martedì 25 dicembre 2012

Il regalo - Racconto


Giovanna gli sorrideva mentre lui fissava, con un po' di sgomento, il pensierino appena scartato sotto l'albero. Poteva confessarle che era il regalo più orrendo che avesse mai ricevuto?
No, che non poteva.
Avrebbe rovinato tutto. Sì, perché lui ormai si era convinto, già dai primi istanti del loro incontro, che lei fosse la sua anima gemella, l'altra metà della mela, del cielo, della terra, quello che volete.
Si erano piaciuti e presi subito, dopo la serata alcolica a casa di quello stordito di Cecco, buono a nulla nella vita, ma insuperabile organizzatore di party prorimorchio.
Lei era bella, giovane, intelligente, disinibita. Aveva gli stessi suoi gusti, gli stessi interessi, lo capiva al solo sguardo.
Almeno fino ad ora.
Insieme si erano davvero divertiti negli ultimi mesi, e sembrava tutto così perfetto che neppure questa nota stonata del rito natalizio, che lei aveva organizzato cogliendolo di sorpresa, con tanto di alberello e palline, e cenetta e regalini, era riuscita a scalfire la certezza che lei fosse davvero quella giusta, l'insostituibile, la papabile, l'impalmabile.
Forse.
Ma la cravatta rosa antico con gli elefantini gialli non si poteva proprio vedere. Che cosa c'entrasse lui, insegnante di ginnastica perennemente in tuta, con una cravatta da denuncia, proprio non riusciva a spiegarselo. Quale poteva essere stato il motivo scatenante per cui lei aveva deciso che a lui piacessero le cravatte?
Forse era uno scherzo.
Che poi non era nemmeno per il colore o il disegno, era proprio per la cravatta in sé. Quando mai lui ne aveva indossata una? Era sempre riuscito a svicolare dall'obbligo del fastidioso orpello in più di un'occasione, che fosse una riunione scolastica o un matrimonio, grazie all'unica giacchetta stilosa che possedeva e che lo salvava dall'accusa di sciatteria.
Solo una volta aveva indossato l'osceno cappio, al funerale di suo padre, preso a tradimento dalla mamma che gliel'aveva legato al collo approfittando del suo dolore, una striscia nera d' incerta provenienza, probabilmente appartenuta al defunto.
Riposa in pace, pezzo inutile di stoffa.
Il turpe accessorio era un affare che proprio non lo riguardava. Nel suo armadio, che pure lei aveva sbirciato, impicciona, quelle volte in cui si era fermata da lui dopo le mirabolanti sedute alle quali fin da subito lo aveva abituato, non ce n'era neanche l'ombra. Impossibile pensare che ne avesse bisogno, visto il suo consueto abbigliamento. Impensabile anche solo sperare che gli piacesse.
Ma anche inconcepibile, ora, dirle che aveva toppato in pieno.
Lei se la sarebbe presa a morte, ne era sicuro. Aveva già capito il genere, del tipo sexy e intelligente ma anche permalosa, come quella volta a Roma quando la piccola non era riuscita a tradurre l'iscrizione latina e lui le avevo fatto un mazzo tanto, rinfacciandole l'inutilità dei suoi studi classici.
Lei non l'aveva più guardato in faccia per tutto il pomeriggio.
Ecco perché non gli andava 'sta cosa dei regali di Natale. C'era sempre da venirne fuori con le ossa rotte. Ci avevano scritto sopra e libri e commedie su questa iattura natalizia, e sul suo corollario di fraintendimenti, incomprensioni, inutili discussioni. Non c'era un solo amico o conoscente che non avesse ricevuto un orrore come regalo di Natale; che non si fosse sentito incompreso, poco apprezzato, offeso da quell'oggetto che avrebbe dovuto gratificarlo e invece gli aveva provocato sinistri moti intestinali.
“Se non ti piace il colore, possiamo cambiarla. C'è anche blu" dice lei a un tratto.
Blu con gli elefantini gialli, che delizia. Sarebbe stato anche peggio, gli elefantini si sarebbero notati di più.
No, grazie.
Ma come rifiutare il regalo senza rifiutare, implicitamente, anche lei? Certo, c'era anche l'opzione fare finta di niente e accettare di buon grado, ma ciò avrebbe significato doverla indossare, prima o poi, la striscetta immonda, almeno per una volta.
Non poteva farcela.
Il pensiero di mettersi quella cosa soffocante al collo, proboscide in un mare di proboscidi, gli faceva accapponare la pelle.
Doveva dirglielo.
Però, però. Cosa avrebbe fatto senza di lei, se l’avesse perduta? Se lei si fosse offesa oltremisura, e non l'avesse più voluto vedere? Oppure fosse rimasta tanto amareggiata da farlo sentire un verme, rovinando così la serata che già era iniziata male con 'sta cosa dell'alberello e delle palline e delle lucine e dei regalini, ma che almeno poteva finire in bellezza su quel bel tappeto soffice vicino al caminetto che aveva adocchiato fin dal suo ingresso?
No, dai.
Prese un bel respiro, mise su il suo faccione da cucciolotto che lei adorava, aprì la bocca e in un soffio rispose: “Grazie, tesoro. E’ bellissima”.
Lei lo guardò con un misto di tenerezza e ammirazione. Il tappeto soffice sembrò avvicinarsi da solo. La meta era a un passo. Mancavano solo pochi attimi, quelli che a lei sarebbero serviti per scartare il suo, di regalo, e poi finalmente la serata avrebbe preso la piega giusta, l’unica che avrebbe potuto rendere sopportabile l’albero, le palline, le lucine, eccetera.
Attese.

Pietro la guardava con un misto di venerazione e desiderio mentre lei si rigirava fra le mani il contenuto del pacchetto appena scartato, un tremendo perizoma rossonero. Poteva confessargli che era il regalo più imbarazzante e offensivo che avesse mai ricevuto?

Daniela Invernizzi


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