Molti di voi sono rimasti perplessi all’idea di porsi un
obiettivo di narrazione prima di aver scritto alcunché. L’obiezione più
frequente: come faccio a sapere cosa avrò scritto tra sei mesi se ancora non
l’ho neanche iniziato? Risposta: infatti, non sappiamo cosa scriveremo. E meno
male! Che gusto ci sarebbe, altrimenti? Però possiamo, in parte, immaginarlo,
tanto per rendere il lavoro più agevole.
Quando cerchiamo casa, non sappiamo ancora dove andremo ad
abitare. Non abbiamo idea di quante finestre avremo, né di chi saranno i nostri
vicini, né di quanto disterà il supermercato.
Tuttavia, è possibile stabilire in anticipo alcuni
requisiti. Ad esempio, sappiamo di non voler rinunciare a una stanza per gli
ospiti e al box auto. Saremmo più contenti se la zona giorno fosse orientata a Sud
e se ci fosse almeno un fazzoletto di giardino. Inoltre, sappiamo di dover
terminare la nostra ricerca prima della fine dell’anno, quando scadrà il
contratto d’affitto dell’appartamento in cui viviamo ora. In altre parole, possiamo definire e mettere nero su bianco una parte dello scenario verso il quale ci stiamo incamminando, e in tal modo influenzarlo, modificarlo “da lontano” prima che si sia concretizzato (in realtà, ad essere influenzata sarà principalmente la nostra convinzione di raggiungere il traguardo…).
Qualcosa di simile può dirsi di un obiettivo di scrittura. Ammettiamo di aver deciso di scrivere una raccolta di racconti entro un anno; prima, cioè, del 5 aprile 2013.
Scriveremo allora, su un foglio di carta, una data e il numero approssimativo dei racconti; formuleremo delle ipotesi (sempre per iscritto) sul tipo di storie nasceranno e sulla loro lunghezza; faremo una stima del tempo che ogni giorno/settimana/mese potremo dedicare al lavoro da svolgere. Tutto questo, e molto altro, ci aiuterà a percepire il traguardo come verosimile. Non più un mero desiderio, ma una possibilità concreta. Non un vagheggiamento, ma una sensazione più simile alla consapevolezza che domani sorgerà il sole.
Sarà come avvertire la nostra mente che, di qui a poco, dovrà misurarsi con questioni creative e organizzative, e che avendole individuate e messe su carta in anticipo, tali questioni le appariranno più familiari e meno ostiche.
E ora, i legittimi dubbi:
Come faccio a “ingabbiare” la mia immaginazione in un numero determinato di ore di scrittura, di racconti, di “tipi” storie da raccontare e di altri dati prestabiliti a tavolino? Non rischio di soffocare la mia voglia di raccontare e la mia inventiva?
Possibile risposta: non si tratta di “ingabbiare” qualcuno o qualcosa. Si tratta di predisporre un percorso che abbia, sin dall’inizio, una direzione e una destinazione che diverranno, via via, più nette.
Altre perplessità:
Ma
allora, che dov’è lo spirito selvaggio dell’ispirazione? E gli imprevisti, gli
sviluppi inaspettati che danno sapore alle storie? E i personaggi che, a un
certo punto, sfuggono all’autore e agiscono di testa propria? Che fine fa tutto
questo, se ho già fissato in partenza le tappe (organizzative e narrative), la
direzione, la destinazione?
Risposte possibili: il percorso segnato al principio non
sarà stato mica vergato col sangue! Lo avremo, piuttosto, abbozzato a matita,
seppure nel modo più dettagliato di cui saremo stati capaci.
Non, dunque, binari della metropolitana incuneati in tunnel
sotterranei, ma uno spazio a più dimensioni dove il nostro desiderio di
raccontare possa seguire la rotta oppure distaccarsene.
Il punto non è mettere paletti alla voglia di raccontare.
È, al contrario, dotarsi di punti di riferimento che torneranno utili nei periodi
in cui l’ispirazione sarà vaga e inconcludente, se non inesistente. È aver stabilito
dei passi da compiere e un tracciato da seguire quando l’alternativa sarebbe un foglio ostinatamente bianco per giorni, mesi, anni. È muoversi con
la scioltezza di chi ha già in mente un finale (ed è libero, in ogni momento,
di cambiarlo).
Nel prossimo post, suggerimenti per preparare un progetto
di scrittura.
Giuliana
Salerno

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