mercoledì 28 marzo 2012

Incontro con Carmine Abate - di Daniela Invernizzi


Per chi si fosse perso l'incontro con Carmine Abate sabato 24 marzo all'auditorium della biblioteca, questo riassunto vi ricorda che si tratta di uno scrittore, poeta e saggista di origine calabrese, che ha vissuto a lungo in Germania per poi decidere di abitare in Trentino; e che questa sua mobilità, nonché i saggi e i romanzi da lui pubblicati, gli sono valsi la definizione di narratore dell'emigrazione. Il moderatore Fabio Celsi lo introduce così, sottolineando la capacità dell'autore di vivere per addizione, cioè saper conservare le proprie radici, ma nello stesso tempo costruirne altre, in una continua ricerca della propria identità anche attraverso la scoperta dell'alterità e della diversità.
La collina del vento è il suo ultimo lavoro. Si tratta di un romanzo dalla trama complessa, la storia della famiglia Arcuri attraverso quattro generazioni;  sullo sfondo, costante, la vera protagonista, la collina del Rossarco, luogo reale e dell'anima sul quale si svolgono gli avvenimenti più significativi della storia.
Sulla storia : "È la storia di una famiglia che non si arrende" dice Abate", Né ai soprusi del latifondista, né a quelli della mafia, o ai "signori del vento", cioè quelli che stanno costruendo parchi eolici dappertutto e senza nessun criterio. Per questo La collina del vento  è un romanzo impegnato. Spero di aver lasciato qualcosa su cui riflettere".
L'autore poi ci legge l'Incipit, che parte con  un omicidio: sembra l'inizio di un giallo, ma poi la storia prende tutta un'altra piega  e diventa una saga  famigliare.
Sui personaggi:  "Alcuni di loro sono rindinelle ianche, cioè persone fuori dal comune capaci di resistere ai poteri forti, al male. In ogni mio libro c'è un personaggio straordinario che resiste (qui è Arturì) perché sento l'esigenza di raccontare queste persone e il loro coraggio.
I figli di questi grandi padri fanno una cosa che oggi i figli non fanno tanto volentieri: ascoltano, accettano il dialogo, accettano di vivere per addizione".
Sul suo essere lo scrittore dell'emigrazione:  "Non rinuncio alle mie origini (alle quali, comunque, non puoi sottrarti) però, vivendo altrove, non rinuncio ad acquisire altre radici, radici volanti, come fa la magnolia, che sono altrettanto rigogliose. Vivere per addizione significa non dover scegliere fra la lingua del cuore e quella del pane. Inoltre il fatto di vivere fuori ti regala un nuovo sguardo, che altrimenti non potresti avere. I figli dovrebbero sempre crescere con la memoria storica della propria famiglia, perché quello che sono oggi dipende da quello che è stata la loro famiglia nel passato. Ciononostante mi sento uno scrittore del presente. Il recupero della memoria non è nostalgia, ma serve a illuminare il presente".
Poi, grazie ai "ragazzi" del corso parliamo di scrittura:
"Lo scrittore, citando Elias Canetti,  è il custode della metamorfosi: grazie alle sue parole, alle sue storie, la memoria si trasforma, fino a farsi presente".
Sulle fonti: "Bisogna saper ascoltare, cogliere le sfumature, le immagini, le emozioni. Le mie fonti, in particolare, sono stati spesso i contadini, grandissimi narratori capaci di mantenere viva  l'attenzione degli uditori con il ritmo giusto, la suspence perfetta, il linguaggio adeguato.
Così deve fare lo scrittore. Ma deve anche sapersi estraniare, vedere dal di fuori le storie, in modo da raccontarle senza retorica, senza guardare al proprio ombelico. Perché la vera letteratura non è raccontare semplicemente una storia, ma deve diventare metafora, insegnamento universale, evocazione simbolica.
Il mio più grande informatore, specie per questo libro, è stato mio padre, scomparso poco prima che fosse concluso e al quale l'ho dedicato".
Sul Trentino: " Il Trentino c'è, in questo libro, grazie al personaggio di Paolo Orsi, persona reale, archeologo di fama internazionale,  che interagisce con i personaggi inventati. I miei personaggi del nord sono sempre l'occhio distaccato sul sud, sono personaggi ponte fra le due culture, che osservano senza pregiudizi".
Sui personaggi femminili:  "Sono donne forti, emblema di quella realtà matriarcale della Calabria, dove sembra che comandino gli uomini (solo che loro hanno un ruolo pubblico, vanno al bar, alle sedi di partito ecc.), ma in realtà nelle famiglie comandano le donne. Le nonne, in particolare, sono personaggi potentissimi".
Sull'amore: "Nelle mie storie i rapporti d'amore sono sempre gioiosi; qui non troverete divorzi, conflitti amorosi ecc. e la sensualità è in ogni pagina, si avverte anche nelle descrizioni dei paesaggi, della collina". 
Sul linguaggio: " È importante, per me, l'uso del dialetto, o meglio delle espressioni dialettali, perché sono loro a portare a  galla le storie: sono esche vive, che catturano il lettore attraverso la lingua ancora prima che attraverso la storia".
Sulla cura della lingua: " Cerco la freschezza narrativa; la cura, la fatica, il mestiere, non devono venire fuori, perciò il lavoro di revisione deve essere particolarmente accurato".

 Daniela Invernizzi

Nessun commento:

Posta un commento