e, probabilmente, umori molto diversi dai nostri. Forse, in questo momento, il loro autore è in università. Magari sta tenendo una lezione o sta dialogando con Camus, Beckett, Kafka, i cui echi, leggo nel risvolto di copertina, risuonano nelle sue storie.
Leggo anche che "Tre giorni e un bambino" e "Il poeta continua a tacere" sono considerati i capolavori di questo scrittore israeliano. Io sono attratta dall'incipit di "Le nozze di Galia":

"Capitò silenziosamente, mi colse impreparato. Non feci in tempo a capire cosa e come, e già ero in ginocchio. Mi dibattei convulsamente, ma era tardi. Il mio cuore pianse nelle vene scosse. Tutto era perduto. L'annuncio sul giornale era piccolo: GALIA E DANI SI SPOSANO. UN AUTOBUS PARTIRA' DALLA STAZIONE CENTRALE, ALLE TRE DEL POMERIGGIO, DIRETTO A SUD, AL KIBBUTZ DI SDOT OR".
Erano quelle lettere a rendere il fatto doloroso, non gli occhi profondi di Galia. Le lettere, agglutinate in modo definitivo, decretavano il male, e la pagina bianca del giornale trasmetteva incessantemente una verità infinita."


Yehoshua, Abraham B., Tutti i racconti, Einaudi, 1999.

 

giovedì 21 marzo 2013

Piaceri in corso

Una persona cara mi ha scritto di aver provato un po' di tristezza nel trovare il blog apparentemente semiabbandonato. E' che negli ultimi due mesi ho stabilito di ripartire dai fondamentali: lettura e scrittura. Ho rastrellato la casa in cerca di libri chiusi da tempo, acquistati sull'onda dell'entusiasmo o ricevuti in regalo e solo assaggiati, mai letti. Ne ho elencato i titoli e ho deciso di non comprarne altri finché non ho finito quelli che ho disponibili. Ad esempio, da anni mi ricompare davanti Il giocatore di Dostoevskj. Possibile che ancora non lo abbia ancora letto? E Le novelle per un anno di Pirandello: alzi la mano chi le ha lette tutte. Io no! E allora: ogni giorno, una novella di Pirandello. E' la regola. Certo, come tutte le regole, anche questa può essere disattesa in casi di forza maggiore. Ad esempio, se mi entra in casa il Graham Greene di Fine di una storia, come è accaduto ieri, il "risucchio" diventa inevitabile, e allora la deroga è ammessa. Stessa cosa, se mi imbatto nell'ultimo libro di Gianluca Nicoletti, di cui potete scaricare qui il primo capitolo http://www.librimondadori.it/libri/una-notte-ho-sognato-che-parlavi, e che è collegato a un interessantissimo, visionario progetto (v. anche: http://www.miofiglioautistico.it/).
Questa rinnovata immersione nelle storie degli altri ha riacceso in me il desiderio di scrivere le mie storielle. Ricordate la proposta dello sceneggiatore Fabio Bonifacci, di scrivere sette abbozzi di trama, e poi di scegliere quello su cui lavorare? Ecco, è ciò che sto facendo. Abbozzi di trama (uno al giorno, anche lì con deroga in casi eccezionali), e prove di scrittura a partire da uno spunto qualsiasi. Senza aver fretta di chiudere, gustandomi il percorso e facendomi accompagnare dai veri narratori. Evitando, per il momento, saggi e manuali di scrittura di cui ho fatto indigestione negli ultimi anni. Ritornando alle origini e al benessere che solo una storia scritta riesce a infondere.
Qualcuno ha letto Irving? Se sì, mi date un parere? Nella rubrica "Libri" di Sette, il settimanale del Corriere della Sera (che consiglio di tenere d'occhio), Antonio D'Orrico lo cita spesso. Tra l'altro la rubrica rientra nella categoria "Piaceri". Non posso che sottoscrivere...
Buona primavera a tutti!
Giuliana Salerno

P.S. Dedico questo post al mio amico scrittore Marino Polgati, di cuore :-)




martedì 5 febbraio 2013

Tuttavia.

Eppur si scrive” è stato, fino ad oggi, un corso di scrittura narrativa e poetica di base. Se preferite, un corso di scrittura creativa.
Il che significa: ragioniamo insieme su temi come l’ispirazione e il metodo. Incontriamo i personaggi delle storie, guardiamo come sono vestiti, osserviamo come si muovono, cosa fanno, dove vanno, come parlano, come litigano e come fanno l’amore.
Scomponiamo le storie che già sono state scritte. Inizio, sviluppo, finale. Rimontiamole, mescoliamone i pezzi, riscriviamole. Immaginiamo finali differenti. Chiediamoci: e se invece fosse successo questo? E se invece fosse successo quest’altro?
Scegliamo le voci narranti. Immaginiamone il tono, il timbro, la cadenza. Chi racconta la storia? Che effetto farebbe sentirla da qualcun altro? E se i Promessi Sposi li avesse narrati l’Innominato? O Agnese? Quanto sarebbe stato diverso? Tanto, certo. Eccetera eccetera.
E poi, c’è la poesia. Cosa sarebbe il mondo senza la poesia?
Scriveva Valerio Magrelli quasi un anno fa che la poesia “è un contagio gioioso, sotterraneo, ciclicamente pronto a riemergere improvviso.”
E, oggi più che mai: “... la parola poetica suggerisce e può illuminare proprio per la sua brevità. E questa sembra essere diventata la sua forza. La poesia, diceva Zanzotto, ha l’istantaneità del pixel televisivo, dato che il suo movimento si realizza su quel piccolo telaio di sillabe che è il metro. Ecco perché, di sua natura, si rivela portatile, veloce, trasmissibile. Al pari di una staffetta, infatti, i versi passano di mano in mano, di display in display […]”
“Eppur si scrive”… narrativa e poesia, dunque. Fino ad oggi. Versi e racconti, avendo cura di nascondersi bene dietro le storie che stanno dietro a quei versi e a quei racconti. Soprattutto, dietro a quei racconti.
E avendo cura di scrivere bene. Di scrivere pensando che qualcuno leggerà ciò che abbiamo scritto, e che dovremo far divertire, pensare, rilassare, commuovere, intrattenere. Oltre la scrittura puramente introspettiva, dunque. Oltre il diario che da adolescenti riempivamo di ineffabili (e impresentabili) affanni.

Tuttavia.

E sottolineo, tuttavia.

Se “Eppur si scrive” fosse anche “Scrivere per stare meglio”? Scrivere per guarire. Scrivere per chiarirsi le idee. Scrivere per fronteggiare il dolore. Scrivere per curare le ferite. Scrivere per allenare i muscoli. Scrivere per sollevare lo sguardo. Scrivere per ritrovare la felicità.
 
Questi benefici li osservo su di me già quando scrivo racconti. Mi sento meglio, dopo. E anche durante. Però sono effetti collaterali, non cercati, non voluti, seppure graditi.
Forse si potrebbe lavorare in modo più focalizzato, in un corso che potrebbe chiamarsi, sulla scia del lavoro dell'autrice Louise DeSalvo (edita, in Italia, da Dino Audino Editore),
 
"Scrivere per stare meglio".
 
Vi piacerebbe?

 

Giuliana Salerno


mercoledì 30 gennaio 2013

Semplicemente vivendo - Racconto di Marco Conti


Michele è un ragazzino come tanti. Ha in testa mille idee, mille sogni, mille desideri. Michele è un ragazzino allegro e spensierato. La sua è una famiglia molto unita, in cui i valori hanno ancora un posto importante. La sera ci si siede tutti a tavola, si parla e si scherza; è un momento piacevole in cui tutti si possono raccontare. Mamma e papà ascoltano e ridono delle disavventure che Michele e Simona raccontano, arricchendole di dettagli inventati, giusto perché vederli ridere fa bene, dà un senso di sicurezza impagabile. Per alcuni istanti i problemi e le difficoltà svaniscono nel nulla. Eppure, la famiglia di Michele conosce bene le difficoltà; è una famiglia speciale, ma lui la guarda con gli occhi di un ragazzino per il quale quelle stesse difficoltà, sono la normalità, perché non ha provato altro. E’ normale per lui vedere papà Franco prepararsi la mattina per andare a lavorare indossando sotto gli indumenti quelle grosse cinture di cuoio, che sorreggono la gamba artificiale con cui convive da ormai vent’anni. E’ normale che sia la mamma ad accompagnarlo a scuola a piedi e che sia sempre lei a seguirlo nelle gite, al corso di nuoto, alle feste dei compagni di classe.
Sono gli anni ottanta e per chi è portatore di handicap la vita è dura. Ci sono pregiudizi e barriere architettoniche difficili da superare. Franco è un uomo tenace, non si arrende facilmente. Ogni giorno guarda la vita dritta negli occhi e la sfida. Non sempre vince, ma non si arrende mai, neanche quando tutto sembra essere contro di lui. In casa l’aria non è triste, Franco scherza spesso perfino sul suo handicap, dimenticando incredibilmente la sofferenza patita e le ambizioni e i sogni sfumati a soli ventisei anni. Michele sa per certo che papà Franco non gli farà mai mancare il suo appoggio. I suoi figli sono ciò che di meglio la vita gli abbia dato. Mamma Rita è la colonna portante della famiglia. Il suo carattere forte le permette di accollarsi, oltre ai suoi doveri di mamma, anche tutto ciò che nelle famiglie “normali” spetta al papà. Franco sa che deve molto a Rita e non manca mai di sottolinearlo. Michele frequenta la quarta elementare, ama giocare a pallone in cortile. Franco lo guarda dal balcone con un’aria buona e sembra quasi dispiaciuto nel vedere che suo figlio non diventerà mai un campione. Michele esce spesso da scuola con il suo migliore amico Mattia. Dopo aver percorso un tratto di strada insieme, Mattia lo saluta e sale in macchina con il padre, mentre Michele vedendo quella macchina allontanarsi,  pensa che forse un giorno anche suo padre riuscirà ad accompagnarlo a casa.
I lunghi e nebbiosi inverni del nord, nascondono le difficoltà di Franco. Le settimane scorrono scandite dai soliti gesti, dalle abitudini che si ripetono innumerevoli: il lavoro fino alle 17.30 seduto al banco di un'officina meccanica, poi il ritorno a casa e la serata davanti alla Tv. L'attesa della domenica da passare in famiglia; il profumo della torta e delle lasagne di mamma Rita, la Messa celebrata dal Papa da far vedere alla nonna che non ha la Tv. Michele aspetta la partita di pallone da seguire con Franco con l'immancabile radio a transistor e la schedina sul tavolo. Per certi versi tutto sembra  semplice. Papà Franco adora i suoi figli e nasconde spesso la sua sofferenza dietro sorrisi amari. La malattia di cui soffre da anni, non si è ancora arresa a lui, che ci convive in modo discreto, avendo cura che per i suoi figli, non sia un fardello troppo pesante da portare. Scherza spesso con loro e con mamma Rita. Per certi versi è lui che fa forza agli altri, anche a quelli che non hanno problemi o che si arrendono alla minima difficoltà. Michele ama restare seduto sul divano ad ascoltare papà che racconta i soliti aneddoti divertenti a chiunque lo venga a trovare. Suo padre è molto amato dalla gente che lo conosce.
È l'anima del gruppo degli amici di sempre. Sono gli amici di una vita e Franco lo sottolinea spesso, quasi come fosse un monito per il futuro dei suoi figli. Michele guarda mamma e papà ridere ed il peggio sembra alle spalle, sembra che papà Franco finalmente stia bene, ma sono solo istanti, che lasciano subito il posto alle difficoltà di sempre.
Oggi nevica, Michele gioca nel cortile della scuola dove ogni cosa perde la sua dimensione reale. Persino i rumori ed il vociare dei ragazzini, vengono svuotati della loro naturale consistenza. In questo scenario ovattato e candido, Michele rincorre i compagni di classe nella neve che arriva ormai al ginocchio e che non sembra voler smettere di cadere.
Guardando verso l'alto, ha l'impressione che i fiocchi arrivino tutti da un unico punto lontanissimo. E' infinito quello spazio che lo sovrasta, all'interno del quale si sente un puntino piccolo piccolo. Apre la bocca lasciando che la neve si sciolga sulla lingua ed allargando le braccia si lascia cadere. A Michele, come a tutti i suoi compagni, piace giocare nella neve, ma Michele sa che per suo padre oggi è una giornata più difficile delle altre, sa che avrà grosse difficoltà di equilibrio con la sua gamba artificiale, sa che la sera dovrà aspettarlo davanti al cancello per accompagnarlo in casa.
Un senso di ansia e di inquietudine si fa largo, ma subito viene ridimensionata dalla leggerezza dei suoi anni che lo porta a pensare che dopo tutto, è già successo in passato e che tutto andrà bene anche questa volta. Si rialza e torna a correre con i compagni, al resto penserà più tardi.
Il ruvido e lungo inverno, lascia silenziosamente il posto alla primavera. Michele, seduto in terra con le gambe incrociate, respira a pieni polmoni godendosi la pace di quel momento. E’ bello stare fino a tardi sotto il portico prospiciente la casa dei nonni, dove le prime rondini fanno capolino, alla ricerca di un posto sicuro per i loro piccoli. Ha da poco smesso di piovere, Michele guarda il cielo cercando l'arcobaleno che non tarda ad arrivare. Si alza e calcia il pallone. Papà Franco, seduto sotto il porticato, grida - Dai Miky corri, tira quella palla! - Michele lo guarda e sente la carne tremagli addosso tanta è  la voglia di urlare e di correre verso quel pallone. Suo padre è lì che lo guarda, Michele si gira continuamente verso di lui, lo vorrebbe vedere correre al suo fianco per arrivare per primo. Correndo verso il muro di cinta del grande prato, calcia il pallone con tutta la forza che gli è rimasta. Purtroppo la palla schizza come impazzita oltre il muro, creando in Michele un'angoscia che subito viene spazzata via dall'urlo di incoraggiamento ormai lontano,ma ancora perfettamente udibile, di papà Franco. Ora che è arrivato fino infondo al prato, ora che la stanchezza lo ha piegato in due, Michele si gira verso Franco con le mani appoggiate alle ginocchia e lo guarda da sopra gli occhiali, quasi a voler chiedere un altro incoraggiamento. Franco sorride e applaude, ma Michele lo vorrebbe lì al suo fianco ed allora con tutto il fiato che gli è rimasto, corre verso il porticato, gettandosi fra le sue braccia.
- Che succede Miky? Ti ho visto, sai? Era come se fossi al tuo fianco quando hai tirato e devo dire che hai calciato davvero bene, bravo! - Quelle parole arrivate al momento giusto, squarciano il cielo denso di nubi dell’anima ferita di Michele. Franco lo abbraccia e accarezza i suoi capelli, mentre Michele lo stringe forte pensando che suo padre ha ragione, che per un attimo lo ha davvero visto al suo fianco, correre più di lui.   
Michele ama la primavera, i suoi colori, i suoi profumi. Maggio è uno dei suoi mesi preferiti. Aspetta con ansia la gita annuale che la compagnia di amici di Franco, puntualmente, organizzata con i soldi avanzati o vinti con la schedina. E’ una giornata stupenda, una giornata da trascorrere tutti insieme. Sul pullman, Michele, si siede di fianco a Franco, mentre dietro ci sono mamma Rita e Simona. Gli amici di Franco sono uno spasso, c’è chi canta, chi racconta barzellette e naturalmente anche qualcuno che dorme.     
E' una giornata dal valore unico e Michele se la vuol godere a  pieno. Guarda Franco Rita e Simona da dietro i suoi occhiali da sole e tutto sembra migliore. Con il sole in faccia ed il paesaggio che scappa via veloce risucchiato dalla corsa del pullman, appoggia la testa allo schienale e si lascia cullare dal suo irregolare movimento. Il viaggio non è mai lungo, si va al lago, in montagna, o comunque verso mete vicine in modo che tutta la compagnia possa partecipare senza problemi. La giornata vola via fra risate, musica e l'immancabile visita al museo locale.  Sulla strada del ritorno, il lento morire del sole, racconta di una giornata che è ormai solo da ricordare per sempre; racconta di amicizie vere, di affetti, di speranze e di fotografie che sbiadiranno, ma che custodiranno per sempre quegli istanti, proteggendoli dallo scorrere inesorabile del tempo. Michele guarda Franco dormire serenamente  accanto a sé e sogna ad occhi aperti. Sogna il mare, la spiaggia e suo padre che gli corre incontro con il vento fra i capelli. In lontananza scorge mamma Rita e Simona che preparano i panini da mangiare sotto l'ombrellone tutti insieme. Michele racconta di quanto abbia corso veloce papà Franco e di quanto sia stato bravo a calciare quel pallone..... è bello sognare perché tutto è possibile; anche Franco può correre, anche Franco può passare una giornata con la sua famiglia in riva al mare respirando il profumo della salsedine ed ascoltando il rumore del vento e delle onde. Michele sorride, si appoggia alla spalla di Franco e si addormenta.
Un giorno non molto lontano da quei momenti sereni, Franco in punta di piedi, senza disturbare ne' angosciare nessuno, esce per sempre di scena. In quel letto d'ospedale, dove il suo cuore stanco ha deciso che per lui il tempo su questa terra fosse finito, dove non c'e' stato nemmeno il tempo per dirsi addio, Franco stringe per l'ultima volta la mano di Rita. Mentre fuori la frenesia della vita sembra fermarsi per alcuni istanti, mentre tutto sembra irreale e banale, Michele abbraccia per l'ultima volta suo padre.
Oggi che anche Michele è padre, guardandosi indietro capisce di essere una persona fortunata. Oggi che corre con suo figlio sulla spiaggia, oggi che sente forte quel vento fra i capelli, capisce che suo padre gli ha lasciato qualcosa di immenso che sente esplodere dentro; capisce che suo padre gli ha insegnato tante cose senza troppi discorsi, senza frasi fatte o banali luoghi comuni, ma semplicemente vivendo. Ora davvero capisce il valore dei suoi gesti, del suo coraggio e correndo dietro a quel pallone, lo calcia con forza senza paura di deludere nessuno. Suo figlio è lì che aspetta solo di esser alzato al cielo in un abbraccio. Mentre il sole rosso che si tuffa nell'immensità del mare e la spiaggia che si riempie delle loro impronte vicine, fanno da cornice a quel momento, Michele guarda sereno verso il futuro.

L'AUTORE
Marco Conti è nato a Romano di Lombardia nel 1973. Tra le sue passioni ci sono la scrittura e il... Toro, sbaragliate tre anni e mezzo fa dall'arrivo del piccolo Luca.
 
 


mercoledì 16 gennaio 2013

Prosopopea

Che poi, se mi chiedessero la definizione esatta di "prosopopea", io non saprei mica darla, così, su due piedi.
Perché di preciso, ma proprio di preciso, io non lo so cos'è una prosopopea. Se mi chiedessero un esempio di prosopopea nella letteratura - presupponendo che ne esistano, di prosopopee, in letteratura, e che prosopopea non sia il nome di una variante rosata e curiosamente vaporosa di lana merinos - ce l'avrei, così, d'emblée?
E dopo il primo esempio, ne saprei fare un secondo e un terzo, a memoria e senza googolare o wikipediare?

No.


Congedo del viaggiatore cerimonioso

Per quando vien voglia di tirar giù la valigia. Poi leggi una poesia come questa e non scenderesti più dal treno. Per leggerne ancora. Grazie a Giulio Mozzi, che da Vibrisse mi ricorda sempre cose opportune.

Giuliana Salerno

***

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l?ora
d'arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m'è giunto all'orecchio
di questi luoghi, ch'io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po' di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l'ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell'inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.

(Scusate. è una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch'io mi domando perchè
l'ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l'avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l'uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch'essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).

Dicevo, ch'era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo - ed è normale
anche questo - odiati
su più d'un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos'importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l'ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m'ha chiesto s'io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all'amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.
Scendo. Buon proseguimento.

Giorgio Caproni
(Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee, Garzanti, 1965)






... e decisi di andare a fare due passi.

Dall'archivio delle prove di scrittura. Per chi ha voglia di immaginare il seguito

Un giorno, mentre preparavo il materiale per un corso, ebbi un’illuminazione. Stavo leggendo una teoria scientifica e la stavo integrando col principio enunciato da un giovane ricercatore di un’università americana. In altre parole, stavo collegando due concetti, pensando che fossero la stessa cosa detta in due modi diversi. Ero contento di aver trovato due spiegazioni della stessa cosa, pensando che mi sarebbero state utili con i miei allievi. Poi, però, ebbi, per l’appunto, un’illuminazione. Lessi con più attenzione la prima teoria e mi resi conto che non l’avevo capita fino in fondo. Essa conteneva ben più di un principio teorico, essa conteneva un metodo.
La confrontai con la seconda – quella che credevo la ribadisse e la confermasse – e mi accorsi che i due principi si riferivano ad argomenti diversi, che io avevo erroneamente sovrapposto e confuso. Inizialmente rimasi sorpreso dalla evidenza con cui, dopo quel momento rivelatore, le due cose mi apparivano distinte. Poi mi sentii irritato per la faciloneria con cui ero stato sul punto di trarre in inganno, seppur involontariamente, i miei studenti. Archiviai il documento della lezione e decisi di andare a fare due passi.

[...]


lunedì 14 gennaio 2013

“Eppur si scrive” 2013 - Corso di scrittura narrativa e poetica

Anche quest’anno la Sala Lodi della Biblioteca Civica di Treviglio si animerà per dieci settimane con appuntamenti dedicati a prove di scrittura narrativa e poetica.
Il 9 febbraio 2013 riapre i battenti “Eppur si scrive”, il corso di scrittura creativa patrocinato dall’Assessorato alla Cultura di Treviglio (www.comune.treviglio.bg.it) e, per il primo anno, dall’Associazione culturale “Clementina Borghi” (www.clementinaborghi.it).
“Eppur si scrive” è un corso, un laboratorio, un blog (http://eppursiscrive.blogspot.com) ma è, soprattutto, un incontro di passioni e intenzioni che hanno al centro le parole.
Parole da cercare, da leggere, da scrivere e, quest’anno, anche da trasformare in immagini: una o più lezioni saranno, infatti, dedicate alla scrittura cinematografica.
Il corso si articolerà in dieci incontri settimanali tra le 15.00 e le 17.00 a cominciare, per l’appunto, da sabato 9 febbraio.
Gli incontri sulla scrittura narrativa si alterneranno a quelli sulla scrittura poetica. Letture di brani d’autore ed esercitazioni di scrittura saranno previste a casa e durante le lezioni. I partecipanti potranno ricevere suggerimenti vòlti al miglioramento dei contenuti, della tecnica di narrazione, del lessico e della sintassi dei loro lavori.
Le esercitazioni non saranno obbligatorie, ma caldamente consigliate a chi abbia il desiderio di fare del corso un… percorso di miglioramento della propria esperienza di scrittura.   
Tra gli argomenti proposti:

Scrittura narrativa (a cura di Giuliana Salerno, con un intervento della giornalista Daniela Invernizzi):

  • L’idea narrativa e il processo creativo.
  • La costruzione di una trama. Inizio, sviluppo, finale.
  • Chi racconterà la storia? Il punto di vista.
  • I protagonisti delle storie: costruire personaggi credibili.
  • Il testo è come un giardino: la revisione.
  • Dalla notizia al racconto: quando la cronaca ispira una storia. Differenze tra la scrittura giornalistica e la scrittura narrativa. (A cura di D. Invernizzi).
Scrittura poetica (a cura di Giuseppina D’Agostino)

  • La poesia, sintesi della nostra esperienza del mondo.
  • Il presente e la memoria nel testo poetico. Strategie metriche, retoriche e stilistiche.
  • Il linguaggio, la punteggiatura, il ritmo del testo poetico. La metrica complessa della poesia contemporanea.
“Scrivere per immagini”: il cinema (a cura di Giuseppina D’Agostino)

  • Scoprire il racconto nascosto nelle immagini; punteggiatura, anticipazioni, tempi narrativi, intrecci paralleli della macchina da presa.
  • Raccontare alla rovescia, ovvero il rovesciamento delle regole della narrazione: da Dostojevski a Woody Allen.
  • Analisi del film Match Point di W. Allen.  

Le docenti del Corso

Giuliana Salerno, redattrice editoriale, blogger e mamma di Dario e Bruno (non sempre in quest'ordine). Ha ereditato l'inquietudine delle natie terre vesuviane e studia bergamasco con scarso profitto e con la speranza di integrarsi, un giorno, nelle comunità che lo parlano.
Giuseppina D’Agostino, giornalista e docente. Ha lavorato presso l’Università di Genova alla cattedra di Storia e critica del film e, con un master in Comunicazione, si è dedicata al giornalismo lavorando per importanti testate nazionali. Le piace giocare con i versi e con le storie, perché alla fine, scrivere è un gioco con molto divertimento e qualche regola...

Daniela Invernizzi, speaker radiofonica e giornalista professionista, nasce cianotica a Bergamo il 22 gennaio 1966.
Sopravvive, e prosegue felice la sua vita a Treviglio con mamma, papà e due fratelli.
Sopravvive anche al liceo classico, insiste con l’università, nella speranza di fare giornalismo serio.
Ma arriva per caso alla radio, si diverte troppo, ci resta. Scrive per professione e per piacere.

Il costo di partecipazione al corso è di 120,00 Euro.

Per informazioni:

tel.: 349 55 99 101


Per iscriversi:

tel.: 0363 317 502/503
e-mail ufficio.cultura@comune.bg.it

domenica 13 gennaio 2013

Un Natale - Racconto


L’ho amata.
Follemente, perdutamente, disperatamente.
Forse qualche volta anche lei mi ha amato.
È probabile che io l’ami ancora, altrimenti perché svegliarmi di notte e, pur sapendolo impossibile, sentire il leggero profumo del suo corpo nell’aria, dopo avere sognato, baciato, assaporato ogni centimetro della sua pelle, dopo averla guardata a lungo negli occhi mentre eravamo nudi abbracciati, dopo avere toccato il cielo ed essere andato oltre.
Solo sogni, eppure così veri, intensi, pieni di dolcezza, sentimento e passione.
Mi alzo a farmi un caffè e una doccia.
È Natale e il tavolo in sala è ingombro di regali. Devo preparare la faraona ripiena, è la prima volta che la faccio ma credo verrà abbastanza bene. In genere mi viene bene tutto quello che faccio per la prima volta, la seconda invece è deludente.
È da un po’ che sono ai fornelli, suonano alla porta. Mio figlio con la sua specialissima donna, simpatica, divertente, acuta e bella. Svegliamo mia figlia, risveglio lento da bradipo, prima un dito, poi l’altro, poi la testa che si gira e le labbra che si muovono nel tentativo di spiccicare un “Ciao, Buon Natale”.
Qualche minuto ancora, poi via a scartare i regali.
Non è la stessa cosa di quando erano piccoli e ad ogni regalo c’erano occhi stupiti, sgranati, pieni di magia. Ricordo ancora l’enorme trattore giocattolo che regalai a mio figlio quando aveva tre o quattro anni. Una fatica enorme nel portarlo su dalla cantina e poi impacchettarlo all’una di notte cercando di non fare rumore per non svegliare la moglie che stava male ed i figli che avrebbero altrimenti visto me al posto di Babbo Natale. Non arrivava ai pedali, mio figlio, ma aveva la felicità dipinta sul volto. Ci giocò fino a quando, ormai troppo grande, non riusciva più nemmeno a starci dentro seduto nel seggiolino.
Basta poco per essere felici a quell’età, poi cresci e, con questa intensità, non accadrà più per tutta la vita.
O almeno, la felicità durerà solo attimi e avrà comunque sempre un sapore amaro.
Era diventata sera, ormai, e anche questo Natale era passato.
A questo e ad altro pensava Matteo, cinquantenne vedovo ed “esistenzialmente” stanco. Vedovo da pochi anni, stanco da quasi sempre.  Si sedette all’aperto, sul lato buio della casa a guardare il cielo.
Faceva freddo ed il cielo era limpido.
Le stelle sembrava avessero paura, la loro luce era tremula e nell’aria c’erano come strane vibrazioni.
Un senso d’oppressione riempiva aria e polmoni.
All’improvviso il grande prato sembra muoversi, alzarsi.
Nella luce debole della sera un’ombra sempre più grande sembra uscire da sottoterra per innalzarsi altissima.
Pezzi di terra, sassi, erba e anche qualche albero si alzano di molti metri e poi ricadono di fianco. La casa trema dalle fondamenta, si stacca qualche pezzo che cade vicino a Matteo che rimane fermo, non capisce, non sa cosa fare e aspetta.
Poi il silenzio, immobile, innaturale.
Il prato non c’è più, o meglio, dove c’era il prato ora c’è un piccola collina, quindici o venti metri di altezza, roccia e terra.
Cosa era accaduto.  
Matteo aveva assistito alla nascita di una collina nana. Forse a migliaia di chilometri di distanza due placche continentali si stavano affrontando, opponendo le loro immani forze e lì, nel prato a qualche decina di metri da casa sua, si era parzialmente sfogata una parte di quella forza.
Se così fosse stato, quella collina sarebbe cresciuta fino a diventare montagna, e insieme a questa chissà quante ne sarebbero spuntate lì attorno. Nel volgere di qualche millennio, forse sarebbero diventate le nuove Alpi.
Aveva assistito a quello a cui nessun altro uomo aveva mai assistito prima. l’inizio, la nascita di una catena di montagne.
Doveva considerarsi fortunato, solo gli dei avevano questo privilegio! Eppure, tutto questo lo lasciava quasi indifferente. Quasi, perché avrebbe dovuto cambiare casa, quella sarebbe certamente caduta nel giro di qualche anno, forse solo mesi o giorni. E poi il suo terreno che era pianeggiante e agricolo sarebbe diventato impraticabile per l’inclinazione, per la roccia e per l’altezza che avrebbe raggiunto.
Certo, forse avrebbe potuto accampare diritti sulla proprietà di quella montagna, ma per farne cosa? Alberghi, impianti di risalita e campi da sci. Che palle, che freddo e che sbattimento.
Che Natale di merda aveva passato Matteo quest’anno.
Meglio andare a dormire, sperando di sognare ancora di lei, dei suoi baci e del profumo del suo corpo.
Il nuovo Monte Bianco poteva attendere, tanto era appena nato!!!

Marino Polgati

mercoledì 9 gennaio 2013

Corso di scrittura narrativa e poetica

Il 9 febbraio inizia il corso di scrittura narrativa e poetica. Se scrivere è parte della tua vita o vuoi che lo diventi, vieni a farlo con noi. Troverai un contesto accogliente e stimolante. E ti verrà chiesto di leggere e di scrivere tanto. Informazioni al 349 55 99 101. E-mail: giulianasalerno@yahoo.it

Giuliana Salerno




lunedì 7 gennaio 2013

La cioccolata - Racconto

E piove anche oggi. Sono veramente stanca. Continuo a leggere questi fogli: animali che perdono la pelle se qualche predatore li attacca e riescono a farla ricrescere. Mi ricorda la leggenda di quelle creature della mitologia irlandese che da foche si trasformavano in donne dopo aver  perso la pelle... sarebbe una storia interessante per il mio sito. Allora dai, lavoriamo.
Niente, oggi non riesco. Forse è il caso di uscire, fare un giro a piedi, magari con il cane: la bestiolina mi guarda con aria pietosa da un po’. Ho come l’impressione che sappia leggere nel pensiero.
Dai, andiamo.
Sai che mi piacerebbe fare? Andare al bar e prendere una cioccolata. Dai, canina, oggi ci bagnamo ma ne vale la pena.
Arrivati al bar ci sediamo e il padrone del locale si avvicina, speriamo che non mi chieda di uscire perché sono con il cane: oggi non lo sopporterei. Invece fa una carezza alla cagnolina, che stranamente non finge di essere feroce, e mi chiede se voglio qualcosa. Qualcosa?
“No, sono venuta solo per la cioccolata, quella mitica cioccolata cremosa e profumata che fate in questo posto”. Sicuramente avete qualche ricetta segreta, tramandata dai tempi degli Aztechi.
L’uomo ride ma non tanto, forse è proprio così. In attesa di gustare l’agognata bevanda  apro un libro che avevo iniziato a leggere e che avevo dimenticato nella borsa. Magari non mi stava piacendo, però posso riprovare. Leggo qualche riga e mi ricordo... noioso e lento. Lasciamo stare. Leggo troppi gialli nordici e non riesco più a sopportare la scrittura rallentata e fumosa.
Un profumo atteso colpisce i recettori delle mie narici, sento molecole di piacere che si allargano sulla mucosa seguendo il ritmo involontario del respiro. Nell’aria che assorbo sento musiche e profumi venuti direttamente da un mondo antico e misterioso. Chi ha inventato la cioccolata forse era un mago innamorato e doveva ammaliare una donna fredda e distante, una regina altera, difficile da incontrare. Difficile da amare.
Così penso, mentre il padrone del bar mi guarda scuotendo la testa e, battendo leggermente sulla spalla, cerca di attirare la mia attenzione. Ma la mia mente è altrove. In un posto lontano, in un tempo lontano, alla ricerca dell’uomo che riuscì a far innamorare una donna donandole una cioccolata.

Gianna