Eccoci alla terza e penultima puntata del nostro racconto
momentaneamente senza titolo.
Anche questa settimana vi propongo quattro dei contributi
che mi avete inviato all’indirizzo giulianasalerno@yahoo.it.
Ciascuno di questi prende spunto dai precedenti sviluppi. Vi ricordo che la prima puntata (ovvero il “testo base”) la potete leggere qui, mentre le “seconde puntate” sono qui.
È arrivato il momento di concludere le nostre quattro possibili storie. Vi chiedo, dunque, un ultimo sforzo: ripartite da uno dei quattro sviluppi che troverete sotto (AB, AB1, BC o CD) e producetevi in un gran finale!
Anche per questa settimana vale la regola che chi ha già scritto dovrà prendere le mosse da uno sviluppo creato da qualcun altro. Tuttavia, potrà benissimo ripartire, se lo gradisce, da una storia di cui aveva realizzato la seconda puntata. Ad esempio, se Daniela lo desidera, può ripartire dallo sviluppo AB di Giuliana Annesi, il quale, a sua volta, scaturisce dallo sviluppo A di Daniela.
A proposito: pensiamo anche a dei titoli?
Vi aspetto!
Giuliana
Salerno
Testo base
↓
Sviluppo A (di Daniela Invernizzi)
↓
Sviluppo
AB (di Giuliana Annesi):
[…] Lidia
dimenticò di respirare. La fissava, incredula, e non respirava. Riemerse di
colpo dall’apnea e si mise a tossire, forte, quasi piegandosi in due. L’altra
mosse un passo verso di lei, sul viso una smorfia di preoccupazione e di
disagio. Lidia alzò una mano come a dire “Tranquilla, non sto morendo” e
l’altra si bloccò al centro della sala.
Disse alla
donna: “Mi scusi un attimo” e andò in cucina. Prese un bicchiere lo riempì
d’acqua sotto il rubinetto. Le tremavano le mani. Si costrinse a berlo tutto, a
piccoli sorsi. Quando lo posò, si sentiva meglio. Un bambino! Dio mio, un
bambino! Scoppiò a ridere, una risata che suonava isterica. Pensò a quanto
tutto ciò fosse ironico, in fondo Alfredo lo aveva sposato proprio per farci
dei bambini, prima o poi. E lui, invece, un figlio l’aveva fatto altrove, con
un’altra. E bravo Alfredo. Avrebbe dovuto sentirsi ferita, in realtà non lo
era. Certo, era stato uno shock, ma non sentiva dolore. Al contrario, si stupì,
si sentiva sollevata, come se le avessero tolto un grosso peso di dosso, come
se le avessero fornito un alibi contro un’accusa d’omicidio. Perché l’omicidio
del loro matrimonio non l’aveva commesso lei, ma Alfredo. Lei era assolta. Lei
ci aveva provato, se non con entusiasmo, con senso del dovere; lui si era
semplicemente fatto i comodi suoi. Tornò in soggiorno da quella donna che, più
pallida di quando era entrata, la fissava quasi con terrore, forse aspettandosi
di vederle sfoderare un coltellaccio da cucina. Le sorrise e, con dolcezza le
disse: “Prego, si accomodi. Non le fa bene stare troppo in piedi”.
***
Testo base
↓
Sviluppo A (di Daniela Invernizzi)
↓
Sviluppo
AB1 (di Giosuè Jemma):
[…] Un’affermazione così perentoria, a bruciapelo, le tolse il
fiato, ma non tanto da non riuscire a sussurrare
“Si accomodi.”
Poi, ripreso velocemente il controllo delle sue emozioni:
“Venga, si sieda, anzi, siediti. Sai certamente che mi
chiamo Lidia, e tu?”
Stendendo la destra che l’altra strinse con vigore
trattenuto si diresse al divano, in salotto.
“Francesca,” fu la risposta arrivata mentre si accomodavano
una di fronte all’altra.
“Allora... penso di non essere indiscreta chiedendoti come
è iniziato,” esordì Lidia dopo un lungo e intenso scambio di sguardi, gli occhi
negli occhi.
“Alfredo è un mio collega, o meglio il mio superiore, io
sono la sua segretaria,” esordì Francesca “e fin da quando lavoriamo insieme,
da più di dieci anni, ho nutrito per lui una stima crescente che nel tempo s’è
trasformata in amore, in un amore profondo, una passione che sta minando le
fondamenta del mio matrimonio. Non ti stupire se ti confesso che amo, se così
posso dire, anche mio marito, padre di mio figlio. Certo, con lui non c’è la
passione travolgente che provo tra le braccia di Alfredo, ma sono accorta a non
fargli capire che il mio amore è per un altro.
Ma non riesco ad andare avanti così, ed ora questa
gravidanza mi costringe a…”
“E dove consumavate, perdona la crudezza del termine, ma
vista la situazione è il termine corretto, dove vi incontravate, dicevo, per dar sfogo alla vostra passione?”
interruppe Lidia.
Un lieve rossore apparve sulle gote di Francesca che
continuò:
“Beh vedi, nella nostra azienda i Direttori hanno una
saletta riunioni, attigua al loro ufficio. È un ambiente solitamente molto
tranquillo, quando non si riempie di scalmanati duranti gli staff meetings. E quello di Alfredo,
poi, guarda sul giardino e dal quinto piano la vista spazia sui campi in
lontananza... insomma, un ambientino delizioso arricchito anche da un
divano...”
Lidia s’era ripresa dallo shock iniziale, shock dovuto alla
certezza d’avere, da tempo, un bel paio di corna. E mentre l’altra parlava, lei
passava rapidamente in rassegna gli anni trascorsi a fianco del marito
fedifrago. Ora si spiegava i ritardi serali, i mancati pranzi insieme (doveva
pur pranzare qualche volta con la segretaria, le diceva lui) e alcune, non
tante in verità, défaillance nei rapporti sessuali. Ma lei li imputava ad altri
problemi...
“Capisco,” riprese seria Lidia, dimostrando comprensione –
“una situazione invidiabile. L’ideale per scopare in libertà. Libertà doppia
perché, vedi: Alfredo – nonostante tutti gli esami e le inutili cure – è
sterile, sterile dalla nascita. Ovviamente l’ho scoperto dopo il matrimonio,
quando i figli non arrivavano…”
***
Testo base
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Sviluppo B (di Giosuè Jemma)
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Sviluppo BC (di Marina Arnozzi):
[…] Oddio! C’era quel senso di sicurezza che Alfredo comunque ancora le
dava e lei, in fondo, gli voleva bene ma, ormai, erano più fratelli che
coppia. Le sembrava di combattere una battaglia, ormai quotidiana, tra
ragione e desiderio. Ma si va in battaglia per vincere o morire e lei non aveva
ancora voglia di morire di noia e di abitudine per un matrimonio stantio.
Voleva vincere! Voleva vincere, soprattutto, sugli anni che incalzavano inclementi.
Il tempo era poco, ma sufficiente per restituirle emozioni e sensazioni ormai
quasi scordate. E se il fato non avesse voluto portarle un nuovo amore,
pazienza! Avrebbe comunque dato una bella botta alla sua vita.
Basta! Deciso!
Subito si sentì più leggera.
E l’occasione
si presentò dopo qualche giorno, quando il suo capo le comunicò che era
necessaria la sua presenza nella filiale di Parigi per risolvere una grana.
Parigi! La
città dell’amore, la città dove lei e Giulio, appena ventenni, erano andati per
un week-end.
Immagini di
quei giorni, come scatti fotografici, le tornarono alla mente. Loro due,
felici, sulla torre Eiffel o lungo i boulevards, Giulio che non perdeva
occasione per declamare versi di Prévert, il loro poeta preferito “Questo amore
Così violento Così fragile Così tenero Così disperato…”
“Dov’è finito
questo amore e tutti gli amori che l’hanno seguito...” Lidia provò dolore per
tutti loro ma realizzò che una ferita, per guarire, ha bisogno di essere
lasciata aperta, all’aria, e che il "cerotto Alfredo" aveva solo
coperto... protetto... povero Alfredo! Era necessario strapparlo.
E con
quest’animo si preparò per il viaggio di lavoro.
***
Testo base
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Sviluppo C (di Marino Polgati)
↓
Sviluppo
CD (di Daniela Invernizzi):
[…] Sarebbe partita.
Non voleva lasciare Alfredo.
Non ancora, almeno. In realtà non sapeva cosa avrebbe trovato in questo
viaggio, né cosa stesse cercando veramente. Forse la conferma che non c’era
proprio niente da cercare. Che andava bene così. Che le sue erano stupide,
banali fantasticherie irrisolte.
Ma sentiva che doveva
andare, là dove l’amore dei vent’anni l’aveva sfiorata e lei non lo aveva
capito, riconosciuto.
Guardò in Internet gli orari
dei treni: c’era solo l’imbarazzo della scelta per raggiungere Roma. Prenotò un
Frecciarossa per l’indomani, senza pensarci troppo.
Quella sera Alfredo aveva le
sembianze di un cane bastonato. Lidia spiegò le sue ragioni, la sua voglia di
fuggire, il suo bisogno di capire. Ma quello che Alfredo vedeva era l’ennesimo
fallimento della sua vita. Un’altra relazione, come le precedenti, miseramente
terminata. Senza che ci fossero grandi drammi, irrisolti problemi, scontri,
cattiverie, ripicche o tradimenti.
Per un nulla. Per niente.
Finita e basta.
Lidia chiese perdono,
cercando di rassicurarlo che la porta era ancora aperta, che non era finita;
ma non sembrava molto convincente,
neppure a se stessa.
Partì, in una mattina
impietosa e fredda, con una valigia scassata che non la voleva seguire. Per un
attimo si sentì ridicola, pensò : “Stupida, ma dove
vai?”, ma fu solo un attimo.
Alfredo la osservava dalla
finestra, sorseggiando una tazza grande di caffè d’orzo. Pensò che forse
avrebbe dovuto aiutarla, accompagnarla alla stazione, ma poi, no, si disse,
sarebbe stato come approvare.
Un moto di rabbia gli salì
al petto, sgorgò in una lacrima, finì nella tazza del caffè.
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