venerdì 30 marzo 2012

Esercizio per sabato 31 marzo

Ciao, e scusate il ritardo.
Vi ricordo che l’esercizio da svolgere per domani consiste nello scrivere minimo sette idee per altrettante storie.
Queste idee dovranno contenere gli elementi di base che verranno, poi, sviluppati nella narrazione. A costituirli saranno, come abbiamo visto insieme, una situazione di partenza e un personaggio dotato di almeno due caratteristiche: un desiderio (di qualcosa, di qualcuno) e una paura (di qualcosa, di qualcuno). Questi tratti vi guideranno nell’ideazione di un “incidente scatenante” che obbligherà il personaggio a “vedersela”, a fare i conti con se stesso, a compiere delle scelte, ad agire e quindi a rivelarsi.
Mi chiedete lumi sulla lunghezza del testo: non è importante, a patto che gli elementi specificati sopra ci siano tutti. Quindi? Cinque righe, dieci righe, una pagina. Come vi viene, come preferite.
Avvertenza: non affezionatevi alle vostre idee. Domani vi verrà chiesto anche di… regalarle.
A presto.

Giuliana Salerno

mercoledì 28 marzo 2012

Incontro con Carmine Abate - di Daniela Invernizzi


Per chi si fosse perso l'incontro con Carmine Abate sabato 24 marzo all'auditorium della biblioteca, questo riassunto vi ricorda che si tratta di uno scrittore, poeta e saggista di origine calabrese, che ha vissuto a lungo in Germania per poi decidere di abitare in Trentino; e che questa sua mobilità, nonché i saggi e i romanzi da lui pubblicati, gli sono valsi la definizione di narratore dell'emigrazione. Il moderatore Fabio Celsi lo introduce così, sottolineando la capacità dell'autore di vivere per addizione, cioè saper conservare le proprie radici, ma nello stesso tempo costruirne altre, in una continua ricerca della propria identità anche attraverso la scoperta dell'alterità e della diversità.
La collina del vento è il suo ultimo lavoro. Si tratta di un romanzo dalla trama complessa, la storia della famiglia Arcuri attraverso quattro generazioni;  sullo sfondo, costante, la vera protagonista, la collina del Rossarco, luogo reale e dell'anima sul quale si svolgono gli avvenimenti più significativi della storia.
Sulla storia : "È la storia di una famiglia che non si arrende" dice Abate", Né ai soprusi del latifondista, né a quelli della mafia, o ai "signori del vento", cioè quelli che stanno costruendo parchi eolici dappertutto e senza nessun criterio. Per questo La collina del vento  è un romanzo impegnato. Spero di aver lasciato qualcosa su cui riflettere".
L'autore poi ci legge l'Incipit, che parte con  un omicidio: sembra l'inizio di un giallo, ma poi la storia prende tutta un'altra piega  e diventa una saga  famigliare.
Sui personaggi:  "Alcuni di loro sono rindinelle ianche, cioè persone fuori dal comune capaci di resistere ai poteri forti, al male. In ogni mio libro c'è un personaggio straordinario che resiste (qui è Arturì) perché sento l'esigenza di raccontare queste persone e il loro coraggio.
I figli di questi grandi padri fanno una cosa che oggi i figli non fanno tanto volentieri: ascoltano, accettano il dialogo, accettano di vivere per addizione".
Sul suo essere lo scrittore dell'emigrazione:  "Non rinuncio alle mie origini (alle quali, comunque, non puoi sottrarti) però, vivendo altrove, non rinuncio ad acquisire altre radici, radici volanti, come fa la magnolia, che sono altrettanto rigogliose. Vivere per addizione significa non dover scegliere fra la lingua del cuore e quella del pane. Inoltre il fatto di vivere fuori ti regala un nuovo sguardo, che altrimenti non potresti avere. I figli dovrebbero sempre crescere con la memoria storica della propria famiglia, perché quello che sono oggi dipende da quello che è stata la loro famiglia nel passato. Ciononostante mi sento uno scrittore del presente. Il recupero della memoria non è nostalgia, ma serve a illuminare il presente".
Poi, grazie ai "ragazzi" del corso parliamo di scrittura:
"Lo scrittore, citando Elias Canetti,  è il custode della metamorfosi: grazie alle sue parole, alle sue storie, la memoria si trasforma, fino a farsi presente".
Sulle fonti: "Bisogna saper ascoltare, cogliere le sfumature, le immagini, le emozioni. Le mie fonti, in particolare, sono stati spesso i contadini, grandissimi narratori capaci di mantenere viva  l'attenzione degli uditori con il ritmo giusto, la suspence perfetta, il linguaggio adeguato.
Così deve fare lo scrittore. Ma deve anche sapersi estraniare, vedere dal di fuori le storie, in modo da raccontarle senza retorica, senza guardare al proprio ombelico. Perché la vera letteratura non è raccontare semplicemente una storia, ma deve diventare metafora, insegnamento universale, evocazione simbolica.
Il mio più grande informatore, specie per questo libro, è stato mio padre, scomparso poco prima che fosse concluso e al quale l'ho dedicato".
Sul Trentino: " Il Trentino c'è, in questo libro, grazie al personaggio di Paolo Orsi, persona reale, archeologo di fama internazionale,  che interagisce con i personaggi inventati. I miei personaggi del nord sono sempre l'occhio distaccato sul sud, sono personaggi ponte fra le due culture, che osservano senza pregiudizi".
Sui personaggi femminili:  "Sono donne forti, emblema di quella realtà matriarcale della Calabria, dove sembra che comandino gli uomini (solo che loro hanno un ruolo pubblico, vanno al bar, alle sedi di partito ecc.), ma in realtà nelle famiglie comandano le donne. Le nonne, in particolare, sono personaggi potentissimi".
Sull'amore: "Nelle mie storie i rapporti d'amore sono sempre gioiosi; qui non troverete divorzi, conflitti amorosi ecc. e la sensualità è in ogni pagina, si avverte anche nelle descrizioni dei paesaggi, della collina". 
Sul linguaggio: " È importante, per me, l'uso del dialetto, o meglio delle espressioni dialettali, perché sono loro a portare a  galla le storie: sono esche vive, che catturano il lettore attraverso la lingua ancora prima che attraverso la storia".
Sulla cura della lingua: " Cerco la freschezza narrativa; la cura, la fatica, il mestiere, non devono venire fuori, perciò il lavoro di revisione deve essere particolarmente accurato".

 Daniela Invernizzi

venerdì 23 marzo 2012

Esercizio di attenzione, domande

Per i corsisti che ancora non hanno ancora verificato l'esito dell'esercizio di memorizzazione (meglio: di attenzione) che abbiamo svolto in aula sabato scorso, ecco alcune domande da porsi, testo alla mano, quando torneranno in biblioteca.

1. Ho chiamato le cose con un nome impreciso? Ad esempio: ho chiamato “sedia” quella che, in realtà, è una poltrona?
2. Ho impresso nella mente un colore/un materiale/un livello di luminosità che poi è risultato essere un altro?
3. Ho immaginato particolari che nella realtà non ci sono? Quali?
4. Ho omesso cose che danno, in realtà, una forte connotazione all’ambiente?
5. Come potrei spiegare le imprecisioni della mia memoria?
6. Cosa noto nel confronto con il lavoro dei colleghi?
7. Ci sono dettagli che ho saputo registrare più fedelmente di altri? Se sì, come me lo spiego?
8. Come potrei migliorare le mie capacità di osservazione e attenzione?



giovedì 22 marzo 2012

Incontro con l'autore Carmine Abate

Sabato 24 marzo Eppur si scrive sarà... anche qui:

Incontro con
CARMINE ABATE
nell'ambito della rassegna

"SCRITTORI FUORI DAI LIBRI"

In biblioteca per chiacchierare con i tuoi autori preferiti

 In occasione dell’uscita del nuovo libro

LA COLLINA DEL VENTO

 Introduce e modera il PROF. FABIO CELSI

 SABATO 24 MARZO 2012 Ore 16.30
AUDITORIUM DEL CENTRO CIVICO CULTURALE

presso la biblioteca civica di Treviglio in Via Bicetti


Esercizi per sabato 24 marzo

- Per chi parteciperà all’incontro con Carmine Abate: leggere qualcosa di suo (anche solo l’incipit di qualche libro, o pagine tratte dai suoi testi).
- Inviarmi eventuali domande da girare all’autore.
- Trasformare un sogno in un obiettivo di scrittura realistico, seguendo i criteri individuati in aula.
- Inserire quell’obiettivo in un “diario degli obiettivi” (suggerimento: un quaderno ad anelli può essere aggiornato, integrato, etc.).
- Individuare il primo passo da compiere in direzione di quell’obiettivo di scrittura, e compierlo.
- Leggere  il brano di Paul Auster ricevuto in aula e formulare una riflessione (anche solo oralmente).
- Leggere il capitolo “Siate precisi” dal libro Scrivere Zen di Natalie Goldberg.



Appunti dal corso - Incontro di sabato 17 marzo - Seconda parte


"Vetri" di Giulio Mozzi
Perfetta incarnazione di esattezza, sensibilità percettiva e spirito di osservazione è il racconto “Vetri” di Giulio Mozzi, che abbiamo letto dalla raccolta Questo è il giardino, pubblicata da Sironi nel 2005. Un racconto composto di parole limpide e levigate, capaci di penetrare l’essenza delle cose proprio perché frutto di un’osservazione attenta e di scelte accurate. In particolare, abbiamo notato come una descrizione di aspetti apparentemente solo materiali della realtà possa trasformarsi nel suo opposto e diventare specchio e consolazione dei sentimenti.

Memorie dalla biblioteca
Sull’onda del lavoro sull’osservazione, sull’attenzione e sull’atteggiamento da tenere verso cose ed esperienze di cui, poi, vorremo scrivere, abbiamo svolto un esercizio di “memorizzazione ambientale” che ci ha portato a verificare come ciascuno di noi:

1) ricordi aspetti diversi di esperienze affini (ad esempio, quella di essere stati nella stessa stanza);

2) crei nella propria mente ricordi falsi o incompiuti;

3) non memorizzi particolari che notano, invece, altre persone;

e, in generale, come ognuno colga della realtà che lo circonda una quantità limitata e imperfetta di caratteristiche; e come la sua attenzione venga colpita da alcuni aspetti e non da altri.

Sogni e obiettivi
I sogni e gli obiettivi sono le due facce di una stessa medaglia: i desideri che ci piacerebbe realizzare. Solo che i sogni hanno forme più indefinite e incerte: si spingono, come nuvole, dove l’aria è più limpida e leggera, mancando, quindi, di basi d’appoggio concrete. Gli obiettivi, al contrario, sono più prossimi alla nostra esperienza “terrena” e da questa traggono gli strumenti per realizzarsi (pur rischiando, talora, di ridursi a una fredda programmazione di passi da compiere).
Fermo restando che ogni classificazione impoverisce e oltremodo semplifica la lettura della realtà, questa distinzione può tornarci utile a iniziare un cammino animati da uno slancio duplice: quello “emotivo” che ci fa muovere verso i nostri sogni e che è indispensabile a chi voglia realizzare grandi cose; e quello più ragionato – ma altrettanto importante – che ci porta a costruire, pezzo dopo pezzo, i nostri obiettivi.
Abbiamo individuato, insieme, alcune possibili caratteristiche di un obiettivo (in particolare, di un obiettivo di scrittura). La guida che segue ci potrà essere d’aiuto nel definire con una certa precisione i risultati che ci stanno a cuore in modo da “fissarli” prima di metterci al lavoro per realizzarli. Il terzo incontro di "Eppur si scrive 2" sarà un'occasione per far dipanare tali caratteristiche in un progetto più “fluido” che si snodi attraverso scelte e azioni da programmare e da compiere.  

È utile, pertanto, che un obiettivo:

  1. sia messo per iscritto e risponda alla domanda: “Che cosa voglio?”.
  2. Ci appartenga profondamente e non sia, in realtà, l’obiettivo di qualcun altro che vogliamo compiacere o impressionare.
  3. Sia realistico e molto specifico. Ad esempio, “scrivere” è molto meno specifico di “scrivere un racconto” ed è ancora meno specifico di “scrivere un racconto sulle guerre puniche” etc.
  4. Sia “misurabile”. Ad esempio, “scrivere dodici racconti di 10-15 pagine ciascuno” contiene indicazioni relative al “quanto” che potranno tornarci utili nell’organizzazione del lavoro.
  5. Sia espresso in positivo. “Scrivere una raccolta di racconti” è un obiettivo formulato in forma positiva: esprime ciò che desideriamo realizzare. “Non tradurre più manuali tecnici” è un obiettivo formulato in forma negativa: esprime (solo) ciò che non vogliamo realizzare.  
  6. Abbia una data di scadenza che sia ragionevole (e ragionevolmente flessibile). Ovvero, non così lontana da dimenticarcene, non così vicina da imporci una pressione di lavoro insostenibile, non così rigida da trasformare gli imprevisti in problemi irrisolvibili.
  7. Sia coerente con le cose che per noi sono importanti (valori, bisogni, armonia interiore, familiare, etc.). Non metta, cioè, a soqquadro un sistema di vita che ci piace e che intendiamo preservare.
  8. Sia espresso come se fosse stato già realizzato. Quindi, non “Scrivere un libro così e cosà entro il 5 aprile 2013”, bensì “Oggi, 6 aprile 2013, ho scritto un libro così e cosà”.
  9. Sia “vissuto in anteprima” immaginando come ci sentiremo fisicamente, emotivamente e moralmente ad obiettivo raggiunto. Questo ci aiuterà a rendere verosimile l’idea di tagliare effettivamente il nostro traguardo.
  10. Comporti fatica ma anche soddisfazione, rinunce ma anche gioie, impegno ma anche divertimento, lavoro individuale ma anche condivisione. 
Non sto enunciando qui principi infallibili. Semplicemente, traccio le prime battute di un percorso - diverso per ciascuno - che attende il vostro contributo.

 A presto,

Giuliana Salerno



Appunti dal corso - Incontro di sabato 17 marzo - Prima parte

Cari affezionati di Eppur si scrive, per il momento inserisco una sintesi di quanto ci siamo detti nella prima parte dell'ultimo incontro. Nelle prossime ore, esercizi, temi e attività della seconda parte. A presto.

Giuliana Salerno

Vivere (e scrivere)... intensamente

Gli scrittori (e, in generale, gli artisti) stanno al mondo in un modo singolare che li rende sensibili e ricettivi anche in circostanze apparentemente banali.
Quando “scoppia un temporale”, lo scrittore torna sotto la pioggia e vede, sente, respira, assapora quello che succede. Cerca istintivamente aspetti e punti di vista inconsueti anche in situazioni che la maggioranza delle persone tende a evitare o a considerare poco importanti.
L'invito a vivere con intensità e attenzione i dettagli dell'esperienza viene rinnovato dall’autrice Flannery O’Connor, la quale sottolinea come i cinque sensi siano il linguaggio attraverso il quale un autore trasmette ai suoi lettori la concretezza di ciò che vuole raccontare: il caldo, il freddo, gli odori, i sapori, le ombre, le luci, i rumori, il silenzio. Inserire nelle nostre storie riferimenti all’esperienza sensoriale concreta ci aiuterà a rendere più tangibili i nostri scritti.
Quando un personaggio sarà impegnato in una sofisticata dissertazione filosofica, a un certo punto leggeremo (o scriveremo) qualcosa come: “… fece una pausa, si accarezzò il mento, prese dal tavolo la lattina di birra e si mise sorseggiarla”. Il riferimento ad un’esperienza nota e riconoscibile come bere da una lattina di birra comunicherà al lettore una sensazione di concretezza, di verosimiglianza, di tangibilità.
Due cose da fare, dunque, sono:

  1. allenarsi a sviluppare la propria sensibilità percettiva (in altre parole, “osservare” i cinque sensi al lavoro);
  2. allenare le proprie capacità di indagine, per poter “distillare” dalla realtà gli aspetti di cui scriveremo. 
L’esercizio di compilazione di una “scheda tecnica” di un oggetto di casa aveva proprio l’intento di esercitare il nostro spirito di osservazione indagando aspetti della realtà che, normalmente, ci sfuggono. Il nome dell’autore del quadro che abbiamo nell’ingresso, l’origine delle chincaglierie sulla mensola del salotto, la marca di una scatola di biscotti, una descrizione accurata del loro odore e sapore: sono tutti dettagli che potrebbero raccontare delle storie. Storie di quegli oggetti e storie delle persone che con essi hanno intrecciato e intrecceranno vicende.
Questo non vuol dire che i nostri testi debbano divenire inventari di dettagli, cose e fenomeni. Ce lo spiega con il suo fascino consueto Stephen King nel capitolo dedicato alla descrizione di On Writing (in neretto, nel brano citato, sono da notare anche i riferimenti più o meno espliciti al ruolo attivo del lettore, che partecipa mentalmente alla creazione delle immagini della storia, e al rapporto che l’autore dovrebbe puntare a stabilire con il lettore stesso).
“Una descrizione labile lascia nel lettore una sensazione di disorientamento e miopia. Una descrizione massiccia lo seppellisce sotto una montagna di dettagli e immagini. Il trucco sta nel trovare un felice equilibrio. È anche importante sapere che cosa si deve descrivere e che cosa si può lasciare in disparte mentre siete impegnati nel vostro obiettivo principale, che è quello di raccontare una storia. […] Se vi dico che Carrie White è una liceale emarginata dalle compagne con la pelle rovinata ed è vestita con abiti di recupero, credo che possiate fare il resto da soli, no? Non c’è bisogno che vi dia io una descrizione accurata di brufoli e gonne. In fondo ciascuno di noi conserva nella memoria il ricordo di qualche compagna sfortunata; se io vi descrivo la mia, la vostra resta tagliata fuori e io perdo un po’ di quel legame di reciproca comprensione che desidero stabilire tra noi. […]”
(Da Stephen King, On Writing, Autobiografia di un mestiere, pp. 173-174, Sperling & Kupfer, 2001)

Una lezione analoga ci è offerta da Paul Auster, il quale nel brano che segue riporta le difficoltà di un ragazzo che cerca di raccontare a un vecchio cieco ciò che vede durante le loro passeggiate. Come leggeremo, non basta (anzi, è probabilmente controproducente) accumulare dettagli affinché chi non è partecipe della nostra esperienza (reale o immaginaria) riesca a farsene un’idea. Ci è utile pensare, anche solo per un momento, che il nostro lettore sia come il vecchio Effing di cui scrive Auster: 


“Era fondamentale ricordarsi che Effing non ci vedeva. Il mio compito non consisteva pertanto nell’affaticarlo con lunghe elencazioni, quanto piuttosto nell’aiutarlo a vedere le cose da sé. […] Mi ci vollero dunque settimane di duro apprendistato per semplificare le frasi, per imparare a separare il superfluo dall’essenziale. Scoprii che quanto più alone lasciavo attorno a una cosa, tanto più felici erano i risultati, poiché ciò consentiva a Effing di provvedere da sé alla parte fondamentale del lavoro, ovvero a elaborare un’immagine sulla base di pochi suggerimenti, a sentire la mente procedere verso la cosa che gli stavo descrivendo.”

 (Da Paul Auster, Il palazzo della luna, Rizzoli, Milano 1990) 

Se DeLillo e Calvino ci hanno insegnato quanto sia importante chiamare le cose con il loro nome, il primo con la minuziosa descrizione delle parti di una scarpa che abbiamo letto in Underworld, il secondo nella sua “Esattezza” delle Lezioni americane, King e Auster ci convincono che le parole devono essere vagliate, soppesate, selezionate; non accumulate l’una sull’altra, ma scelte.
Di seguito, un estratto dalla citata “Esattezza”, che tante altre lezioni sembra racchiudere in sé.

Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:

1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;

2) l’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili;

3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione. […]

Mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza verso il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni di insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze – è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.”

Da Italo Calvino, Lezioni americane, Mondadori, 2001, pp. 65-66.

(Fine prima parte)



venerdì 16 marzo 2012

Consigli di lettura - di Daniela Invernizzi

Carmine Abate, Tra due mari
Non conoscevo l' autore e ho preso a caso questo libro in vista dell'incontro del 24 marzo con lo scrittore a Treviglio. E subito mi sono detta:"Come ho fatto a perdermelo, finora?" È un autore meraviglioso, il suo è un memoir  di alto livello, raccontato magistralmente.  Da Amburgo al cuore della Calabria scopriamo personaggi affascinanti e ricchi di emozioni.

Jeffrey Eugenides, Middlesex
Un altro autore che mi ha davvero intrigato, una scrittura modernissima che ti impedisce di mettere il segnalibro e fare qualcos'altro. Un romanzo  ironico, intelligente, spiazzante, premio Pulitzer 2003.

Alessandro D'Avenia, Cose che nessuno sa
Ho letto questo autore molto prevenuta, devo ammetterlo, ritenendolo, erroneamente, un autore "adolescenziale". In realtà la storia ti cattura subito, è dolce, emozionante, familiare. Non è facile entrare nel mondo dei ragazzi e questo professore di liceo ci riesce benissimo. Beati i suoi studenti!


giovedì 15 marzo 2012

Consiglio di lettura - di Raffaella De Giorgio

Di Paulo Coelho, Sulla sponda del fiume Piedra mi sono seduta e ho pianto. Dopo 11 anni Pilar incontra il suo grande amore adolescenziale mai dimenticato. Scopre che quel ragazzo è diventato un uomo speciale, un uomo che ormai sta percorrendo il suo cammino verso la santità, un uomo in grado di compiere miracoli. Tra pianti e speranze questa intensa storia d’amore porterà il lettore a comprendere che amare vuol dire comunicare con l’altro e scoprire in lui una particella di Dio. 



 

martedì 13 marzo 2012

Esercizi per sabato 17 marzo

Per gli assenti e i distratti: richiedete pure testi e materiali citati sotto all’indirizzo e-mail giulianasalerno@yahoo.it. Se ne dispongo in formato digitale, potrò inviarli al vostro indirizzo di posta elettronica.

Tracce degli esercizi
1)    Compila il mini-questionario ricevuto in aula.

2)    Rivedi e raffina l’esercizio di scrittura svolto in aula.

     3)    PRIMA PARTE

Leggi il brano di Don DeLillo tratto da Underworld ricevuto in aula. Nota l’importanza dei dettagli e del nominare correttamente le parti delle cose, delle persone, dei fenomeni, dei processi.

SECONDA PARTE

Scegli due stanze della tua casa. In ciascuna di esse, individua uno o due oggetti. Ad esempio, c’è un vaso di fiori in mezzo alla stanza? Prendi nota del tipo, della provenienza, dei colori, della varietà, dell’aspetto, di chi lo ha messo lì e quando. Un quadro? Registrane l’autore, il contenuto, la provenienza, la cornice, il momento in cui l’hai visto per la prima volta e hai deciso di appenderlo a quella parete, le motivazioni. Un barattolo di marmellata. Una cintura. Uno scaffale. Un libro. Prima di iniziare a indagare e quindi a scrivere, poniti delle domande sull’oggetto sul quale hai deciso di lavorare. Conosci tutte le risposte? Probabilmente no. E allora, indossa i panni dell’investigatore! Soffermandoti sui dettagli degli oggetti, ne potrai meglio penetrare l’essenza (e acuire la tua capacità di osservazione).


Alcune indicazioni di lavoro (grazie a Dany per avermi invitato a precisare meglio i punti che seguono)

 - Sugli esercizi in genere:

Consegnatemi sempre, per piacere, una copia cartacea dei testi e degli esercizi che volete sottoporre alla mia attenzione. È utile, anche se non indispensabile, che me li anticipiate via e-mail nel corso della settimana; è, invece, necessario che provvediate voi stessi a stamparli e a consegnarmeli a mano.

-        Sull’esercizio 3) assegnato per sabato 17 marzo:

Non si tratta di un esercizio di scrittura, quanto di un allenamento all’osservazione e all’indagine. Evitate abbellimenti, infiocchettamenti e pensieri poetici. Realizzate una “scheda tecnica” degli oggetti su cui avete deciso di lavorare. Utilizzate questo approccio “scientifico” anche nel precisare le motivazioni estetiche o emotive che hanno condotto quegli oggetti nella vostra casa.

Grazie a tutti e buon lavoro,

Giuliana Salerno


Appunti dal corso - Incontro di sabato 10 marzo

Grazie a chi c’era sabato scorso nell’Aula Lodi della biblioteca civica di Treviglio. Grazie anche a chi avrebbe desiderato esserci e non ha potuto. Grazie a chi ci sarà ancora e a chi vorrà seguire i lavori di “Eppur si scrive” su questo blog.
Nelle prossime settimane riporterò qui una sintesi degli incontri del corso. Mi scuso in anticipo per qualche superficialità e inesattezza formale: l’intento principale è quello di rendere disponibile agli assenti, prima possibile, una traccia del lavoro svolto in aula.
Grazie, infine, alle persone e alle amministrazioni che fino ad oggi hanno creduto in questo progetto e l’hanno reso possibile.

 Giuliana Salerno

Parole da… sbucciare


Lo scrittore vive due volte
“Vivere due volte”: è il titolo di uno dei numerosi capitoletti di Scrivere Zen di Natalie Goldberg. Questo spunto ci è stato utile per  iniziare a indagare la figura multiforme (e multanime) dello scrittore.
“Lo scrittore vive due volte,” esordisce Goldberg. Quando scoppia un temporale, tutti corrono a cercare riparo, a preservare salute, comodità e il buon andamento delle loro faccende quotidiane. Diversamente, lo scrittore torna sotto la pioggia con il taccuino e la penna in mano e “guarda le pozzanghere, le vede riempirsi, vede le gocce di pioggia punteggiarne la superficie. Si potrebbe dire che lo scrittore si esercita ad essere stupido”. Perché lo scrittore “ha addestrato anche un’altra parte di se stesso […] Quella che si mette seduta e ripercorre mentalmente tutto ciò che è accaduto, soffermandosi a osservarne la consistenza e i dettagli”.
Essere scrittori è anche “vivere due volte”, dunque. Di più, forse: essere scrittori significa vivere molte volte. Perché lo scrittore si immerge nei dettagli dell’esistenza più intensamente di quanto facciano le persone comuni. E ritrova quei dettagli più volte, rielaborandoli e trasfigurandoli, nell’esperienza della scrittura e della riscrittura (meglio: delle riscritture).

I cinque sensi
Stiamo al mondo, di solito, senza troppo riflettere sul modo in cui il mondo stesso entra in contatto con noi (e viceversa…). 
La nostra esperienza della realtà avviene attraverso il “ponte” dei cinque sensi che sono vista, udito, tatto, gusto e olfatto (e una più varia sensibilità mentale e corporea che potremmo genericamente chiamare “sesto senso”).
Uno dei primi passi per diventare scrittori è, probabilmente, sviluppare una maggiore consapevolezza dei modi in cui facciamo esperienza della realtà. L’esperienza sensoriale è quella che accomuna gli esseri umani e che permette loro di comunicare.
I personaggi delle nostre storie saranno sempre immersi in un luogo dove farà caldo o freddo, ci sarà buio, luce o penombra, si percepiranno odori, suoni e sensazioni. Notare ed evidenziare alcuni di questi dettagli ci permetterà di comunicare meglio con i nostri lettori. Perché anche la nostra memoria e la nostra immaginazione sono “abitate” dai cinque sensi: se chiedo a qualcuno di ricordare il profumo e il sapore del caffè, probabilmente sarà capace di farlo. Se, quindi, saremo capaci di rappresentare anche nei nostri scritti odori e sapori noti, i nostri lettori potranno, a loro volta, percepirli.
Scriveva Flannery O’ Connor:

“La narrativa opera tramite i sensi e uno dei motivi per cui, secondo me, scrivere dei racconti risulta così arduo è che si tende a dimenticare quanto empo e pazienza ci vogliano per convincere tramite i sensi. Se non gli viene dato il modo di vivere la storia, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quel che il narratore si limita a riferirgli. La caratteristica principale e più evidente della narrativa è quella di affrontare la realtà tramite ciò che si può vedere, sentire, odorare, gustare, toccare. E questa è una cosa che non si può imparare con la testa; va appresa come un’abitudine, come un modo abituale di guardare le cose.”

da Nel territorio del diavolo, Theoria, Roma 1997

Quindi, una delle prime cose da fare, per chi desidera scrivere efficacemente, è allenarsi a sviluppare una straordinaria sensibilità percettiva. Fare attenzione all’intensità della luce e dell’ombra, dei colori, al caldo e al freddo, al ruvido e al liscio, a ciò che avviene dentro e fuori di noi e che percepiamo attraverso i sensi.

Alcuni suggerimenti per “sbloccarsi” di fronte alla pagina bianca (siamo ancora nella fase di “pre-scrittura”) 
Nota: prima di iniziare a scrivere, fare un bel respiro (ma anche due, tre, quattro…). Chissà perché ogni tanto ci dimentichiamo di respirare (io sono la prima a soffrire di "affanni" di varia origine...). J

Free Writing
Provare a cogliere, come ancora suggerisce Natalie Goldberg, la travolgente energia dei “primi pensieri”, ovvero dei pensieri non mediati né filtrati dal buonsenso, dalle paure, dal nostro “censore interno”, dalla preoccupazione di essere, poi, giudicati dagli altri, da motivi di convenienza sociale.
Quindi:

  • scrivere le prime cose che ci vengono in mente (meglio: trascriverle pari pari, per stupide e incoerenti che possano sembrarci);
  • non staccare la penna dal foglio;
  • non lasciarsi invischiare dalla logica: in questa prima fase, lasciarsi andare a ricordi, immagini, libere associazioni mentali;
  • non far caso alle regole di grammatica, sintassi e ortografia: il momento di correggere e rivedere il testo verrà più avanti.      

“Clustering” (o “mappe mentali”, o “costellazioni di parole”)
Si prende un foglio bianco e si scrive nel centro una parola. Tutto intorno, una dopo l’altra, si scrivono o si disegnano le parole e le immagini che ci vengono in mente. Potranno essere ricordi, immagini, associazioni di concetti, metafore, parole chiave, citazioni. Poi si prende un altro foglio e si scrivono frasi che contengano le parole che intanto si sono sviluppate sul foglio; oppure si segue l’onda di un’idea che, nel frattempo, si è sviluppata nella nostra mente. Moltissimi esempi grafici di questa tecnica sono reperibili in rete. Basta digitare in qualsiasi motore di ricerca "mappe mentali"...

Laboratorio
Esercitazione in aula dal titolo “Racconto di un’esperienza unica (e multisensoriale)…”

Per dettagli sugli intenti e i materiali visivi/auditivi/olfattivi/gustativi/tattili proposti, frequentare il corso ;-)


Tracce degli esercizi per sabato 17 marzo (qui: http://eppursiscrive.blogspot.com/2012/03/esercizi-per-sabato-17-marzo.html)
(v. post successivo)


mercoledì 7 marzo 2012

Consigli di lettura...

... non pervenuti.
In questo blog si batte un po' la fiacca.
Allora? Segni di vita leggente?
Grazie :-)
Giuliana Salerno

lunedì 5 marzo 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 7 di 7)

[...] Ettore Majorana fu pioniere in svariati ambiti della fisica. Il fatto che i suoi studi rivestano oggi un interesse scientifico rilevante può darci un’idea del suo essere in forte anticipo sui tempi.
Citiamo solo alcuni degli ambiti di ricerca in cui si cimentò. Negli articoli redatti tra il 1928 e il 1931 trattò problemi di fisica atomica e molecolare nell’ambito della meccanica quantistica; e, prima dell’annuncio ufficiale della scoperta del neutrone, fu in grado di spiegare la struttura e la stabilità dei nuclei atomici mediante protoni e neutroni. Le conclusioni dei suoi studi sulle forze di scambio nucleari furono tali che queste ultime vennero battezzate “forze di Heisenberg-Majorana” (il soggiorno di Majorana a Lipsia divenne occasione di un proficuo e intenso scambio di idee con il Nobel per la fisica Werner Karl Heisenberg).
La conoscenza che Majorana sviluppò riguardo a molti fenomeni relativi ai nuclei atomici offre una facile metafora della sua vicenda personale. Quando ci accostiamo agli eventi di cui Ettore fu testimone e protagonista, in un’Europa che sarebbe diventata di lì a pochi anni teatro di grandi sconvolgimenti, abbiamo l’impressione di osservare dall’esterno un nucleo denso, difficilmente penetrabile, costituito da componenti diverse e non sempre stabili.
In tale nucleo sembra operare una forza che tiene uniti i diversi elementi dell’esperienza sia sociale che individuale di Majorana: la peculiare congerie storico-politica; la famiglia d’origine di Ettore, caratterizzata dalla singolare compresenza di intelligenze di prim’ordine in campo economico, giuridico, politico, scientifico, educativo; la precocità manifestata da molti dei parenti di Ettore, e da egli stesso, nei vari campi del sapere; la genialità del fisico, riconosciuta e ammirata dai colleghi che ebbero modo di apprezzarla direttamente così come da coloro che l’hanno appresa poi dai suoi scritti scientifici; il carattere timido e introverso di Majorana, che corrisponde all’altra faccia “ombrosa” della sua mente brillante. Così brillante da essere, forse, incompatibile con le intelligenze “medie” che affollavano le strade, i vicoli, gli angoli in cui Majorana si mosse e nei quali, forse, decise di sparire (torna alla mente l’intricato dedalo delle vie del centro storico di Napoli, che il fisico ebbe modo di percorrere nei mesi e nei giorni precedenti quel fatidico 26 marzo).
Inoltre, per enumerare altre componenti del nucleo complesso che fu l’esperienza di  Ettore Majorana: la giovane età alla quale scomparve, che ancor oggi lo fa assomigliare di più a un figlio o a un fratello; l’ambiguità delle sue ultime parole scritte, che ritorna ad ogni rilettura (si leggano più volte le lettere a Carrelli del 25 e 26 marzo, in cui Majorana scelse parole così limpide e allo stesso tempo così dense da dare le vertigini); le incertezze sugli ultimi spostamenti tra Palermo e Napoli e su una rotta che a un certo punto sembra deviare, o interrompersi, o ridursi a un punto.
E ancora, la rinuncia obbligata, da parte del mondo della scienza, a una delle più strepitose intelligenze del ventesimo secolo, e a tutto quanto il fisico Majorana avrebbe potuto ancora svelare e divulgare.
E, per rivolgerci a tempi a noi più vicini, i risultati recenti, sebbene ancora in attesa di essere sottoposti a verifiche, che attestano il superamento della velocità della luce (Majorana aveva elaborato una teoria delle particelle elementari nella quale i neutrini potevano superare la velocità della luce senza per questo violare la relatività speciale di Einstein in quanto acquisivano una “massa immaginaria”).   
Ettore Majorana, come ebbe a scrivere Sciascia, “portava” la scienza. È curioso notare che l’etimologia greca del nome “Ettore” stia a indicare “avere, possedere, reggere”; essendo Ettore, dunque, “colui che possiede”. Quando scomparve, Majorana portò via con sé una parte di quella scienza: frammenti, probabilmente, rispetto a quanto ancora attende di essere svelato; ma un peso troppo grave, forse, per lui che era, come gli altri, soltanto un uomo.
Quei frammenti, che in quanto tali rischiavano di andare alla deriva come la Mary Celeste, sono diventati lamine d’oro per i “cercatori di senso” che le hanno estratte, raccolte, raffinate, protette, assemblate affinché assumessero un significato. 
Cercatore di senso, e non solo, è Erasmo Recami. E proprio da un articolo di Recami prendiamo a prestito le parole che ci sembrano adatte a concludere questa riflessione su Majorana, restando intatto il fascino della sua figura di uomo e di scienziato e augurandoci che egli “abbia trovato qualcosa di più importante da fare che non adattarsi ai successi di una vita accademica e del suo genialissimo pensiero”.  
Giuliana Salerno
Bibliografia consultata

Amaldi, Edoardo, “Ricordo di Ettore Majorana”, in Giornale di Fisica, 9, Bologna, 1968, p. 300. 
Carroll, Lewis, Alice’s Adventures in Wonderland, Macmillan and Co., London, 1865.  
Esposito, Salvatore e Recami, Erasmo, “Prefazione” a Majorana, Ettore, Appunti inediti di fisica teorica, Zanichelli, Bologna, 2006. 
Recami, Erasmo, “Majorana, Sciascia e la responsabilità degli intellettuali”, articolo apparso ne L’enciclopedia di Leonardo Sciascia. Caos, ordine e caso, a cura di Milone, Pietro, La vita felice, Milano, 2006, pp. 119-130. 
Recami, Erasmo, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze, Mondadori, Milano, 1987 (Le Scie – I ed.). 
Recami, Erasmo, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze, Mondadori, Milano, 1991 (Oscar – II ed.). 
Recami, Erasmo, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze, Di Renzo Editore, Roma, 2000 (III ed.).
Recami, Erasmo, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze, Di Renzo Editore, Roma, 2002 (IV ed. riveduta e ampliata).
Recami, Erasmo, Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze, Di Renzo Editore, Roma, 2008 (V ed. riveduta e ampliata). 
Sciascia, Leonardo, Fatti diversi di storia letteraria e civile, Sellerio, Palermo, 1989. 
Sciascia, Leonardo, La scomparsa di Majorana, Einaudi, Torino, 1975.


L'anno che verrà

di Lucio Dalla
Caro amico ti scrivo così mi distraggo un po'
e siccome sei molto lontano più forte ti scriverò.
Da quando sei partito c'è una grossa novità,
l'anno vecchio è finito ormai
ma qualcosa ancora qui non va.

Si esce poco la sera compreso quando è festa
e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra,
e si sta senza parlare per intere settimane,
e a quelli che hanno niente da dire
del tempo ne rimane.

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
porterà una trasformazione
e tutti quanti stiamo già aspettando
sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno,
ogni Cristo scenderà dalla croce
anche gli uccelli faranno ritorno.

Ci sarà da mangiare e luce tutto l'anno,
anche i muti potranno parlare
mentre i sordi già lo fanno.

E si farà l'amore ognuno come gli va,
anche i preti potranno sposarsi
ma soltanto a una certa età,
e senza grandi disturbi qualcuno sparirà,
saranno forse i troppo furbi
e i cretini di ogni età.

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico
e come sono contento
di essere qui in questo momento,
vedi, vedi, vedi, vedi,
vedi caro amico cosa si deve inventare
per poterci ridere sopra,
per continuare a sperare.

E se quest'anno poi passasse in un istante,
vedi amico mio
come diventa importante
che in questo istante ci sia anch'io.

L'anno che sta arrivando tra un anno passerà
io mi sto preparando è questa la novità.