domenica 19 febbraio 2012

Il nucleo denso del caso Majorana (Puntata 5 di 7)

[...] Non è scontato affermare che l’esperienza di Majorana scienziato non andrebbe disgiunta da quella di Majorana uomo. Sciascia sottolinea con efficacia questo essere “tutt’uno” di Ettore Majorana: il capitolo III, in particolare, impone di fermarsi a riflettere sui temi della vocazione e dell’ingegno. È in una pagina di straordinaria forza che lo scrittore racconta la “differenza” che marcava il confine tra Majorana e i “ragazzi di via Panisperna”:

“[…] Fermi e i ‘ragazzi’ cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l’amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, ‘la portava’. Un segreto fuori di loro – da colpire, da aprire, da svelare – per Fermi e il suo gruppo. E per Majorana era invece un segreto dentro di sé, al centro del suo essere; un segreto la cui fuga sarebbe stata fuga dalla vita, fuga della vita. […]”

Ettore Majorana come individuo che “porta” la scienza, dunque, che già la possiede in quanto parte integrante del suo essere; Ettore Majorana che non avrebbe bisogno di cercare fuori di sé – o ne avrebbe bisogno, ma in modo diverso da tutti gli altri – in quanto già, egli stesso, un unicum di domande e risposte.
E se da un lato la genialità di Majorana, così ovvia e dirompente da essere notata da tutti, avrà suscitato invidia e ammirazione, dall’altro lato lascia attoniti il prendere atto della rinuncia dell’uomo – se di rinuncia si trattò – all’esercizio del suo straordinario talento. Rinunciando alla scienza, Majorana rinuncia a sé stesso. Oppure, al contrario, come alcuni hanno osservato, abdicando alla scienza Majorana guadagna spazio per sviluppare la sua identità e crearsi una dimensione a misura d’uomo (e non di genio).
Quale che fosse l’intento di Majorana – rinunciare alla vita o “riprendersela”, posto che sia stato egli solo l’artefice del proprio destino – queste pagine di Sciascia possono diventare per i più giovani l’occasione per riflettere sull’opportunità di prendere decisioni sul proprio futuro. Per capire quale posto desiderino occupare nel mondo, e muovere in direzione di quello. Per passare in rassegna i propri talenti naturali e stabilire come coltivarli.
Perché è vero che alcuni di noi, come Ettore Majorana, inequivocabilmente “portano” un’attitudine, e con essa devono venire a patti nel senso di farla fiorire o, scientemente, di relegarla in un canto; ma è anche vero che in molti casi propensioni e attitudini non sono così lampanti ed è necessaria un’auto-esplorazione più minuziosa e accorta, da svolgere mettendosi in paziente ascolto di sé.
Non è fuori luogo, a questo proposito, citare le parole rivolte dallo Stregatto del romanzo di Lewis Carroll ad Alice. Avendogli chiesto quale strada debba prendere per andarsene, la bambina si sente rispondere: “Dipende molto da dove vuoi andare”. E se Alice ribatte: “Non mi importa molto il dove”, è significativo che l’altro le faccia osservare: “Allora non importa quale strada prendi”.
Aveva idea Majorana di dove volesse andare? Non è dato saperlo. Sciascia, in un parallelo con Stendhal e con la sua “precocità ritardata al possibile”, scrive di come lo scienziato tenti di rinviare il più possibile il futuro che per lui appare già scritto. Di come tenda a sottrarsi alla sua vocazione naturale, a sfuggire alla condivisione del “segreto” di cui sembra essere il custode (anche in questa  parte del testo Sciascia allude con ogni probabilità a una sorta di precognizione di Majorana circa la potenzialità distruttiva di alcune scoperte; e dunque, al “sottrarsi” di Majorana alla scienza come ad un atto di responsabilità). (Continua…)

Nessun commento:

Posta un commento