giovedì 26 maggio 2011

Biografia di Sara M.

Sara M. ha compiuto i trentasei anni il ventisei febbraio 1975. Nata nel mese del carnevale ne conserva lo spirito. Si specchia nel duplice e sognante segno dei pesci e nel combattivo ed irruente ascendente nel leone.
Vive con la madre, la sorella e il nipote in una vivace e rumorosa famiglia allargata.
Da bambina sognava di fare la scrittrice, ma si è quasi convinta che è giusto rimanere distanti dai propri ideali. Che ideali sarebbero sennò? Ha lavorato diversi anni come odontotecnica e studiando la sera si è presa una laurea in scienze dell’educazione. Dal 2006 lavora come educatrice in un centro di aggregazione giovanile (servizio comunale per adolescenti con attività extra-scolastiche) e al mattino vagabonda in diverse scuole per assistere alunni disabili. Attualmente pensa a che si inventerà domani per sopravvivere ai tagli economici del settore.
Dopo un lungo fidanzamento seguito da una breve convivenza, un fidanzato giovane e troppo innamorato,da qualche anno è single e si dedica alle sue passioni. Ha sperimentato poco più che ventenne la pittura figurativa per poi passare attualmente alla fotografia. Si è divertita seguendo a livello amatoriale dei corsi e una scuola di teatro. Le mancava giusto giusto il ritorno ai sogni dell’infanzia e da quest’anno ci prova con la scrittura. In fondo, si illude di avere un po’ di cose da dire, anche se fatica a disciplinarsi in una direzione, ma che volete… la vita irrompe e la distrae.
Porta i capelli come la chioma di un albero e le piace quando il vento glieli scompiglia.

Sara M.






lunedì 23 maggio 2011

The Funeral - Racconto di Anna Martinenghi

Sono morta stupidamente, come stupidamente ho vissuto. Solo un’idiota come me poteva imboccare un senso unico al contrario per rispondere ad un SMS. Ho avuto ciò che meritavo, non avevo nemmeno la cintura allacciata. La chiamano “selezione naturale” ed è giusto così, ma lasciatemi dire; di certo non sono stata un esemplare particolarmente evoluto di essere umano, ma ho avuto una morte coerente con la mia vita, in fondo sono sempre stata “un vero schianto”, una bellezza da urlo e la morte mi ha risparmiato la depressione della vecchiaia.

“Che spreco…” ha commentato il pezzo di pompiere che mi ha estratto dalla mia scatoletta di metallo. È stato il primo complimento da defunta a e l’ho trovato davvero magnifico.
 Sapete che vi dico? Io da morta mi trovo benissimo, non avrei mai pensato… Si dicono un sacco di cose sbagliatissime sulla morte mentre si è vivi e invece dovreste provare, è una figata pazzesca!! A me non ha fatto per niente male, anzi; ora sto da Dio e non è un modo di dire, Dio ha certi appartamentini che non potete nemmeno immaginare! La cosa meravigliosa è che qui ogni pensiero diventa reale: mi è sparito quel filo di cellulite che solo io vedevo sui fianchi, non devo più barare sull’età e posso mangiare qualsiasi cosa, senza ingrassare!

Sì lo so che vi manco, ma non sono mica sparita! È solo che voi non potete vedermi perché mi trasmettono su un canale per cui non avete ancora il decoder, ma portate pazienza è questione di poco. Mi hanno spiegato come funziona, ma non ho capito tanto bene perché è un po’ complicato. Qui c’è l’eternità, il tempo fermo; non c’è oggi, non c’è domani, ma c’è il sempre. Voi siete già qui, cioè lo siete, ma non ve ne accorgete perché dovete aspettare che passino gli anni che vi mancano per morire, anche se qui sono già passati. Insomma è una specie di fuso orario che non so spiegare, ma tranquilli, quando arriverete i giardinieri vi spiegheranno tutto. (io mi aspettavo degli angeli a dire il vero, ma qui ci sono tantissimi giardinieri e assomigliano inspiegabilmente ai Village People).

Ora però devo andare, stanno per dare in streaming il mio funerale e non posso perderlo per niente al mondo. Sì, so che può sembrare una cosa macabra; io che vi guardo piangere, ma siccome so come va a finire, posso permetterlo.. E poi in fondo metà delle persone che partecipano mica mi volevano bene, seee… non mi sopportavano per niente. Sono proprio quelle che voglio vedere. Ecco, ci siamo: ma guarda come si è vestita la Sabri per il mio funerale! Miniabito rosso e sandali di vernice, vi sembra un abito adatto ad un’amica inconsolabile? Quella ha sempre rosicato perché io ero più bella di lei e adesso fa festa, perché senza di me è quasi accettabile..

E guarda chi c’è! Noo anche la Mary, ma se ha smesso di parlarmi all’età di 7 anni perché non le prestavo la Barbie “Miss America”, ipocrita che non è altro... ora fa l’amica d’infanzia con la faccia triste, triste. E come si permette la zia Gemma di piangere?! Vecchia coccodrilla che non è altro, non mi ha mai potuto vedere perché ha due figlie che fanno paura al buio.. E cosa vedono i miei occhi? Mia sorella si è presa la mia borsa di Gucci; non ci posso credere!! Non ha aspettato neanche un giorno, moriva dalla voglia di avere quella borsa e invece sono morta io! Grr..

Sapete che vi dico, non è affatto divertente! Passatemi il telecomando che cambio funerale.. anzi no, esco con Marilyn a bere un aperitivo e poi giardinieri preparano un ottimo strudel, che qui le mele non mancano…


Laboratorio

Ciao Giuliana,
vorrei scrivere qualcosa per i miei compagni di penna.
Sono stati dodici incontri davvero coinvolgenti. Quel sabato di febbraio ha segnato, per me, l’inizio di qualcosa che non riesco bene a definire ancora, come tutto ciò che è destinato a lasciare un segno nel proprio percorso. Ne ho avuto la conferma oggi leggendo l’emozione negli occhi di tutti mentre ascoltavamo Anna Martinenghi. C’era una vibrazione speciale nell’aria.
Sono contenta di aver conosciuto tante persone che condividono la stessa passione e che vogliono scrivere per l’unico motivo che dovrebbe spingere uno scrittore a farlo: lasciare una traccia di sé condividendo le proprie emozioni con chi lo leggerà (alla faccia di Moccia e i suoi vari acronimi 3MSC e i vari “scusami...” – forse dovrebbe scusarsi lui con un po’ di gente...).
Anche a costo di sembrare sentimentale, voglio ringraziarvi tutti e spero davvero che questa esperienza possa ripetersi.
Daniela B.

venerdì 20 maggio 2011

La voglia del foglio - Poesia di Anna Martinenghi

Voglia
di
un
foglio
bianco,
- intatto -
coltre
di neve
su cui
nessuno
ha
camminato.

Potrei
piegarti
(o pregarti?),
e
fare di te
una
barchetta
con cui
andare
lontano
nel lavandino,
ma
voglio
uno spazio
in
cui esistere,
disegnata
a matita,
e su
cui
scivolare
con
l’inchiostro
in mille
scarabocchi
che
urlano,
senza
parlare.

TU
LEGGIMI



giovedì 19 maggio 2011

Il bambino con i sassi in tasca - Racconto di Laura F.

Penso al bambino che sei stato.
Al Puccio che non ho conosciuto, ma di cui mi hai detto…
È un mattino di febbraio degli anni ’50, con l’aria fresca e aspra che segue  una notte ripulita dal vento. L’arco rosato delle montagne, in lontananza, fa da sfondo alla cascina. 
Ti eri svegliato di colpo, nel buio, per lo sbattere secco di una persiana e ti eri alzato, incuriosito, ad ascoltare il respiro della vecchia casa e ad osservare l’aia illuminata dalla luna. 
Il cane dormiva, il lungo corpo abbandonato sotto il tuo sguardo: hai sorriso al pensiero della limpida giornata che vi attendeva, con i primi sentori di primavera. 
Ma il freddo della stanza buia ti attanagliava piedi e caviglie: svelto ti sei infilato nel calore sicuro del letto. I tuoi pensieri si son fatti confusi e sei ritornato a dormire, nell’immaginario dei sogni.
Era la carezza della mano nota della mamma quella che ti ha svegliato, il mattino dopo, come tutte le mattine della tua infanzia; sua la voce premurosa e sollecita che t’invogliava ad alzarti. La scuola ti aspettava! 
Nella grande cucina al pianterreno fumava la tazza di caffellatte col pane; i sassi – tratti dalla stufa – erano pronti ad esser messi nelle tasche del tuo cappotto, così che ti potessi scaldare almeno le mani lungo il tragitto verso la scuola.
Avresti tenuto duro contro il freddo, voltandoti una sola volta a guardare l’imponente cascina che lasciavi là a destra. Il tuo sguardo già correva alla lunga strada bianca diritta, sul cui fondo si stagliava il nostro campanile, punto di riferimento di tutta la Bassa bergamasca, da sempre.
Attento e curioso, prendevi idealmente nota dei grossi platani che si allineavano lungo i fossi, con i sottili rami che disegnavano una raggiera sopra di te, contro il cielo luminoso di quel freddo mattino di fine inverno. I campi, punteggiati dai casotti dei contadini, mostravano larghe pozzanghere 
alternate ai solchi di terra corposa, pronta a ricevere le nuove sementi.
Lungo il cammino quotidiano, Puccio è pensieroso: un’occhiata al becchettio dei passeri e al baluginare dei pallidi fiori primaverili. 
A volte sente la rabbia mordergli il cuore. 
A volte è invece un acuto senso di malinconia che lo fa sentire tanto solo quanto intirizzito. 
Ma poi tocca i sassi caldi, in tasca, e sorride al pensiero della mamma, delle sue premure e del suo amore…
Sono insolite in un bambino, invece, le riflessioni che giungono a fargli compagnia lungo il suo faticoso cammino: vorrebbe proseguire la marcia oltre la scuola, percorrendo strade diverse, sino ai treni che portano in vite, città e mondi sconosciuti. Quelle idee che gli frullano in testa son come presagi della sua vita futura: Puccio sente dentro una grande energia che vuol vivere, un’accentuata sensibilità che lo muove. Desidera andare oltre un’esistenza che già avverte molto stretta, addosso.
Puccio è rimasto in te: con lui fai ancora i conti, con lui a volte mi sembra d’avere a che fare…
Credo comunque che nulla del bene che ti è stato donato nel’infanzia sia andato perso.
Quel mondo vive in te e in ciò che fai: io osservo, ti guardo, comprendo.
Laura F.



Sabato 21 maggio - Incontro con l'autrice Anna Martinenghi

Cari lettori perduti e ritrovati, vicini e lontani, intenti e distratti, occasionali e fedeli (qualcuno mi fermi),
vi ricordo che sabato l’autrice Anna Martinenghi sarà con noi per raccontarci come è arrivata a comporre versi e a narrare storie.

È il modo più bello per salutarci, visto che è l’ultimo incontro di “Eppur si scrive”. Ed è anche un modo per ricordarci che la scrittura continua oltre il nostro laboratorio. Oltre le esercitazioni, oltre il tempo che abbiamo condiviso, oltre le mura della biblioteca, noi continuiamo a scrivere.

Giuliana Salerno


Autobiografia esageratamente parziale di Marino P.

Sono nato alla fine del decennio del Rock n’roll, ma qui in Italia quasi nessuno ne aveva notizia, intendo sia del Rock che della mia nascita. Non ho grandi ricordi da bambino, se non qualche raro flash che ogni tanto mi “sale” e mi regala sensazioni o emozioni che subito cerco di tramutare in racconto. Ma una cosa me la ricordo bene perché ha segnato per tutti gli anni futuri il mio modo di vedere le cose della vita.
Avevo forse cinque o sei anni quando arrivò il televisore a casa mia. Di fatto era un mobile in più, preziosissimo, nascosto da una copertina ricamata per salvaguardarlo dalla polvere. Ma quella sera vidi qualcosa di magico. Delle piccolissime persone si muovevano sullo schermo luminoso. Mia madre concesse a noi figli di stare svegli, solo per quella volta, e rimanemmo rapiti davanti alla TV. Era il mio primo film: Il fornaretto di Venezia. Piansi per giorni e giorni, inconsolabile per la morte ingiusta di un innocente e per la rabbia che provavo nei confronti di chi sapeva di quell’innocenza ma aveva taciuto. Morte che, detto in confidenza, pensavo fosse accaduta proprio nel preciso momento che io l’avevo vista. Meravigliosa ingenuità di bambino!
Dopo una banale fanciullezza venne l’adolescenza che coincise con il decennio più fantastico che il mondo, ed io con lui, abbia visto: gli anni ’70. Anni di sogni di giustizia e libertà, anni di creatività assoluta e sperimentazione artistica, anni d’amore, ma anche di odio e di sangue. In quegli anni conobbi Maria Grazia. Aveva quindici anni e io diciassette, lei decise che dovevo essere suo e di nessun altra.
Cominciarono poi gli anni ’80, compivo ventidue anni mentre, con mia sorella, portavo via mia madre da un ospedale perché non potevo credere a quanto mi avevano detto i medici: le restavano quindici giorni di vita. Non poteva essere vero! La portai in macchina, dopo una breve sosta per farle salutare per l’ultima volta la nostra casa, nello stesso ospedale dove stava morendo mio padre. Almeno si sarebbero visti ancora per qualche giorno. I medici, quella volta, non avevano sbagliato. Ricordo il dolore diviso con i miei fratelli, la tristezza del rientro a casa dal lavoro con la porta chiusa, nessuno in casa a far famiglia finché non arrivava mio fratello e, in silenzio, si mangiava.
Dopo un anno mi sposavo con Grazia, cominciai le scuole serali, nacque mia figlia e poi mio figlio. Insomma, una banalissima vita normale ma, ripensandoci, non poi così tanto.
Io e Maria Grazia rimanemmo complessivamente insieme trent’anni, faticosi, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia, fra alti e bassi. Finché, la vigilia di Natale di qualche anno fa, l’accompagnai per l’ultima volta. Lei davanti, sdraiata nella macchina che procedeva a passo d’uomo, io dietro, a piedi, con i miei figli e i miei fratelli e con qualche centinaio di persone; sì, erano tante, e questo era d’aiuto. È’ passato qualche anno, ma accade ancora oggi che, svegliandomi al mattino, allungando la mano nel letto per accarezzarla, mi accorgo che non c’è. Oppure mi accade di sentire il suo profumo.
“Chissà che uomo triste” potreste pensare a questo punto. No, dico io. Sono triste solo quando sono solo. Amo stare in compagnia. Amo le donne, di un amore puramente platonico ed estetico, per quello che sono, o per come io le vedo. Creature fantastiche che, se le rispetti, non nascondono i loro sentimenti; che sanno ridere e piangere, che ti riempiono l’anima con il solo sorriso, che ti sollevano il morale con il loro semplice camminare, con la loro bellezza, la morbidezza dei loro gesti e dei loro corpi, la loro dolcezza. Ad onor del vero ho notato, però che sono un po’ stronzo: in genere le donne che amo sono tutte belle. Amo, però, anche gli uomini, di un amore diverso, amo gli uomini sinceri, che non si nascondono, che sanno mostrare la loro forza ma anche le loro debolezze, senza ipocrisie. Amo il bello che ci circonda, i prati, i fiori, l’odore dell’erba appena tagliata, il rumore dell’acqua che scorre o che cade dal cielo sulle foglie, la frutta appena raccolta dall’albero, il canto degli uccelli, l’affetto di un cane.
In fondo, tutto sommato, amo la vita.


Marino P.


mercoledì 18 maggio 2011

Diario dell'11° incontro - 14 maggio 2011 - La revisione del testo

Che tappa questa settimana, ragazzi!
Il viaggio degli apprendisti scrittori verso il pianeta Script-ores è quasi giunto al termine. L'atterraggio è previsto per il prossimo sabato, sempre che i nostri riescano a sopravvivere a quell'inquietante paio di forbici che campeggia sullo schermo...
Per fortuna, ci pensa il comandante Giuliana a distogliere l'attenzione da quell'arnese, annunciando che "deve fare ammenda per una mancanza iniziale totalmente involontaria". E così, con grande piacere degli allievi, la prof. inizia a parlare di sé e delle sue esperienze lavorative, "colpevoli" di averla indotta a lasciare la sua Salerno per arrivare nella ridente cittadina di Treviglio.
Il racconto affascina gli allievi ed emoziona il comandante, soprattutto quando sfiora gli aspetti più privati della sua vita. Conclude nominando timidamente i premi letterari che ha vinto, rendendo i suoi allievi orgogliosi di essere guidati da un comandante così in gamba.
Ma l'immagine sullo schermo non si è dissolta, è sempre lì. Infatti...
─ Bene! Cominciamo la lezione di oggi introducendo l'argomento: "la revisione del testo".Cosa facciamo oggi:
Diario del 14 Maggio 2011 - Eccomi qua!
Riepilogo - Ricordiamo la frase di Raymond Carver sulle parole, riportata da Marina nel diario della scorsa settimana. L'affermazione sprona a ponderare bene cosa scrivere, ricordandosi che scrivere è come scolpire: quello che non è indispensabile è DANNOSO.
Ad aiutarci, arriva Beppe Severgnini con il suo acronimo P.O.R.C.O. (già spiegato la scorsa settimana). È proprio la lettera O finale: OMETTI (togli ciò che non è necessario) il punto di partenza della lezione odierna: bisogna scegliere le parole con il peso specifico adatto al contesto letterario.
Gli allievi riescono a stupire il loro comandante trovando in un nanosecondo l'errore che si nasconde nella filastrocca del re: il "và" accentato NON VA BENE se il verbo è imperativo seconda persona singolare! L'ortografia corretta è "va'" (con l'apostrofo) e con l'occasione, la "dolce" Giuliana anticipa che oggi ci sarà un esercizio di ortografia "mooolto doloroso". Caspita, questo pomeriggio è proprio da mal di testa!Come per confermare questo timore, eccolo lì! Il nostro Alessandro Manzoni con il suo romanzo storico (in tutti i sensi) I promessi sposi. Alzi la mano chi non ha avuto un flashback delle scuole superiori!
Perché è qui? Semplice, perché anch'egli ha revisionato, tagliato, sfoltito, perché è in questo che consiste il lavoro di revisione.
Eccoci quindi di fronte alla prima stesura del romanzo di cui sopra, il cui titolo era Fermo e Lucia, con la versione finale, revisionata a fronte.
Leggendo le due versioni, non si può dire che il Manzoni ci sia andato leggero con le forbici! La cosa risolleva il morale: se ha revisionato lui, perché non possiamo farlo noi?! Durante questa fase dobbiamo chiederci: "Il mio testo susciterà nel mio lettore le sensazioni che voglio trasmettergli?", "Contiene il messaggio che voglio far arrivare?"La revisione è il viaggio verso il testo: da come è oggi a come diventerà quando sarà più vicino alla perfezione. Infatti il manoscritto che consegneremo al nostro editore (perché un giorno, cari signori, avremo un editore) dovrà essere perfetto.
La revisione è il frutto di due stati d'animo che in questa fase del testo convivono: diffidenza nei confronti dell'aspetto attuale e fiducia per la forma che avrà.E basta con l'idea romantica che "siccome il testo mi è uscito così, d'istinto, così deve rimanere"! Non ci si può esimere dalla revisione! Non succede a nessuno che la prima stesura sia quella buona, a meno che non si sia in uno stato di grazia o si abbia un'esperienza pluriennale, situazioni assai rare. Dobbiamo avere la consapevolezza che si può migliorare molto, sfoltendo.E non lasciamoci ingannare dalla metafora "il testo è come un giardino"! Oggi non siamo proprio in vena di romanticismo.
Per curare il nostro giardino dobbiamo:

  • coltivare le piante giuste
  • innaffiare quando serve
  • arare il prato
  • tirar via le erbacce
  • potare gli alberi e le siepi
  • eliminare i parassiti
Dobbiamo svolgere l'azione di trim and cut: sfoltire e tagliare, ognuno con il metodo che acquisirà.Anche il controllo grammaticale e ortografico si fanno sentire. Sbarazziamoci del luogo comune "quel che conta è la sostanza.". Non è così, non solo almeno. Bisogna dare anche una struttura ordinata e metodica al testo, dargli forma!
Teniamo conto che ogni casa editrice ha le sue norme redazionali e, sebbene noi non possiamo rispettarle tutte in un solo testo, dobbiamo comunque cercare di rendere il lavoro dell'editor il più scorrevole possibile: un testo ben presentato è una buona base di partenza.
A tal proposito, Giuliana ci indica alcuni manuali di stile da consultare: Il nuovo manuale di stile, di Roberto Lesina, edito da Zanichelli, Come si fa una tesi di laurea, di Umberto Eco (anche se un po' datato, può essere utile), Il manuale di redazione e Il correttore di bozze, entrambi della collana I mestieri del libro, casa editrice Edigeo. La revisione non è molto simpatica, anzi, è piuttosto petulante. Elenchiamone le peculiarità:è un momento doloroso. Potrebbe capitare di dover tagliare i pezzi di cui siamo innamorati ma che, ahimè, non possono essere funzionali. Lasciarli nel testo sarebbe come dare i cioccolatini al cane: soddisfa il nostro egoismo, ma fa male al cane, o se vogliamo usare un'altra metafora, è come fare la ruota...
è il luogo delle scelte; ricordiamoci cosa disse Roberto Cotroneo nel descrivere la stesura di Otranto: ha iniziato avendo in mente una direzione e, cammin facendo, ha trovato lidi differenti che l'hanno portato a fare alcune SCELTE. Nella fase di revisione le scelte sono definitive e possono comportare alcune rinunce dolorose ma che rinvigoriscono il testo. Insomma, come quando si fa il cambio stagionale degli armadi: non si vorrebbe buttare via nulla, ma quando ciò avviene, poco dopo non ricordiamo neanche più il capo che abbiamo scartato.Ed ecco che arriva anche Stephen King in nostro soccorso: "...Ma se siete principianti, lasciatemi insistere sull'opportunità di riscrivere la vostra storia almeno una volta: la prima con la porta chiusa e la seconda con la porta aperta. ...Può venire il momento in cui avete voglia di mostrare quello che avete fatto a un amico intimo, o perché siete orgogliosi di quello che state facendo o perché ne dubitate. Il mio consiglio è di resistere a questo impulso...Il mio consiglio è che vi prendiate un paio di giorni per andare a pescare o in canoa, o per comporre un puzzle, qualsiasi cosa, per poi mettervi a lavorare a qualcos'altro... Per quanto tempo lascerete riposare il vostro libro - un po' come lasciare lievitare la pasta per il pane – dipende esclusivamente da voi, ma io vi consiglio un minimo di sei settimane..". Il fattore chiave è quindi IL TEMPO. Lasciamo sedimentare il nostro libro, tutto solo.
Dopo giorni, settimane o mesi, a nostra discrezione, riprendiamolo, con DISTACCO EMOTIVO, come se non fosse stato scritto da noi, rileggiamolo e vediamo cosa c'è da tagliare e... CORREGGERE!
Eccolo qui, l'esercizio mooolto doloroso a cui aveva accennato Giuliana all'inizio: "Darsi una regolata". Trova l'errore, C'è qualche errore?, Come lo scriveresti? E via con una serie di frasi trabocchetto per vedere nel dettaglio gli spazi, gli apostrofi, gli accenti, le virgolette, le lineette, i trattini. Caspita! Che frustrazione! Ma niente paura! È tutto a posto: lo scoramento che proviamo è assolutamente utile e didattico, parola di Giuliana.Ricapitolando, cosa dobbiamo controllare?
  • Incipit
  • Sviluppo
  • Apice
  • Scioglimento
  • Finale

  • Personaggi e dialoghi (sono verosimili? Ben costruiti? Coerenti?)




  • La trama (è credibile? Verosimile? Ben congegnata? Si capiscono i cambiamenti di scena, di luogo?)




  • Unità di tempo e unità di luogo (le stagioni, i luoghi del globo, la luce del giorno, non facciamo parcheggiare l'auto dal protagonista sotto un portone per fargliela riprendere cento metri più avanti)




  • Il punto di vista (è sempre stato quello? Siamo stati coerenti con la scelta fatta all'inizio? Se è cambiato, il lettore lo capisce o no?)




  • Le questioni redazionali e grammaticali




  • Ripetizioni



  • Punteggiatura



  • Ridondanze



  • Tempi verbali



  • Avverbi e aggettivi



  • Espressioni trite e ritrite




  • Controllo ortografico



  • Trova e sostituisci (una funzione di word)



  • Doppi e tripli spazi



  • Linee/trattini



  • Scelte univoche (relative alle parole che possono essere scritte in due modi, es.: obiettivo/obbiettivo)



  • Eccoci arrivati alla fine di questa lezione. Non so voi, ma io tra tutti questi trattini, lineette, virgolette, puntini, ecc. mi sento come l'omino della Bialetti... Sabato prossimo atterreremo sul pianeta Script-ores, dove incontreremo un abitante. Chissà che tipo è...

    Daniela B.

    martedì 17 maggio 2011

    Le vite degli altri - Racconto di Daniela I.

    Parole pescate: racchetta da tennis, quadro, Settimana enigmistica
                                                                        ***
    La cameriera Guenda entrò zoppicando nella camera 212. Zoppicava da quando un debosciato le era passato sul piede con la bicicletta, scusandosi a malapena. Ora il piede le faceva un male cane, ma non poteva permettersi di restare a casa dal lavoro, perché da poco era stata ‒ come dire ‒ promossa? e l’intero secondo piano era diventato una sua responsabilità.
      La stanza apparve uguale a tutte le altre, ogni volta che entrava per rassettarle: letto sfatto, asciugamani per terra, cartacce nel cestino, una racchetta da tennis appoggiata al muro… Una racchetta da tennis? La impugnò, pensando immediatamente all’uomo che con tutta probabilità l’aveva comprata e poi dimenticata.
      L’aveva visto già altre volte prendere alloggio nell’hotel e tutti quanti – o forse sarebbe meglio dire tutte quante – l’avevano notato: alto, bello, dai modi gentili, più giovane degli abituali clienti dell’hotel. Un uomo d’affari, senza dubbio, sempre con una valigia ventiquattrore e l’aria terribilmente importante.
      Osservò l’oggetto, che le sembrava di buona fattura, anche se lei di tennis proprio non ne sapeva. Tutto lo sport, in realtà, non le era mai interessato, del resto c’era poco da fare per le sue gambe tozze e il giro vita che lasciamo perdere. Mary la cuoca le aveva raccontato di averlo visto giocare con il proprietario dell’hotel sul campo di terra rossa dietro le cucine, e di come si muoveva elegante e leggero, come i tennisti professionisti.
      Aprì le finestre e poi le ante dell’armadio: la ventiquattrore regnava solitaria fra le pareti vuote. Ormai era chiaro che l’ospite se n’era andato con troppa fretta. Prese la valigia senza pensarci troppo; dopo le pulizie l’avrebbe consegnata, insieme alla racchetta, alla reception. Ma la valigia, con uno scatto, si aprì e da essa fece capolino un piccolo quadro.
       Guenda non resistette, lo prese e si mise a osservarlo: si trattava di un ritratto, uno di quelli che a lei non erano mai piaciuti, forse del Settecento o dell’Ottocento o chi lo sa; raffigurava un uomo, forse un nobile, con la fronte spaziosa, i denti sporgenti, il collo taurino, gli occhi vicini; insomma, un orrore.
      ‒ E dunque, quale lavoro svolgeva il nostro aitante giovanotto? ‒ pensò. Trafficante di opere d’arte? Un ladro? O un semplice intermediario per ricchi collezionisti?
      Guenda si fermò a riflettere: che vita avventurosa doveva avere quest’uomo, al contrario della sua! Possedeva tutto quello che lei non aveva: bellezza, salute, giovinezza, ricchezza. Faceva un lavoro affascinante, che lo portava in giro per il mondo, conosceva l’arte e chissà quali altre cose interessanti.
      Si sedette sul letto, presa dal sogno impossibile di essere la compagna di lui; si immaginò fasciata in un abito elegante mentre trattava il prezzo dell’opera al telefono con il compratore di turno.
      Si risvegliò quando lo sguardo le cadde sul comodino. C’era una Settimana enigmistica, con una penna appoggiata sopra. Prese il giornale e lo sfogliò: era completato in tutte le sue parti. Persino i rebus, che lei trovava così difficili e che la facevano sentire terribilmente stupida. Erano stati tutti risolti, scritti con grafia – anche quella! – bella ed elegante. Lo vide seduto sul letto, mentre risolveva via via tutti i quesiti, compiacendosi della propria intelligenza.
      “Certa gente ha tutte le fortune!” disse ad alta voce, pensando a quanto fosse stato ingiusto con lei il Padreterno. Sbirciò qualche barzelletta con indolenza, cercando di tirarsi su il morale; e stava per buttare la rivista quando, in un angolino, sull’ultima pagina, scritto piccolo piccolo, con grafia bella ed elegante, lesse due semplici parole: voglio morire.
    Daniela I.


    lunedì 16 maggio 2011

    Leggili perché...

    Simonetta Agnello Hornby, Un filo d’olio, Sellerio, 2011

    Giuseppina Torregrossa, Manna e miele, ferro e fuoco, Mondadori, 2011


    Leggili perché t’interessa la condizione femminile nel corso dei secoli, perché t’incantano i sapori di un tempo e di sempre, perché la nostra terra – pur così amata – non è… tutto!

    Per chi ama cucinare, le ricette di ventotto piatti estivi e dei dolci classici tradizionali siciliani nella raccolta della Agnello Hornby.
    Ricordi, aneddoti e personaggi fanno il paio con la dolcezza e il potere narrati dalla dottoressa Torregrossa attraverso le vicende del ‘mannaluoro’, della moglie curatrice di api e della loro figlia Romilda, destinata a incontrare la violenza del ferro e la prepotenza del fuoco.

    Su tutti e due questi libri domina incontrastata l’isola che, dall’Ottocento ai giorni nostri, continua ad incantarci con i suoi profumi, i piatti tipici, la natura e l’architettura dei suoi borghi antichi e delle cittadine affacciate sul mare (Montalbano insegna).

    Laura F.

    Biografia di Stefano S.

    Stefano S. ha 45 anni, vive a Treviglio insieme alla amatissima moglie Donatella ed alle sue figlie adorate, Paola di 6 anni e Sara di 4. Trevigliese di seconda generazione, svolge a Bergamo l’attività di bancario ma aspira a diventare un banchiere (a tal fine sogna, osa e spera). La sua banca nel frattempo gli si è affezionata a tal punto che, secondo le ultime conferme, non lo lascerà andare via prima del 2030.
    Adora da sempre alcune attività nelle quali riesce abbastanza bene (per i suoi standard):
    ·        la moto – finora non si è ancora fatto male seriamente;
    ·        il nuoto – galleggia bene, peraltro; per trasparenza: leggi il sito dei Clorolesi Treviglio;
    ·        le buone letture – compagne da sempre.
    Si reca spesso a Lecce, nel Salento, dove ama trascorrere le vacanze. Colà si trova benissimo, a tal punto che si è sinceramente affezionato alla suocera ed alla di lei dispensa. La cucina locale è infatti responsabile del suo giro-vita; per sua fortuna le bimbe trovano molto comodo il cuscino del papà.
    Da qualche anno, sempre per lavoro, deve produrre un sacco di relazioni, report e analisi di bilancio e così, scrivi oggi che scrivi domani, ci ha preso gusto. Si è messo a scrivere anche cosette sue ma la scarsa attenzione alle lezioni di italiano del Liceo (vedi i primi due punti  elencati sopra più un altro che qui si omette...) hanno lasciato il segno.
    Ha trovato ultimamente, nella sua istitutrice del Laboratorio di scrittura, un’ottima correttrice di bozze. Si spera, a breve, in un miglioramento delle sue performance pseudo-letterarie.
    Stefano S.

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    Giuliana Salerno

    P.S. Sarà che la firma "anonimo", rimestando nelle mie inquietudini inconsce, m'angustia e m'angoscia (nonché m'affrange)...


    Biografia di Daniela I.

    Nasce cianotica  a Bergamo il 22 gennaio 1966.
    Sopravvive, e prosegue felice la sua vita a Treviglio con mamma, papà e due fratelli.
    Il primo libro le viene regalato a Natale ’72, Papà gambalunga, ed è subito amore.
    Da quel momento legge tutto quello che le capita a tiro, dai fotoromanzi a Marx.
    Sopravvive anche al liceo classico, insiste con l’università, nella speranza di fare giornalismo serio.
    Ma arriva per caso alla radio, si diverte troppo, ci resta.
    Ha un marito, con il quale condivide l’amore per i libri e per una figlia dodicenne in fiore.
    Scrive per diletto, e da poco frequenta giovani e promettenti scrittori. J

    Daniela I.

    Biografia di Giuliana Salerno


    "Anche no"

    Colta in castagna proprio dalla nostra guida linguistico-spirituale Beppe Severgnini. Scivolata sull’infida pozzangherina dell’“anche no” (v. finale del post “Biografia di Giuliana Salerno”).  

    “Siamo il Paese dell’‘anche no’”, osserva Severgnini. “‘Anche no’ è una di quelle espressioni che si infilano come gas nelle nostre vite. Se non abbiamo la maschera linguistica antigas, rimaniamo intossicati. È accaduto in passato con ‘un attimino’, è accaduto con ‘piuttosto che’, è accaduto negli ultimi anni con ‘assolutamente sì’ e con ‘straordinario’. ‘Anche no’ fa parte di questa categoria; è ancora un bambino, è un virus piccolino, ma è un virus”.

    A questo link trovate il video del circostanziato “smontaggio”:


    ***

    In ultima battuta, faccio buon viso a cattivo gioco e preciso che sono immune ai virus linguistici in quanto destituiti di ogni fondamento. Io scendo in campo contro la pigrizia linguistica e soprattutto non faccio mai di tutta l’erba un fascio. Se poi qualcuno vuole gettare benzina sul fuoco, stia in campana, perché lo aspetto al varco: voglio proprio vedere se si divertirà ancora a cercare il pelo nell’uovo e a mettere i puntini sulle i. E poi, chi l’ha detto che la minestra riscaldata non è né carne né pesce? Assolutamente straordinaria, rispondo io cambiando decisamente argomento, e poi meglio un uovo oggi che una gallina domani. Garantito al limone, italiani brava gente, io non parlo per frasi fatte. Ma anche sì.

    Giuliana Salerno



    mercoledì 11 maggio 2011

    Leggilo perché...

    Dolores Prato, Giù la piazza non c'è nessuno, Quodlibet, 2009

    Come cresce una bambina che non si sente amata, che vorrebbe essere coccolata, tenuta sulle ginocchia, protetta? Perché vive con gli zii, perché nessuno le racconta la storia della sua famiglia?
    Perché nella sua vita non ci sono i giochi, la spensieratezza, l’allegria?
    Guarda con occhi disincantati quello che la circonda, con logica infantile cerca di trovare motivazioni.
    E anche quando, con mano di donna adulta, Dolores scriverà di sé, saranno sempre le emozioni, i pensieri, i timori di quella piccola a rivivere: quel grande, incolmabile vuoto che non l’abbandonerà mai.
    Leggilo, per sentire il nostro bisogno d’amore; leggilo, per guardare le cose di tutti i giorni con occhi diversi. 

    Fiorenza T.


    martedì 10 maggio 2011

    Per sabato 14 maggio

    Ricordo agli assenti del 7 maggio (e anche ai presenti obnubilati, come la sottoscritta, da fumi e fiumi di prosecco) che per il 14 maggio non ci sono compiti.

    State sul racconto! Frequentate i vostri personaggi, parlateci, andate a rivedere i loro luoghi. Arrampicatevi su un tetto e osservate da lontano la loro andatura, il modo che hanno di guardare, di toccare, di vivere le cose. E se vi sembrano ancora lontanissimi da voi, riluttanti a entrare nella vostra storia, andate alla finestra e guardate fuori.

    Il primo essere vivente che vedrete è il vostro uomo (o donna, o bambino, o cane, o gatto...). Sappiatene tutto. Il passato, il presente, le paure, i desideri, l'umore, i sentimenti. E scrivete il suo futuro.

    Giuliana Salerno



    Leggilo perché...

    Chuck Palahniuk, Soffocare, Mondadori, 2007

    Victor Mancini, studente di medicina fallito, ha architettato un fantasioso sistema per pagare le spese ospedaliere della vecchia madre: ogni giorno va a cena in un ristorante diverso e, nel bel mezzo della serata, finge di soffocare per colpa di un boccone andato di traverso. Ogni volta qualcuno si lancia a salvarlo e immancabilmente diventa una sorta di padre adottivo, che in occasione dell’ anniversario dell’ incidente gli invia  dei soldi…
    Ecco l'incipit del libro: "Se
    stai per metterti a leggere, evita. Tra un paio di pagine vorrai essere da un’ altra parte".
    Leggilo perché è spietato, a volte eccessivo, cinico, ma mai banale. Uno squarcio di realtà contemporanea. Follia, dipendenze, vecchiaia… e anche amore.  
    C’ è molto  sesso e voglia di  oblio. Il nostro protagonista Victor Mancini è   un “eroe” contemporaneo,  ma,  come scrive  l’ autore, "Non è uno di cui ti innamori".  "Quello che succede qui ti farà incazzare. Poi sarà sempre peggio". In parte è così. Palahniuk è stato sincero, e credo che abbia molto da dire.

    Sara M.


    Diario del 10° incontro - 7 maggio 2011 - Lingua e stile

    Eccomi qui, davanti a questa pagina bianca che deve essere riempita. Il momento tanto temuto è giunto. Potrei dire a Giuliana che mi è venuto il blocco dello scrittore ma penso che non accetterebbe la scusa (anche perché non sono uno scrittore). Insomma mi tocca e… abbiate pazienza.

    Ecco il riepilogo della puntata precedente, dal titolo “Il punto di vista”. Prima di iniziare a scrivere una storia, è sempre opportuno domandarsi:        

    • Chi racconterà la storia?
    • A chi apparterrà la voce narrante?
    • Da quale angolazione verrà raccontata la storia?
    • Quali e quanti saranno i punti di vista?

    E non mi addentro nell’argomento, perché l’ha già fatto benissimo Gianna nel diario dello scorso incontro.

    L’argomento di oggi, “Lingua e stile”, ci rende ancora più consapevoli del significato dello scrivere per altri (e non solo per se stessi).
               
    E allora parto da Raymond Carver, al quale viene attribuita la seguente affermazione:

    “In definitiva, le parole sono tutto quel che abbiamo,
    perciò è meglio che siano quelle giuste.”

    Ciò che diciamo può essere modificato, adattato e sfuma nella memoria dell’ascoltatore. Ciò che scriviamo, invece, è lì, nero su bianco. Le parole possono essere utilizzate per comunicare, per esprimere e suscitare sentimenti e possono anche sollecitare il lettore a compiere azioni. Quando le consegniamo a qualcun altro, non possiamo più modificarle. Che responsabilità!

    Certo, si può scrivere per se stessi, ma condivido quanto ha detto Giuliana nel secondo incontro:

    “I nostri testi, come figli adolescenti, chiedono di uscire e incontrare altre persone…”

    Non è sempre facile trovare le “le parole giuste”. Eppure, la lingua italiana annovera tra le 215.000 e le 270.000 unità lessicali. Un italiano ne conosce, all’incirca, 3000 e ne usa 1000.
    La televisione ci ha abituato ad un linguaggio snello, veloce, sintetico, spesso povero nella forma. Anche la narrativa di oggi si caratterizza per l’uso di una lingua notevolmente semplificata rispetto a quella utilizzata alcuni decenni fa. Si pensi, ad esempio, all’italiano complesso, spesso tortuoso, ma avvincente del romanzo Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda o ad alcuni prolissi romanzi dell’800. Trovare il compromesso tra la capacità di sintesi e una forma interessante significa trovare il proprio stile, quello stile che rende un autore riconoscibile tra tanti altri.
    A proposito della responsabilità e la cura nell’uso appropriato del linguaggio, Giuliana suggerisce la lettura di due testi di notevole interesse: La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio e  Lezioni americane di Italo Calvino (in particolare, il capitolo dal titolo “Esattezza”).
    In questi libri si auspica un uso consapevole e responsabile del linguaggio: le parole non vanno “buttate a caso”, ma vanno pensate e scelte con cura; inoltre, bisogna restituire il significato originario alle parole che oggi sembrano averlo perso. Di più parole conosciamo l’esatto significato, maggiore scelta avremo al momento di comunicare, di raccontare, di dare voce a sentimenti.
    Per tornare al saggio già citato di Gianrico Carofiglio, il linguaggio è più sviluppato nelle società democratiche, dove i diritti tendono ad essere riconosciuti uguali per tutti. È interessante anche notare come la “Neolingua” creata dal regime di Oceania nel romanzo di George Orwell 1984 abbia come fine anche quello di diminuire le possibilità del pensiero. “Nella Neolingua” si legge nel saggio di Carofiglio “il numero delle parole viene ridotto al minimo e ogni parola residua viene limitata a un unico possibile significato”.
    Essere padroni del linguaggio significa, di fatto, avere maggiori possibilità di controllo della propria vita. Studi scientifici hanno dimostrato che i ragazzi più violenti hanno molto spesso difficoltà lessicali ed espressive: non sono in grado di tradurre in parole i loro pensieri e le loro sensazioni, non riescono a dare un nome al proprio disagio interiore. Di conseguenza, dolore e frustrazione trovano sbocco in comportamenti aggressivi.  

    Per venire ad aspetti più pratici sulla scrittura, ricorriamo a una serie di suggerimenti contenuti nel libro di Beppe Severgnini L’italiano – Lezioni semiserie. Tra questi, un acronimo che difficilmente dimenticheremo: P.O.R.C.O.!
    Potrebbe sembrare uno scherzo, mentre è, di fatto, un comodo sistema per scrivere in maniera organizzata:

    Pensa              (decidi cosa scrivere)
    Organizza       (elenca i punti da toccare)
    Rigurgita        (butta fuori, senza pensarci troppo9
    Correggi         (leggi, rileggi, correggi)
    Ometti            (togli tutto ciò che non è necessario)

    Torna utile anche ricordare i “Sedici Semplici Suggerimenti”, anche questi di Beppe Severgnini:

    1. Avere qualcosa da dire
    2. Dirlo
    3. Dirlo brevemente
    4. Non ridirlo. Se mai, rileggerlo
    5. Scriverlo esatto
    6. Scriverlo chiaro
    7. Scriverlo in modo interessante
    8. Scriverlo in italiano (è più trendy, baby)
    9. Non calpestate i congiuntivi
    10. Non gettate oggettive dal finestrino
    11. Spegnete gli aggettivi, possono causare interferenze
    12. Non date da mangiare alle maiuscole
    13. Slacciate le metafore di sicurezza
    14. In vista della citazione, rallentate
    15. Evitate i colpi di sonno verbale
    16. L’ultimo che esce, chiuda il periodo

    A ciascuno di questi punti Severgnini dedica un capitolo del libro. In aula non c’è tempo per una “carrellata” completa, ma Giuliana insiste, in particolare, sull’opportunità di moderare l’uso di aggettivi e avverbi.
    A proposito di “dirlo brevemente”, Giuliana cita ancora Beppe Severgnini: “Scrivere è come scolpire”. Meglio togliere che aggiungere, la lunghezza del testo non conta...
    E su questa frase ci invita scolpire il “dialogo impossibile” scritto da Stefano, il quale si sottopone (e sottopone il suo testo) a spuntature di scalpelli e levigature di raspe che arrivano da tutto il gruppo. Nei momenti più dolorosi, trova consolazione solo nel suo compagno Marino.
    Ed è proprio Marino, più tardi, a interpretare magistralmente il muratore nel dialogo scritto da Giuliana A.: protagonisti un muratore milanese, per l’appunto, e un cinese bloccati in ascensore. Le differenze di stile, di voci, di tono, di linguaggio dei due personaggi sono così marcate che viviamo dieci minuti di autentico divertimento.
    E un altro motivo di soddisfazione arriva, dolce e gustoso, a portar conforto. Il gruppo si ritrova tra una fetta di sbrisolona, una cartuccia, dolcetti pugliesi vari, un bicchiere di vino e… il passato è dimenticato.
    La scrittrice Anna Martinenghi verrà a trovarci il 21 maggio, ultimo giorno di corso.
    E noi, cosa faremo nei sabati a venire? Ci mancherà sicuramente questo appuntamento settimanale!

    Marina A.




    sabato 7 maggio 2011

    La vedova professionista - di Stefano S.


    Parole pescate: manuale di seduzione, sega, dentiera

    ***

    Isabel Boria era una vedova di professione. Ora che si sono concluse le indagini sulla scomparsa di Herbert d’Espaigne sappiamo che questi era solo l’ultimo marito della serie.
    Isabel sposava uomini dal capello d’argento, dal dente d’oro e dal brillante facile. Li sapeva sedurre con costanza e tenacia implacabili e, a quanto pare, non c’era stato uomo che lei non sapesse condurre a sé, ammaliare e, alla fine, circuire. Infatti, nella valigia che trovai sul pianerottolo c’era il manuale di seduzione a cui era evidentemente spesso ricorsa.
    Questa volta aveva però commesso un errore. Nella fretta andarsene dall’appartamento in affitto, aveva lasciato due prove della sua colpevolezza: una dentiera e una sega con piccole schegge d’osso e gocce di sangue rappreso; con ogni probabilità, quest’ultima le era servita per smembrare il cadavere. La dentiera è un oggetto unico, ancor più delle impronte digitali e, pertanto, riconducibile direttamente a Herbert. Isabel avrebbe dovuto nasconderla o distruggerla, ma non poté o non volle farlo.
    Non si può, infatti, denunciare la scomparsa del marito e raccontare che era uscito per due passi in centro dimenticando la dentiera a casa. Non distruggerla subito era stata, forse, una debolezza.
    In base a questi due oggetti, il quadro interpretativo della scomparsa di Herbert D’Espaigne era divenuto, quindi, abbastanza inequivocabile. Anche senza attendere le risultanze della scientifica, Isabel era, alla fine, crollata. Non per rimorso, no, anzi, era stata lei, alla fine della confessione, a fornire altri dettagli macabri, a raccontare la sua fredda pianificazione, quasi per non perdere il ruolo di protagonista.
    La sua carriera di vedova professionista terminò con quella valigia dimenticata. Quegli oggetti così disparati, eppure così coerenti nell’essere uno accanto all’altro, avevano urlato al mondo la colpevolezza di Isabel Boria.

    Stefano S.


    venerdì 6 maggio 2011

    Memoir – In colonia (estate 1963) - Ero vestita così quando...

    Vado a cercare la fotografia di me stessa bambina, 
    così piccola, su un moscone al mare. 
    La prendo e mi osservo: stavo guardando dritta il fotografo, 
    avevo un costumino arricciato – come si usava allora – 
    e stringevo con tutte e due le manine un cappellino di paglia 
    che non mi apparteneva. 
    Ero infastidita dal sole. Un po’ imbronciata.
    Avevo gli occhi tristi. Ero sola.
    Mi chiedo: come si può lasciar sola, 
    un mese, una bimba così piccola?
    Chi mi ha abbracciata, in quel mese? 
    Nessuno.
    Perché ero lì? 
    Ricordo tanta tanta sabbia, intorno a me.
    Ma non il piacere di entrare in acqua.
    E poi rammento quella ragazza, 
    tanto più grande di me:
    l’avevo guardata da sotto in su,
    in mezzo alla prima spiaggia, 
    lungo la linea di pietre che la attraversava.
    Stava venendo buio…
    E lei mi ha detto che “la mia mamma era morta”.
    Io sapevo solo che lì con me la mia mamma non c'era.
    E nemmeno le mie zie. Non sentivo più il profumo della zia Anna, 
    che chiamavo ‘mamma’, né l’ambiente familiare, 
    né la grande cucina, né la sua attenzione affettuosa per me.
    Solo quella sensazione di solitudine,
    che mi avrebbe segnata per sempre.
    E quell’angoscia, quella malinconia…
    
    Emma



    Ancora sul punto di vista

    Per approfondire i temi del punto di vista e della voce narrante, vi suggerisco i seguenti volumi:

    Bavaro, Tommaso, Scrittura creativa. Tutte le tecniche della narrazione, Edizioni Calderini, Bologna, 1995.
    Cerami, Vincenzo, Consigli a un giovane scrittore, Garzanti, 2002.
    Gaudiano, Franco, Manuale di scrittura creativa, Editrice Nord, 1993.
    Vargas Llosa, Mario, Lettere a un aspirante romanziere, Einaudi Tascabili, 1998.

    Di particolare interesse, a proposito della distanza tra narratore e storia, il denso capitolo “Il narratore. Lo spazio” contenuto nel volumetto di Mario Vargas Llosa. Ne riporto un brano tratto da pagina 47 dell’edizione citata sopra:

    Volendo raccontare per iscritto una storia, ogni romanziere inventa un narratore, suo rappresentante o plenipotenziario nella finzione, e finzione lui stesso, perché, come gli altri personaggi che si accinge a raccontare, è fatto di parole e vive soltanto di e per quel romanzo. Questo personaggio, il narratore, può trovarsi dentro la storia, fuori di essa o in una collocazione incerta, a seconda che narri nella prima, nella terza o nella seconda persona grammaticale. Non è una scelta gratuita: a seconda dello spazio occupato dal narratore rispetto al narrato, varia la distanza e la conoscenza che ha di ciò che racconta. È ovvio che un narratore-personaggio non possa conoscere – e tanto meno descrivere e riferire – altro che quelle esperienze che sono verosimilmente alla sua portata, mentre un narratore-onnisciente può sapere tutto ed essere in qualunque parte del mondo narrato. Scegliere un punto di vista o un altro significa dunque scegliere condizionamenti determinati a cui il narratore deve sottoporsi nel momento di narrare; se non li rispetta, poi, avranno effetto lesivo, distruttivo sul potere di persuasione. Allo stesso tempo, dal rispetto che mostrerà nei confronti dei limiti fissati da quel punto di vista spaziale dipende in gran parte se quel potere di persuasione funzionerà e il narrato ci sembrerà verosimile, imbevuto di quella ‘verità’ che sembrano contenere quelle grandi bugie che sono i buoni romanzi.”

    A domani,

    Giuliana Salerno