giovedì 2 febbraio 2012

Gisa

Il seguito di “Chi mi aiuta a finirlo?” scritto da Marino Polgati. Per l’incipit del racconto, andate a leggere qui.
Se avete altre proposte di sviluppo, inviatele qui.

Grazie della partecipazione!
 
Giuliana Salerno

[…]

Lei salì in auto e si avviò spedita verso il centro.
Lui prese la sua e si mise a seguirla alla distanza di un centinaio di metri. Aveva timore di perderla di vista, ma avvicinarsi di più significava farsi riconoscere.
Dopo pochi minuti, Gisa entrò in un parcheggio all’aperto. Andrea, invece, si fermò fuori. Vide lampeggiare i fari della macchina di lei e altri fari che le rispondevano pochi metri più in là.
Gisa scese e si avvicinò all’altra auto. Salì.
Andrea la vide allungarsi verso il guidatore. Gli sembrò che l’avesse baciato sulla guancia e non sulle labbra. L’auto uscì dal parcheggio e Andrea la seguì. Ora il viaggio continuava fuori città, fino ad arrivare al primo paese subito dopo la periferia. L’auto sulla quale c’era Gisa si fermò al lato della strada, vicino ad un locale dove si intuiva parecchio movimento. “Già,” pensò Andrea “prima si fa una chiacchierata buttando giù un po’ d’alcool… così ci sono meno freni e meno sensi di colpa per quello che deve accadere dopo.”
Andrea spense immediatamente i fari e, mentre i due raggiungevano il locale a piedi, scese a sua volta dall’auto.
Lasciò che entrassero e si fermò fuori accendendo una sigaretta. La rabbia cominciò a farsi largo nella sua mente. Si sentiva preso in giro, ingannato. Era già accaduto tempo prima. Lei lo aveva tradito in un periodo in cui erano in rotta. Era successo una volta sola e glielo aveva confessato in lacrime. Andrea aveva capito la sua sofferenza e l’aveva perdonata. Ora si dava dello stupido.
“Chi ti tradisce una volta ti tradirà ancora,” gli aveva detto il suo migliore amico.
“Non Gisa” aveva risposto lui, deciso.
“Che stupido!” si disse “Perchè Gisa avrebbe dovuto essere diversa?”
Si accese un’altra sigaretta, muovendosi avanti e indietro come un animale in gabbia. Era ormai la quinta, e non si decideva ad entrare nel locale.
Da fuori si sentiva la musica. Stavano suonando dal vivo. Blues. Summertime. Interessante. Per un attimo si lasciò prendere da una stupenda voce di donna. Roca. Quasi nera.
“Proprio come Janis Joplin”.
Gli piaceva il blues e piaceva anche a Gisa. Ora che ci pensava, la prima volta che l’aveva vista era stato proprio ad un concerto blues. La musica gli arrivava a tratti, fuori si era alzato un vento freddo che spezzava le note che arrivavano al suo orecchio. Si decise ad entrare.
“Appena la vedo, la saluto da lontano. Mi vedrà e capirà che forse non è il caso che torni a casa”.
Rimase ancora qualche secondo all’esterno, indeciso se dare un taglio netto alla sua precedente vita oppure risalire in auto e fingere di non avere visto. La musica gli entrava dolce e suadente nelle orecchie e nel cuore. Sì, forse era il caso di tornare a casa e fingere che nulla fosse accaduto. La voce femminile gli giungeva con le sue note malinconiche. Spinse la porta ed entrò. Cinque musicisti erano sul palco a suonare le ultime note della canzone. La voce roca che lentamente sfumava nel finale. Don’t you cry. Cry.
“Che voce fantastica” si disse Andrea, applaudendo assieme agli altri.
Guardò la cantante che si inchinava agli applausi e ringraziava tirandosi indietro i folti e lunghi capelli ricci. Rimase a guardarla interdetto. Era Gisa.

Marino Polgati


Rita Hayworth (Gilda)

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