lunedì 13 febbraio 2012

Cuore e performance

In questo periodo sono affascinata dal tema della gestione del tempo e delle risorse per realizzare i desideri che ci stanno a cuore. Il desiderio di fare, di preparare progetti, di portare a compimento obiettivi e rendere concreti i sogni si scontra, inevitabilmente, con una quantità limitata di ore a disposizione. Ore e minuti da cogliere, riempire, sminuzzare, distribuire, rendere degni e preziosi con pensieri, azioni, sentimenti. Ore e minuti che sfuggono e che, tuttavia, sono tutto ciò che abbiamo per dare senso ai ruoli e alle relazioni di cui si vestono le nostre identità molteplici.
Di seguito, traduco liberamente una parte dell’articolo di Maria Popova comparso sul sito Branpickings.org (qui). Un brano alquanto sbilanciato sull’ansia di “produrre risultati”, che propongo di mitigare con queste parole di Alessandro D’Avenia, insegnante di scuola e scrittore. Tanto per conciliare cuore… e performance:

“Non sempre abbiamo il coraggio di ritagliare i nostri impegni di lavoro, la nostra auto-affermazione con i suoi ritmi asfissianti, i nostri spazi, per regalarli ai nostri studenti e ai nostri figli. Ma forse questa è l’unica cosa che possiamo veramente donare agli altri, perché prendere il proprio tempo e regalarlo è amare, educare, liberare. (…)”

***

Breve storia delle “to do lists”e del perché in tanti le usiamo (Prima parte)
di Maria Popova
Pace fatta tra metodo e istinto (?)… e cosa hanno in comune Benjaming Franklin e Drew Carey

“Compilare liste è all’origine della cultura”, ha affermato, come è noto, Umberto Eco (Leonardo da Vinci, John Lennon e Woody Guthrie sarebbero d’accordo con lui). Eppure, a quanto pare, le liste di cose da fare potrebbero essere all’origine della più grande felicità come della più cupa insoddisfazione.

È quanto sostengono l’autore scientifico John Tierney e lo psicologo Roy F. Baumeister in Willpower: Rediscovering the Greatest Human Strength (La forza di volontà: riscoprire la più grande delle facoltà umane).

Nel complesso, un manuale di auto-aiuto interessante e originale, che si alimenta di trent’anni di intensa ricerca sui temi della volontà e della capacità di autogestione e che contiene un interessante capitolo (il terzo) dal titolo “Breve storia delle liste di cose da fare, da Dio a Drew Carey”: un’accurata “dissezione” del nostro strumento organizzativo preferito. Dal “piano in sei fasi” con cui gli autori della Bibbia raccontarono la Creazione nel Libro della Genesi, all’anelito alla virtù che Benjamin Franklin perseguiva attraverso liste di obiettivi da raggiungere, alla massima produttività personale cui tende continuamente l’autore teatrale Drew Carey , le “to do lists” sembrano essere da sempre il metodo più naturale per organizzare tempo e cose da fare.
Aneddoti e frammenti di mitologia della cultura si intrecciano con esperimenti psicologici del secolo scorso fino a proporre una sintesi finale sui modi in cui trasformare le liste di cose da fare in uno strumento capace di creare soddisfazione (e non frustrazione).
Franklin, per esempio, sosteneva che una delle principali trappole delle liste fosse quella di voler fare troppe cose insieme: inevitabilmente, i diversi obiettivi finiscono con l’entrare in conflitto tra loro.

Franklin tentò un approccio del tipo Divide et impera. Stilava una lista di virtù e collegava ciascuna di esse alla breve descrizione di un obiettivo. Ad esempio, riguardo la virtù dell’Ordine, scrisse: ‘Ogni cosa al suo posto e il tempo adeguato per ogni compito’. Senonché, nel momento in cui, da bravo operaio di tipografia, provava a mettere in pratica questa regola definendo una rigida scansione del lavoro, i clienti prendevano a interpellarlo con istanze non previste e lui era obbligato a venir meno alla sua tabella di marcia.
Quando, invece, decideva di praticare la ‘Frugalità’, avendo cura di non sprecare nulla, di rammendarsi gli abiti e di prepararsi da solo i pasti, gli rimaneva sempre meno tempo per il lavoro in azienda (e anche per progetti collaterali quali far volare un aquilone con il temporale o rivedere e correggere la Dichiarazione di Indipendenza).
Scegliere di passare una serata con gli amici quando era indietro sul lavoro significava spesso venir meno alla virtù dei ‘buoni propositi’: la determinazione di portare a termine le cose.

Obiettivi in conflitto tra loro, affermano gli autori del libro in questione, sono causa di infelicità, non di produttività. È anche vero che saper individuare i giusti obiettivi può essere una faccenda complicata.
Tierney e Baumeister riferiscono di un esperimento condotto da uno psicologo che era stato invitato al Pentagono per parlare di gestione del tempo e delle risorse. Per far “scaldare” un po’ l’atmosfera, propose ai generali presenti di svolgere un breve esercizio scritto. Chiese loro di sintetizzare in 25 parole la loro strategia di azione.

L’esercizio creò imbarazzo nella maggior parte dei presenti. Nessuno di quei distinti signori in uniforme fu capace di venire a capo di nulla. L’unica a riuscire nell’esercizio fu la sola donna generale presente nell’aula. Alle spalle, una carriera pregevole: aveva risalito tutti i gradi della gerarchia militare ed era stata ferita in Iraq. Questa donna così sintetizzò il suo approccio: ‘Per prima cosa faccio una lista delle priorità: uno, due, tre e così via. Poi cancello tutto con una riga dalla terza in poi.’”

Una strategia senza troppi scrupoli, forse; eppure, secondo gli autori di Willpower, una versione sintetica di un metodo che riconcilia il lungo termine con il breve termine, o il quadro d’insieme con i dettagli. (Continua…)




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