Oggi una nostra amica (non vi dico chi è, per tenervi un po’ sulle
spine; chiamiamola Vincy) mi ha scritto di essere tra i finalisti di un premio
letterario piuttosto conosciuto in Italia.
Vincy ha scritto bellissimo racconto breve, dolce e malinconico. Stamattina
l’ho riletto e, sul finale – una frase breve, un colpo secco nello stomaco – ho
avuto i brividi.
Antefatto: quando le modalità di partecipazione al concorso sono state
rese pubbliche, Vincy non si è tenuta per sé la notizia, ma l’ha diffusa tra amici
e colleghi distribuendo addirittura fotocopie del bando. E allora, tutti a
scrivere, tutti a provare e a confrontarsi.
Vincy ha trasformato l’esperienza di scrittura in quello che amo di
più: un intreccio di competizione e condivisione. Il gioco di uno solo è
diventato la corsa di molti. Ciascuno ha cercato di dare il meglio, anche
perché quando ci si misura con una dimensione pubblica si lavora con cura
particolare.
Passo ad altri paesaggi e sentimenti.
Proprio ieri, su facebook, qualcuno annunciava sarcasticamente la
tiratura di circa 600.000 copie dell’ultimo libro di Fabio Volo e invitava a “un
minuto di silenzio”.
E giù commenti sul “mazzo” che gli autori “seri”, ma sostanzialmente
sommersi, devono farsi perché il proprio editore pubblichi mille copie risicate
dei loro testi. E sull’Italia che ci meritiamo dei libri di ricette, dei Fabio
Volo e dei Bruno Vespa impilati all’entrata delle Mondadori (i libri, non Bruno
Vespa) e delle trasmissioni ammazza-pensiero. Sull’editoria italiana che ha
ormai abdicato al ruolo di formatore culturale in favore del mestiere di
allevatore di polli.
Ecco, tutto questo probabilmente è vero e sacrosanto, e il dato delle
600.000 copie di un libro di Fabio Volo va letto con preoccupazione.
Ma perché – a livello individuale, non sociologico, intendo – starci
così male? Perché lasciarsi andare a manifestazioni di puro odio nei confronti
del personaggio? Perché disprezzare tanto e rosicare?
È una questione di dimensioni, mi sentirò rispondere. Una cosa è il
premio letterario di provincia al quale si partecipa in gruppo, quasi per
gioco, e si è tutti contenti al di là del risultato. Altra cosa è dedicare ore,
giorni, anni al mestiere dello scrittore, dover arrotondare a fine mese con sotto-lavori
malpagati e precari e vedere Benedetta Parodi che svetta in classifica.
Eppure, eppure… È anche questione di principio, a mio avviso, non solo
di dimensioni.
Siamo noi a scegliere i nostri modelli, ma soprattutto a scegliere da quali eventi farci influenzare nell'umore e nelle azioni. Il mio modello non è Fabio
Volo, anche se venderà un milione di copie, e non è Bruno Vespa. I miei
modelli sono coloro che hanno riconosciuto il proprio talento anche potenziale
(nell’arte, nella scienza, nel volontariato, nello sport, nel ruolo di genitore etc.) e hanno sentito la
responsabilità di nutrirlo ogni giorno, di non farlo sfiorire.
Un mio modello è Roberto Saviano, che non poteva fare a meno di
scrivere – meglio, di documentare – quella storia lì. Un mio modello è Leonardo
Sciascia, che ha sentito di dover parlare di mafia e di connivenza tra potere
politico, economico e religioso in un modo in cui nessuno aveva fatto prima. Un
altro è Roberto Benigni, in particolare il Benigni che spiazza e incanta con le
lezioni su Dante (ce lo saremmo aspettato dal genio di Johnny Stecchino? Forse
sì), dimostrando che una passione può sorprenderci e trasformarci.
Grazie Silvana.
RispondiEliminaPerdona il mio "nome" NON MI RICORDO, la voglia di fare qualcosa in più per lo spettacolo. Il blog avrebbe avuto bisogno di un tempo maggiore di quello che posso dedicargli e dopo quella sera, il silenzio. Ginetta Maria Fino
RispondiEliminaCara Ginetta, "Non mi ricordo" è un nome bellissimo! Ciascuno di noi fa quello che può, nel tempo che gli è concesso. Un pezzettino alla volta! Grazie di essere passata di qui. Giuliana
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