giovedì 7 aprile 2011

Diario del 6° incontro - 2 aprile 2011 - Da dove vengono le storie

"Istitutrice" non me l'aveva ancora detto nessuno...
Per inciso, ottimo attacco. Brillante, ironico, veloce: viene voglia di proseguire nella lettura. Certo, questo incipit manca di sottolineare la natura democratica, spontanea, gioiosa e assolutamente non coercitiva della candidatura (ma dovrei dire: auto-candidatura!) del cronista della settimana. Ogni sabato, al momento della nomina, vengo travolta dall'incontenibile entusiasmo dei miei corsisti: "Scegli me! Scegli me! Lo scrivo io, lo scrivo io!". Questa volta il Fatum ha designato Stefano. Sapeste gli sguardi infuocati d'invidia...

Giuliana Salerno

DAL DIARIO DI STEFANO


A furor del popolo scrivente, sobillato peraltro efficacemente dal mio compagno di banco Marino, con l’avallo della nostra “istitutrice”, vengo sorteggiato per la stesura della sesta puntata del nostro reality.
Sarà che dovevo scontare la bigiata della settimana precedente, preferisco tuttavia pensare che si volesse sentire una voce maschile all’interno del nostro gruppo. E così eccomi a voi; sappiate che non riuscirò ad essere bravo come le colleghe che mi hanno preceduto e pulito nello stile, ma dopo due giorni passati a pensare come e cosa avrei scritto, ho deciso che avrei lasciato le briglie sciolte, inaugurando uno stile che definirei “memoir ironico”, consapevole di poter raccogliere eventuali cicchetti il sabato venturo. Ma così è. Voi mi avete eletto a questo scopo, eccomi qui.
E sì che il sabato pomeriggio era iniziato nel migliore dei modi: giornata primaverile da far rimpiangere altri impegni.
Devo dire che questa sensazione è scomparsa non appena incontrati gli sguardi dei miei compagni di penna. Ad ogni saluto ricevo un sorriso cordiale che mi fa veramente bene ed inoltre al viso di ognuno posso associare un pensiero, un aggettivo, un suono. Non siamo più gli sconosciuti delle prime puntate e i dialoghi fra noi sono più sciolti, mi sembra che ognuno inizi ad avere meno remore a leggere i propri scritti, sia spontaneamente  che se richiesto.
Perché penso fosse proprio questo ciò che ci bloccava un po’ all’inizio, sia il mettere in pubblico noi stessi attraverso i nostri scritti che l’essere giudicati da estranei.
Ci siamo poi scoperti essere realmente tutti diversi ma con il piacere comune dello scrivere, del raccontare, dell’ esprimersi, e questi tratti in comune hanno iniziato a regalarci il senso del gruppo.
La cronaca, dunque.
Causa guasto si fa a meno del televisore e anche se avremo perso la multimedialità della esposizione ne guadagniamo in attenzione nei confronti di Giuliana. Anche lei è divenuta molto più… agile, direi, nel condurre il filo del discorso.
Il tema che andremo ad affrontare penso si possa riassumere con “l’idea del racconto”, ovvero di che materia esso sia fatto, da dove nasca e come si sviluppi nella mente dello scrittore.
Iniziamo facendo un riepilogo degli argomenti del precedente incontro e leggiamo alcuni esperimenti che consistono nella rielaborazione degli incipit dei libri che i miei colleghi hanno portato in aula. Questo per dare un esempio di come possa essere l’inizio di una storia, di tipo “rock” come nella già citata “Metamorfosi” di Kafka, oppure di tipo “lento”. La scelta fra un tipo di attacco e l’altro non è di qualità, mi sembra di capire, ma può rivelarsi più o meno efficace nell’“acchiappare” il lettore all’amo oppure nel sedurlo lentamente.
Resa chiara l’importanza dell’incipit, mi colpisce molto ciò che ci viene esposto circa il primo capitolo di un libro: spesso è quello che verrà riscritto in toto, soprattutto quando si sarà giunti alla fine dell’ultimo. E qui Giuliana sottolinea come sia importante “finire qualcosa”, si tratti di un racconto, di un articolo, di una poesia, piuttosto che lasciare in sospeso mille idee appena abbozzate.
Ciò per provare il senso di appagamento conseguente al finire ciò che si è iniziato – e quindi, per sentirsi stimolati a rimettersi al lavoro su qualcosa di nuovo –, ma anche per raggiungere un livello accettabile della qualità del prodotto finale. “Rimanere sul pezzo”, come si suol dire, facilita la concentrazione e procura una maggiore soddisfazione rispetto al perdersi in molteplici meandri senza portarne a compimento nessuno.
Come si procede, allora? È solo questione di metodo, di pianificazione? Non sempre. Ognuno deve trovare l’approccio che va bene per lui (o per lei). Per fortuna, allora, che esiste uno scrittore come Stephen King, che non progetta nulla (o quasi nulla); sembra che lui parta da un’idea, da una situazione o da un personaggio e lascia che questi prendano corpo e abbiano una vita propria.
Lo scrittore, dice King, è come l’archeologo che inizia a scavare per portare alla luce un fossile: non sa cosa verrà fuori, forse solo una tellina o, magari, un tirannosauro. Potenza e mistero della scrittura.
L’esercizio di oggi consisterà nello scrivere la conclusione del racconto di cui abbiamo già realizzato l’incipit. Ovviamente, precisa Giuliana, quella di scrivere il finale di una storia che ancora non si conosce pienamente, perché ancora non la si è scritta, è una piccola provocazione, oltre che un esercizio utile a lavorare “con la fine in testa”. Un po’ come succede con la definizione dei propri obiettivi: averli già in mente, anzi, meglio, averli messi per iscritto permette di procedere con maggiore convinzione di realizzarli e attiva insospettabili risorse creative. Anche se poi, strada facendo, ci accorgeremo che preferiamo modificare il finale o altre parti della nostra storia (e della nostra scaletta, ricordate?), che quindi non sono mai scolpite nella pietra, ma possono essere, all’occorrenza, rimaneggiate.
Il mio timore, ma forse è lo stesso dei miei colleghi di penna, è che dobbiamo affrontare anche noi il problema dello scrittore di professione: come suscitare la scintilla creativa? Come si raggiunge la concentrazione? Sembra che i migliori parti letterari, così come le prestazioni di alcuni atleti, avvengano in uno stato mentale in cui si agisce per “competenza inconscia”. Bellissima questa. Me la vendo con il mio capo la prossima volta che mi becca assorto nei miei pensieri durante una riunione. “Sto elaborando la strategia per raggiungere il budget” gli dirò, “non interrompere il mio flusso creativo!” Chissà se me la passa.
Concordo con Gabriel García Márquez, modestamente, quando asserisce che l’atto creativo è come la scoperta del mondo: egli descrive il momento di quando nasce l’idea del romanzo come un fulmine di energia euforizzante che pervade la mente ed il corpo.
Giuliana ci riporta quindi una serie di suggerimenti per agevolare l’attività dello scrivere. Il primo è  di Aristotele, il quale consiglia che l’idea, un volta concepita, vada poi “drammatizzata” cioè le venga impressa “azione”.
A questo punto, trovato il percorso, bisogna dotarsi del bilancino del farmacista: al lettore vanno date solo le coordinate principali, lasciando che sia la sua fantasia a fare il resto.
Questo concetto francamente mi sorprende e mi affascina: non avevo mai pensato, come lettore, di essere stato reso, a mia insaputa, un collaboratore dello scrittore. Affinché questo processo accada, l’autore deve saper economizzare le informazioni e non eccedere nel descrivere gli stati d’animo.
Inoltre, è necessario documentarsi sul luogo in cui si svolge la vicenda narrata, soprattutto se si immagina di ambientare una storia in un luogo in cui non ci si è mai stati. Attenzione, poi, agli errori grossolani: non si può parlare di sole a picco se la storia si svolge ai Tropici durante la stagione delle piogge!
Stephen King esorta a scrivere di ciò che sappiamo, seguendo una “idea di massima” da sviluppare con adeguata documentazione.
Mario Vargas Llosa afferma, tra le altre cose, che scrivere romanzi sarebbe equivalente a uno "streap-tease alla rovescia": nell'elaborare la storia, il romanziere andrebbe vestendo la propria nudità iniziale, mascherando la sua personale vicenda. E proprio quest'ultima sarebbe il punto di partenza di ogni opera, dal momento che "la radice di tutte le storie è l'esperienza di chi le inventa".
Roberto Cotroneo associa invece l’attività dello scrivere a quella di un viaggiatore che, man mano che prosegue sul suo percorso, ad un bivio farà una scelta (senza il TomTom): perché il nome di una località lo ispira di più o perché si lascia condurre dall’istinto.
Anche la descrizione del personaggio può riservare sorprese, soprattutto quando questo inizia a sfuggire alla penna dello scrittore dotandosi di una propria autonomia e personalità. Se tale fatto accadesse, potrebbe anche risultare paradossalmente positivo. Ho quindi deciso che non scriverò mai di mia suocera: salterebbe fuori dalle righe per dirmene quattro.
Mi piace pensare che lo scrittore possa davvero procedere così, partire da alcuni elementi di base e poi girovagare libero, non necessariamente conscio della direzione, senza meta, quasi come se avesse intrapreso un “percorso di autoconoscenza”.
A proposito di un possibile metodo per realizzare una storia, Giuliana cita dal Manuale di scrittura creativa di Roberto Cotroneo le varie fasi dell’elaborazione del suo romanzo Otranto. L’autore era partito dall’idea di scrivere un libro sulla luce, immaginando quindi una storia ambientata in una Otranto invasa dalla luce riflessa dalle chiare pietre calcaree. Da questi pochi elementi iniziali e dall’idea di una protagonista olandese, originaria, cioè, di un luogo in cui la luce è meno intensa, Cotroneo ripercorre nel suo manuale il processo di narrazione scritta di una vicenda che ha preso forma progressivamente, seguendo un filo che si è andato sviluppando “un bivio dopo l’altro”.
A proposito di errori da evitare, ci viene ricordato l’ammonimento di Checov (ricordo bene?): se nel racconto si nomina un fucile, questo deve poi sparare. Non mettiamo quindi oggetti o riferimenti non pertinenti al contesto.
Per aiutarci alla creazione della trama del nostro racconto, Giuliana ci indica alcuni possibili “fonti di approvvigionamento” per lo scrittore: notizie, aneddoti, proverbi, ricordi, sogni, oggetti, fotografie, musica, i vicini di casa..
Impostata la trama, ci possono venire in aiuto particolari strumenti per attirare l’attenzione del lettore oppure per depistarlo. Il grande Hitchcock utilizzava per quest’ultimo scopo lo strumento del MacGuffin, cioè una scappatoia, un trucco, un espediente per depistare l’attenzione dello spettatore e sviluppare la trama verso snodi imprevisti.
Ciò significa che l’autore può stringere un patto con il lettore circa la verosimiglianza dello scritto, ma poi portarlo apparentemente fuori strada, coinvolgendolo in un viaggio appassionante.
Ed è così che mi è piaciuto intrattenervi, con questo mio modo di scrivere poco rispettoso della grammatica e del vocabolario (a volte per scelta, spesso per somaraggine), per niente “stiloso” ma, spero, personale.
Mi viene in mente a questo punto una notizia letta tempo fa nella Settimana Enigmistica, tra quelle della serie ”Forse non tutti sanno che..”: uno scrittore alle prime armi infilò un biglietto da cento dollari nelle ultime pagine in ognuno dei pochi libri che costituivano la sua prima edizione… Purtroppo per voi, se siete arrivati indenni sino a qui, avendo mutuo e due figlie, posso solo ringraziarvi per l’attenzione.

Stefano S.






5 commenti:

  1. Spassoso!
    Bene, bravo, ma soprattutto BIS!!!!!!

    Giuliana (l'altra, non l'istitutrice)

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  2. Giuliana Rottermeyer7 aprile 2011 alle ore 15:19

    Stefano, quindi se ho capito bene ti ricandidi? ;-)

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  3. I miei primi due commenti... wow !!
    Commosso, direi.

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  4. Ho letto solo ora, con enorme ritardo.
    Grande!!!!!!! Bravissimo Stefano. E' stato un divertimento leggerti.
    Firmato: l'altro 50% della rappresentanza maschile del corso.

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