martedì 11 dicembre 2012

Tempo fuori tempo

Volendo esprimere l’idea un’esperienza che è stata come un viaggio dentro noi stessi, un movimento interiore dal quale non siamo usciti indenni, ma inevitabilmente trasformati, diciamo che abbiamo fatto una “full immersion”. Dove l’aggettivo “full”, “pieno”, assume anche i significati di profondo, intenso, coinvolgente. Eventualmente faticoso, impegnativo.
Le full immersion migliori sono quelle che ci capitano senza esserci preparati a viverle, e che si verificano perché qualcosa, da qualche parte, è andato storto o non è andato secondo programma. Un appuntamento saltato all’ultimo momento. Un impegno rinviato. Un guasto al treno che, nello stesso tempo (per l’appunto: nello stesso tempo), azzera e dilata il tempo che ciascun viaggiatore si illudeva di poter controllare dal suo orologio.  
L’imprevisto apre il sipario su una scena in cui non sappiamo di essere attori, e dove allora siamo più autenticamente noi. Dove possiamo dare il peggio o il meglio di noi stessi. Possiamo rimanere avvinghiati al programma che avevamo meticolosamente messo a punto, e arrabbiarci perché è andato in aria. Oppure possiamo rilassarci e godere di quello scarto inatteso di ore e minuti, di quell’intervallo regalato tra il prima e il dopo. Riempirlo con un incontro, qualche parola gentile, un respiro, un po’ di silenzio o un altro inizio.   
 
Il seminario di scrittura creativa che Raul Montanari ha tenuto a conclusione del festival Presente Prossimo, pur essendo un evento inserito in calendario con adeguato anticipo, ha avuto le caratteristiche migliori di una full immersion imprevista. È stato pieno, profondo, intenso, coinvolgente. Faticoso, impegnativo. E ha avuto dentro di sé un tempo dilatato da riempire come l’intervallo di cui sopra: con un nuovo incontro, qualche parola gentile, un respiro profondo, un po’ di silenzio, un altro inizio.
 
Giuliana Salerno

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