lunedì 27 febbraio 2012

Assaggio (utopistico) del corso

"Vedere il mondo in un granello di sabbia,
e il paradiso in un fiore selvatico,
tenere l'infinito in palmo di mano
e l'eternità in un'ora."


"To see a world in a grain of sand,
And a heaven in a wild flower,
Hold infinity in the palm of your hand,
And eternity in an hour."

William Blake, The Norton Anthology of Poetry, W.W. Norton, New York, 1970



... Ne parleremo!
Arrivederci al 10 marzo.

Giuliana Salerno



William Blake in un ritratto di Thomas Phillips (1807)

domenica 26 febbraio 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 6 di 7)

[...] Il libro di Leonardo Sciascia, quindi, più per la sua forza espressiva e letteraria che per l’attendibilità del racconto, rappresenta un’ineludibile tappa nel viaggio a ritroso negli anni complessi della storia d’Italia in cui si affacciò Majorana.
Trentun anni aveva Ettore il giorno in cui scomparve; una porzione di vita breve, durante la quale, tuttavia, contribuì in modo importante allo sviluppo della fisica moderna. In quell’ambito, come ricorda anche Edoardo Amaldi, membro del gruppo romano di Fermi e primo storico di Majorana, quest’ultimo si distinse per “vivezza d’ingegno, profondità di comprensione ed estensione di studi che lo rendevano molto superiore a tutti i suoi nuovi compagni”.
Queste caratteristiche sarebbero sufficienti, da sole, a fare di Ettore Majorana un modello a cui guardare per originalità di pensiero e capacità di lavoro.
La naturale tendenza a cercare la via più breve ed elegante nella risoluzione dei problemi è messa in luce in varie testimonianze (si legga, ad esempio, il racconto del primo incontro di Majorana con Fermi e del diverso approccio dei due allo stesso problema fisico-matematico); è evidente dall’esame delle sue pubblicazioni, di tutti i suoi lavori editi e inediti e degli appunti delle lezioni; ma trapela anche dal suo epistolario, notevole sotto il profilo non solo scientifico, ma anche storico e biografico, e per le capacità di analisi e sintesi. Ettore Majorana, a dispetto del carattere chiuso e timido che gli verrà regolarmente attribuito nelle testimonianze rese dai suoi contemporanei, sta al mondo con curiosità e interesse, e nelle sue lettere commenta lucidamente i più vari aspetti dell’esperienza umana.
Majorana rappresenta un esempio anche per la sua capacità di pensare in modo originale e di mettere in discussione l’esistente per percorrere strade non battute (si ricordi che per il suo spirito critico Majorana era chiamato dai colleghi del gruppo di Roma “il Grande Inquisitore”). A lui le giovani generazioni dovrebbero guardare per l’approccio modernamente “creativo”, nel senso della capacità di formulare ipotesi in modo aperto e libero da preconcetti e di concepire soluzioni diverse di uno stesso problema. (Continua…)

domenica 19 febbraio 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 5 di 7)

[...] Non è scontato affermare che l’esperienza di Majorana scienziato non andrebbe disgiunta da quella di Majorana uomo. Sciascia sottolinea con efficacia questo essere “tutt’uno” di Ettore Majorana: il capitolo III, in particolare, impone di fermarsi a riflettere sui temi della vocazione e dell’ingegno. È in una pagina di straordinaria forza che lo scrittore racconta la “differenza” che marcava il confine tra Majorana e i “ragazzi di via Panisperna”:

“[…] Fermi e i ‘ragazzi’ cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l’amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, ‘la portava’. Un segreto fuori di loro – da colpire, da aprire, da svelare – per Fermi e il suo gruppo. E per Majorana era invece un segreto dentro di sé, al centro del suo essere; un segreto la cui fuga sarebbe stata fuga dalla vita, fuga della vita. […]”

Ettore Majorana come individuo che “porta” la scienza, dunque, che già la possiede in quanto parte integrante del suo essere; Ettore Majorana che non avrebbe bisogno di cercare fuori di sé – o ne avrebbe bisogno, ma in modo diverso da tutti gli altri – in quanto già, egli stesso, un unicum di domande e risposte.
E se da un lato la genialità di Majorana, così ovvia e dirompente da essere notata da tutti, avrà suscitato invidia e ammirazione, dall’altro lato lascia attoniti il prendere atto della rinuncia dell’uomo – se di rinuncia si trattò – all’esercizio del suo straordinario talento. Rinunciando alla scienza, Majorana rinuncia a sé stesso. Oppure, al contrario, come alcuni hanno osservato, abdicando alla scienza Majorana guadagna spazio per sviluppare la sua identità e crearsi una dimensione a misura d’uomo (e non di genio).
Quale che fosse l’intento di Majorana – rinunciare alla vita o “riprendersela”, posto che sia stato egli solo l’artefice del proprio destino – queste pagine di Sciascia possono diventare per i più giovani l’occasione per riflettere sull’opportunità di prendere decisioni sul proprio futuro. Per capire quale posto desiderino occupare nel mondo, e muovere in direzione di quello. Per passare in rassegna i propri talenti naturali e stabilire come coltivarli.
Perché è vero che alcuni di noi, come Ettore Majorana, inequivocabilmente “portano” un’attitudine, e con essa devono venire a patti nel senso di farla fiorire o, scientemente, di relegarla in un canto; ma è anche vero che in molti casi propensioni e attitudini non sono così lampanti ed è necessaria un’auto-esplorazione più minuziosa e accorta, da svolgere mettendosi in paziente ascolto di sé.
Non è fuori luogo, a questo proposito, citare le parole rivolte dallo Stregatto del romanzo di Lewis Carroll ad Alice. Avendogli chiesto quale strada debba prendere per andarsene, la bambina si sente rispondere: “Dipende molto da dove vuoi andare”. E se Alice ribatte: “Non mi importa molto il dove”, è significativo che l’altro le faccia osservare: “Allora non importa quale strada prendi”.
Aveva idea Majorana di dove volesse andare? Non è dato saperlo. Sciascia, in un parallelo con Stendhal e con la sua “precocità ritardata al possibile”, scrive di come lo scienziato tenti di rinviare il più possibile il futuro che per lui appare già scritto. Di come tenda a sottrarsi alla sua vocazione naturale, a sfuggire alla condivisione del “segreto” di cui sembra essere il custode (anche in questa  parte del testo Sciascia allude con ogni probabilità a una sorta di precognizione di Majorana circa la potenzialità distruttiva di alcune scoperte; e dunque, al “sottrarsi” di Majorana alla scienza come ad un atto di responsabilità). (Continua…)

lunedì 13 febbraio 2012

Cuore e performance

In questo periodo sono affascinata dal tema della gestione del tempo e delle risorse per realizzare i desideri che ci stanno a cuore. Il desiderio di fare, di preparare progetti, di portare a compimento obiettivi e rendere concreti i sogni si scontra, inevitabilmente, con una quantità limitata di ore a disposizione. Ore e minuti da cogliere, riempire, sminuzzare, distribuire, rendere degni e preziosi con pensieri, azioni, sentimenti. Ore e minuti che sfuggono e che, tuttavia, sono tutto ciò che abbiamo per dare senso ai ruoli e alle relazioni di cui si vestono le nostre identità molteplici.
Di seguito, traduco liberamente una parte dell’articolo di Maria Popova comparso sul sito Branpickings.org (qui). Un brano alquanto sbilanciato sull’ansia di “produrre risultati”, che propongo di mitigare con queste parole di Alessandro D’Avenia, insegnante di scuola e scrittore. Tanto per conciliare cuore… e performance:

“Non sempre abbiamo il coraggio di ritagliare i nostri impegni di lavoro, la nostra auto-affermazione con i suoi ritmi asfissianti, i nostri spazi, per regalarli ai nostri studenti e ai nostri figli. Ma forse questa è l’unica cosa che possiamo veramente donare agli altri, perché prendere il proprio tempo e regalarlo è amare, educare, liberare. (…)”

***

Breve storia delle “to do lists”e del perché in tanti le usiamo (Prima parte)
di Maria Popova
Pace fatta tra metodo e istinto (?)… e cosa hanno in comune Benjaming Franklin e Drew Carey

“Compilare liste è all’origine della cultura”, ha affermato, come è noto, Umberto Eco (Leonardo da Vinci, John Lennon e Woody Guthrie sarebbero d’accordo con lui). Eppure, a quanto pare, le liste di cose da fare potrebbero essere all’origine della più grande felicità come della più cupa insoddisfazione.

È quanto sostengono l’autore scientifico John Tierney e lo psicologo Roy F. Baumeister in Willpower: Rediscovering the Greatest Human Strength (La forza di volontà: riscoprire la più grande delle facoltà umane).

Nel complesso, un manuale di auto-aiuto interessante e originale, che si alimenta di trent’anni di intensa ricerca sui temi della volontà e della capacità di autogestione e che contiene un interessante capitolo (il terzo) dal titolo “Breve storia delle liste di cose da fare, da Dio a Drew Carey”: un’accurata “dissezione” del nostro strumento organizzativo preferito. Dal “piano in sei fasi” con cui gli autori della Bibbia raccontarono la Creazione nel Libro della Genesi, all’anelito alla virtù che Benjamin Franklin perseguiva attraverso liste di obiettivi da raggiungere, alla massima produttività personale cui tende continuamente l’autore teatrale Drew Carey , le “to do lists” sembrano essere da sempre il metodo più naturale per organizzare tempo e cose da fare.
Aneddoti e frammenti di mitologia della cultura si intrecciano con esperimenti psicologici del secolo scorso fino a proporre una sintesi finale sui modi in cui trasformare le liste di cose da fare in uno strumento capace di creare soddisfazione (e non frustrazione).
Franklin, per esempio, sosteneva che una delle principali trappole delle liste fosse quella di voler fare troppe cose insieme: inevitabilmente, i diversi obiettivi finiscono con l’entrare in conflitto tra loro.

Franklin tentò un approccio del tipo Divide et impera. Stilava una lista di virtù e collegava ciascuna di esse alla breve descrizione di un obiettivo. Ad esempio, riguardo la virtù dell’Ordine, scrisse: ‘Ogni cosa al suo posto e il tempo adeguato per ogni compito’. Senonché, nel momento in cui, da bravo operaio di tipografia, provava a mettere in pratica questa regola definendo una rigida scansione del lavoro, i clienti prendevano a interpellarlo con istanze non previste e lui era obbligato a venir meno alla sua tabella di marcia.
Quando, invece, decideva di praticare la ‘Frugalità’, avendo cura di non sprecare nulla, di rammendarsi gli abiti e di prepararsi da solo i pasti, gli rimaneva sempre meno tempo per il lavoro in azienda (e anche per progetti collaterali quali far volare un aquilone con il temporale o rivedere e correggere la Dichiarazione di Indipendenza).
Scegliere di passare una serata con gli amici quando era indietro sul lavoro significava spesso venir meno alla virtù dei ‘buoni propositi’: la determinazione di portare a termine le cose.

Obiettivi in conflitto tra loro, affermano gli autori del libro in questione, sono causa di infelicità, non di produttività. È anche vero che saper individuare i giusti obiettivi può essere una faccenda complicata.
Tierney e Baumeister riferiscono di un esperimento condotto da uno psicologo che era stato invitato al Pentagono per parlare di gestione del tempo e delle risorse. Per far “scaldare” un po’ l’atmosfera, propose ai generali presenti di svolgere un breve esercizio scritto. Chiese loro di sintetizzare in 25 parole la loro strategia di azione.

L’esercizio creò imbarazzo nella maggior parte dei presenti. Nessuno di quei distinti signori in uniforme fu capace di venire a capo di nulla. L’unica a riuscire nell’esercizio fu la sola donna generale presente nell’aula. Alle spalle, una carriera pregevole: aveva risalito tutti i gradi della gerarchia militare ed era stata ferita in Iraq. Questa donna così sintetizzò il suo approccio: ‘Per prima cosa faccio una lista delle priorità: uno, due, tre e così via. Poi cancello tutto con una riga dalla terza in poi.’”

Una strategia senza troppi scrupoli, forse; eppure, secondo gli autori di Willpower, una versione sintetica di un metodo che riconcilia il lungo termine con il breve termine, o il quadro d’insieme con i dettagli. (Continua…)




sabato 11 febbraio 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 4 di 7)

[...] Come lo stesso Sciascia spiegò più tardi, La scomparsa di Majorana fu scritto sull’onda dell’indignazione provata nel sentire un fisico (Segrè) compiacersi di aver contribuito alla costruzione della bomba A. Ettore Majorana, dunque, nel racconto “misto di storia e d’invenzione” di Sciascia – e nell’immaginazione dello scrittore – assurgerebbe a simbolo dello scienziato dotato di buon senso che, davanti a scoperte potenzialmente distruttive, decide di fermarsi e rinunciare.
In molti punti del suo volumetto, Sciascia prepara il campo alla tesi che ha prestabilito e che avanzerà indipendentemente dalle reali motivazioni che avrebbero spinto Ettore Majorana a scomparire. “Avrebbero” spinto, perché le ragioni della sua scelta restano ad oggi oscure, essendo ambigue le sue ultime esternazioni scritte: le lettere a Carrelli e quella alla famiglia.
Sciascia, dunque, cala su eventi storici e biografici una finzione letteraria funzionale al messaggio che desidera trasmettere; e lo fa, ad esempio, nel capitolo IV, quando associa il tragico evento del bambino bruciato nella culla, fatto di cronaca in cui la famiglia Majorana era stata chiamata in causa per uno sciagurato errore, a un’immagine di fuoco e morte che alluderebbe al disastro nucleare.
Lo fa, inoltre, nel capitolo VII, mettendo in rilievo la suggestione delle parole conclusive di un saggio in cui Majorana commentava la disintegrazione di un atomo radioattivo e la possibilità che una “catena complessa e vistosa di fenomeni” sia “comandata” da tale disintegrazione accidentale.
E lo fa ancora, Sciascia, nel capitolo X, quando evidenzia di Majorana, oltre alla
 
 
“profondità e prontezza di intuizione, una sicurezza di metodo, una vastità di mezzi e una capacità di rapidamente selezionarli, che non gli avrebbero precluso di capire quello che altri non capiva,”
 
 
anche la facoltà di
 
 
“vedere quel che altri non vedeva – e insomma di anticipare, sul piano delle ricerche e dei risultati, sul piano della intuizione, della visione, della profezia”.


Poco più avanti Sciascia presenta come fondata l’ipotesi che Majorana avesse potuto, in quanto – secondo il parere di Enrico Fermi – genio alla stregua di Galileo e Newton,


“vedere o intuire quel che scienziati di terzo, secondo e primo rango ancora non vedevano o non intuivano”.
 
 
Si è portati a interrogarsi sulla legittimità della commistione tra realtà e immaginazione operata da Sciascia e sul servigio che in tal modo l’autore abbia reso a Majorana. Avrebbe quest’ultimo condiviso la tesi dello scrittore? Ne sarebbe divenuto di buon grado simbolico portavoce? Non lo sappiamo. E proprio perché non lo sappiamo, al tema della responsabilità dello scienziato si aggiunge quello della responsabilità dello scrittore nei confronti delle persone e dei fatti che costituiscono provvista di storie e spunti di ispirazione.
Ad ogni buon conto, La scomparsa di Majorana, pur lasciandoci dubbiosi circa l’opportunità delle “forzature” che vi sono contenute, resta un saggio di grande finezza letteraria che, come si è detto, ha contribuito a creare interesse intorno alla questione. (Continua…)


martedì 7 febbraio 2012

Premio letterario "Tre Ville"

Con piacere riporto il bando del premio di poesia e narrativa "Tre Ville".
La scadenza è ormai prossima. Mano all'estro, estro alle mani!
G.S.
***

Associazione Culturale Clementina Borghi – Via B.Rozzone – 24047 Treviglio



L’Associazione culturale “Clementina Borghi” con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Treviglio – Assessorato alla cultura, della Biblioteca Comunale, della Cassa
Rurale di Treviglio e con la collaborazione del gruppo culturale Insieme di Cassano d'Adda, indice la

14a edizione del premio di poesia e narrativa “Tre Ville”

Tema: Italia, storie ed emozioni ispirate dalla mia terra

Copie: 3 da inviare in plico postale entro il 29 Febbraio 2012 alla Associazione
Culturale Clementina Borghi, C.P. 39, 24047 Treviglio


Opere ammesse: Poesia in lingua, massimo 2 di non più di 30 versi
Poesia dialettale, massimo 2 poesie
Narrativa, massimo 2 racconti di non più di 4 pagine A4
Romanzo breve, massimo 30 pagine

- Gli autori possono partecipare con opere edite o inedite non già premiate in altri concorsi.

- La quota di partecipazione è di euro 15.00 per ogni sezione alla quale si partecipa, da
versarsi a mezzo bonifico bancario (IBAN IT36W0889953640000000020502) o assegno
intestato a “Associazione Culturale Clementina Borghi” .

- La composizione della giuria sarà resa nota in sede di premiazione.

- Gli autori finalisti di ogni sezione saranno premiati con:

Primo classificato: premio in denaro e diploma
Secondo classificato: premio in denaro e diploma
Terzo classificato: quadro e diploma

- La giuria assegnerà il premio “Autori Junior” all’autore dell’opera ritenuta migliore in
ciascuna sezione, purché non abbia ancora compiuto il 18esimo anno d’età alla data del
presente bando. La partecipazione a questo premio non prevede quota d'iscrizione.

- Gli elaborati non saranno restituiti. L’Associazione si riserva il diritto di pubblicare i lavori premiati o segnalati sui giornali locali, senza compenso per l’autore.

- La premiazione avrà luogo Sabato 26 Maggio 2012 alle ore 10.30 in Treviglio

- I premi non ritirati personalmente o da un delegato andranno nel fondo per la 15a
edizione del concorso.

- La partecipazione al premio comporta l’accettazione integrale di questo bando.
- Qualsiasi comunicazione può essere inviata all'indirizzo dell'Associazione o con e-mail
all'indirizzo info@narrativaepoesia.it


Treviglio, 15 Ottobre 2011

lunedì 6 febbraio 2012

Consigli di lettura - di Fiorenza Torri

Teresa Batista stanca di guerra  di Jorge Amado è un romanzo che non stanca. E' un grande affresco, ricco di personaggi, di avventure, di amore e di dolore. La storia di Teresa cattura il lettore; la penna di Amado lo trascina in una terra di contraddizioni al ritmo di samba. E ti sembra di sentire i profumi dell'America latina e di vederne i colori. (Da non perdere, dello stesso autore: Gabriella garofano e cannella; Donna Flor)
Sonno profondo di Banana Yoshimoto è un libro che raccoglie tre racconti, tre diverse storie di donne e... il sonno. Elegante e raffinata nel descrivere la dimensione di vita dei suoi personaggi femminili, l'autrice tuttavia non mi ha convinta. Mi sembra che i racconti non siano "incisivi": non lasciano segni sul lettore.
Il silenzio dell'onda di Gianrico Carofiglio si può anche non leggere. Scorrevole e corretto, come scriveva ai miei tempi la prof. di italiano a commento della verifica, si riscatta solo un pochino nelle ultime pagine.
A me piace molto Amelie Nothomb; i titoli ed i testi possono sconvolgere, le storie sono paradossali, ma la forza espressiva è unica. Vale la pena di leggere qualcosa di suo: ha la capacità di farti riflettere, di farti vedere le cose "dietro", spesso nella loro crudeltà. (Acido solforico; Stupeur et tremblements; L'igiene dell'assassino...)
Ora sto leggendo Giulio Mozzi, grazie per avere scritto di lui sul blog.

Fiorenza Torri


sabato 4 febbraio 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 3 di 7)

[...] Varie e diverse sono le ragioni dell’interesse suscitato dai fatti intorno a Majorana anche tra i “non addetti ai lavori”, intendendo qui con “lavori”, ricerche e studi di carattere scientifico e tecnologico. Questi sono considerati comunemente un terreno ostico, riservato a un gruppo ristretto di persone capaci di studiare e comprendere le leggi della fisica e della matematica, e in quell’ambito di formulare problemi, concepire soluzioni, creare innovazione.
La maggior parte delle persone è sprovvista delle conoscenze e dell’ingegno necessari per seguire il filo del ragionamento di Ettore Majorana, quando questo si esprime, nei suoi lavori scientifici, per curve di probabilità, potenziale statistico nelle molecole o frequenze d’oscillazione dell’ammoniaca.
Il primo, ideale incontro con Majorana e con la sua breve, ma significativa parabola di vita è dunque avvenuto, per molti, per un più accessibile tramite “umanistico”: il discusso, intenso volumetto che Leonardo Sciascia dedicò alla scomparsa dello scienziato, avvalendosi anche di parte della documentazione disponibile sul caso.
E proprio la perizia di Sciascia scrittore, il “pathos” con cui raffigurò l’epoca cupa e, insieme, incandescente della seconda metà degli anni Trenta, il ritratto toccante che di Majorana seppe fare nel terzo capitolo, su cui ritorneremo, hanno probabilmente contribuito ad accrescere curiosità intorno alle circostanze in cui il fisico di Catania scomparve.
Tuttavia, dopo una rilettura attenta di quel formidabile pamphlet; ma soprattutto dopo aver seguito il percorso indicato molti anni dopo da Erasmo Recami nella sua ricostruzione storico-documentale, colpisce che Sciascia utilizzi la vicenda a sostegno di una sua tesi preordinata: ovvero, che Ettore Majorana abbia scelto di scomparire avendo “previsto” che la ricerca scientifica di quegli anni sarebbe culminata nella realizzazione della bomba atomica. La sua decisione, pertanto, sarebbe stata dettata dal senso di responsabilità dello scienziato nei confronti dell’umanità, messa in pericolo dalle possibili applicazioni militari di alcune scoperte. (Continua…)

 

giovedì 2 febbraio 2012

Comunicato stampa

2° Corso di base di scrittura creativa “Eppur si scrive”

Sabato 10 marzo 2012, dalle 15.00 alle 17.00, presso la biblioteca civica di Treviglio (BG) in Vicolo Bicetti 11, avrà luogo il primo dei dieci incontri settimanali del corso di base di scrittura creativa “Eppur si scrive”, patrocinato dall’Assessorato alla Cultura dello stesso Comune.
Dopo la felice esperienza del 2011, il Corso si ripropone ad appassionati della lettura e della scrittura che abbiano voglia di cimentarsi con i principali strumenti della narrazione.
A condurre i dieci incontri sarà Giuliana Salerno, redattrice editoriale e autrice di racconti.  
Tra gli argomenti del Corso: perché scriviamo, la genesi delle storie, la struttura dei racconti, la costruzione della trama, lo sviluppo dei personaggi, il punto di vista, i tempi della narrazione, il dialogo, il linguaggio, la descrizione, la revisione.  
Il costo di partecipazione al corso è di 120,00 €. 
Per iscriversi:

ufficio.cultura@comune.treviglio.bg.it

tel. 0363 317 502 – 506

Per informazioni sul corso:

giulianasalerno@yahoo.it

Cell. 349 55 99 101

Bimbi, cani, libri

Curiosità: bimbi che leggono ai cani «Così la timidezza se ne va via» - Tempo Libero - L'Eco di Bergamo - Notizie di Bergamo e provincia

di Giada Frana

Gisa

Il seguito di “Chi mi aiuta a finirlo?” scritto da Marino Polgati. Per l’incipit del racconto, andate a leggere qui.
Se avete altre proposte di sviluppo, inviatele qui.

Grazie della partecipazione!
 
Giuliana Salerno

[…]

Lei salì in auto e si avviò spedita verso il centro.
Lui prese la sua e si mise a seguirla alla distanza di un centinaio di metri. Aveva timore di perderla di vista, ma avvicinarsi di più significava farsi riconoscere.
Dopo pochi minuti, Gisa entrò in un parcheggio all’aperto. Andrea, invece, si fermò fuori. Vide lampeggiare i fari della macchina di lei e altri fari che le rispondevano pochi metri più in là.
Gisa scese e si avvicinò all’altra auto. Salì.
Andrea la vide allungarsi verso il guidatore. Gli sembrò che l’avesse baciato sulla guancia e non sulle labbra. L’auto uscì dal parcheggio e Andrea la seguì. Ora il viaggio continuava fuori città, fino ad arrivare al primo paese subito dopo la periferia. L’auto sulla quale c’era Gisa si fermò al lato della strada, vicino ad un locale dove si intuiva parecchio movimento. “Già,” pensò Andrea “prima si fa una chiacchierata buttando giù un po’ d’alcool… così ci sono meno freni e meno sensi di colpa per quello che deve accadere dopo.”
Andrea spense immediatamente i fari e, mentre i due raggiungevano il locale a piedi, scese a sua volta dall’auto.
Lasciò che entrassero e si fermò fuori accendendo una sigaretta. La rabbia cominciò a farsi largo nella sua mente. Si sentiva preso in giro, ingannato. Era già accaduto tempo prima. Lei lo aveva tradito in un periodo in cui erano in rotta. Era successo una volta sola e glielo aveva confessato in lacrime. Andrea aveva capito la sua sofferenza e l’aveva perdonata. Ora si dava dello stupido.
“Chi ti tradisce una volta ti tradirà ancora,” gli aveva detto il suo migliore amico.
“Non Gisa” aveva risposto lui, deciso.
“Che stupido!” si disse “Perchè Gisa avrebbe dovuto essere diversa?”
Si accese un’altra sigaretta, muovendosi avanti e indietro come un animale in gabbia. Era ormai la quinta, e non si decideva ad entrare nel locale.
Da fuori si sentiva la musica. Stavano suonando dal vivo. Blues. Summertime. Interessante. Per un attimo si lasciò prendere da una stupenda voce di donna. Roca. Quasi nera.
“Proprio come Janis Joplin”.
Gli piaceva il blues e piaceva anche a Gisa. Ora che ci pensava, la prima volta che l’aveva vista era stato proprio ad un concerto blues. La musica gli arrivava a tratti, fuori si era alzato un vento freddo che spezzava le note che arrivavano al suo orecchio. Si decise ad entrare.
“Appena la vedo, la saluto da lontano. Mi vedrà e capirà che forse non è il caso che torni a casa”.
Rimase ancora qualche secondo all’esterno, indeciso se dare un taglio netto alla sua precedente vita oppure risalire in auto e fingere di non avere visto. La musica gli entrava dolce e suadente nelle orecchie e nel cuore. Sì, forse era il caso di tornare a casa e fingere che nulla fosse accaduto. La voce femminile gli giungeva con le sue note malinconiche. Spinse la porta ed entrò. Cinque musicisti erano sul palco a suonare le ultime note della canzone. La voce roca che lentamente sfumava nel finale. Don’t you cry. Cry.
“Che voce fantastica” si disse Andrea, applaudendo assieme agli altri.
Guardò la cantante che si inchinava agli applausi e ringraziava tirandosi indietro i folti e lunghi capelli ricci. Rimase a guardarla interdetto. Era Gisa.

Marino Polgati


Rita Hayworth (Gilda)

mercoledì 1 febbraio 2012

Il suono delle parole


“Non scrivere qualcosa che non puoi anche pronunciare.”
 (Luisa Carrada)

Ciò che leggiamo influenza ciò che pensiamo. Non necessariamente nel senso di modificare ciò che crediamo essere vero o falso, giusto o sbagliato, adeguato o inadeguato. Non nel senso, cioè, di cambiare le nostre convinzioni. Ma nel senso di mettere in moto un ragionamento, di richiamare alla coscienza immagini, suoni, ricordi. La lettura attiva il nostro pensiero, lo sollecita.
Leggere ad alta voce ha effetti ulteriori sul nostro pensiero e sulla nostra percezione. Per leggere ad alta voce dobbiamo prima scattare un’istantanea del testo e poi tradurre quel colpo d’occhio in parole che abbiano anche un’intonazione e una cadenza appropriate.
Ecco, allora, che il testo scritto diventa parlato, la parola letta e pensata si fa suono. La sollecitazione percorre vie più complesse: vedere, riconoscere, leggere, parlare, ascoltarsi. Immagini e suoni si incontrano e si intrecciano, fino a creare nuovi significati e a orientare il pensiero. Ad attivarlo in modi nuovi e diversi, a far “suonare” campanelli interiori che altrimenti sarebbero, forse, rimasti in silenzio.
Perché le parole risuonano, vibrano, respirano: proprio come noi, quando le pronunciamo. Sono una partitura fatta di note più o meno alte, di colori, di pause, di ritmi, di toni.
Quando scriviamo, poi, altri prodigi avvengono. Le parole non si originano da un testo esterno a noi stessi, ma dalla nostra mente, dal nostro cuore, dalle nostre viscere. Più prosaicamente, dalle aree del cervello deputate al linguaggio.
Le parole che scriviamo, quelle sì, che hanno il potere di trasformare stato d’animo e convinzioni. Calano sul foglio come carte dal mazzo, alleviando il nostro fardello di pensieri.
A volte percorrono strade già battute e indossano suoni già visti e già sentiti.
Altre volte, imprevedibilmente, si aprono un passaggio nella boscaglia più fitta e creano un solco in cui il pensiero inizia a scorrere, a trasformarsi, a chiarirsi. E a comporre una melodia inedita. Ci alziamo e siamo un po’ cambiati. Sempre gli stessi, ma diversi. Domani rileggeremo ciò che abbiamo scritto e ci farà un effetto ancora nuovo. Soprattutto se lo rileggeremo ad alta voce.
Luis Sepúlveda, autore cileno, rilegge ogni suo romanzo a voce alta. Lo registra e poi lo riascolta, correggendo anche in base a questo esame “auditivo”.

Se lo fa Sepúlveda…

Giuliana Salerno
 

[…] e rido con te sulla ruota
deforme dell’ombra, mi allungo
disfatto di me sulle ossute radici
che sporgono e pungo

con fili di paglia il tuo viso…

Eugenio Montale

(da La bufera e altro – “Nel parco”)