Raymond Carver, Niente trucchi da
quattro soldi - Consigli per scrivere
onestamente, Minimum Fax, Roma, 2002. Traduzione di Riccardo Duranti.
giovedì 19 aprile 2012
Una lezione di Raymond Carver
“Non parto mai da un’idea. Ogni volta vedo qualcosa. Parto
da un’immagine, una sigaretta spenta in un barattolo di mostarda, per esempio,
o i resti, il relitto, di una cena rimasta sul tavolo. Lattine vuote gettate
nel caminetto, roba del genere. E a queste immagini subito si accompagna una
sensazione. La sensazione sembra che mi riporti a quel particolare momento e
luogo, all’ambientazione di quel momento. Però è l’immagine – e l’emozione che
si porta dietro – la cosa più importante.”
mercoledì 18 aprile 2012
Lezioni di Flannery O'Connor
Vi avevo promesso di comunicarvi il link gratuito di un saggio sulla
scrittura di Flannery O'Connor. Mi rimangio la promessa: in quel saggio
viene svelata, senza tanti indugi, la trama di “Brava gente di campagna”, uno
dei racconti più celebri di questa autrice. È un vero peccato (ed è la ragione per
cui vi invito a non leggere il saggio prima di aver centellinato il racconto
dall’inizio alla fine, in modo da apprezzarne la fattura, la concretezza, la
potenza).
Se non l’avrete fatto prima, e se vorrete, leggeremo il racconto insieme sabato prossimo. Intanto, date un'occhiata ad alcuni brani tratti dal saggio in questione, del quale riporterò titolo e riferimenti bibliografici solo la prossima settimana.
Agli estratti sotto ho aggiunto qualche titolo che dovrebbe agevolarne lo studio (sì, lo studio: perché lo considero materiale così prezioso da meritare uno studio, più che una semplice lettura).
Resistete alla tentazione di cercarlo in internet! Sarebbe come trangugiare tramezzini alla maionese prima di un pranzo a base di pesce.
***
Cos’è un racconto
“Tutti credono di sapere che cos’è un racconto. Ma prova a chiedere a uno studente del primo anno di scriverne uno, ne caverai di tutto o quasi: reminiscenze, episodi, opinioni, aneddoti, di tutto, insomma, tranne che un racconto. Il racconto è un’azione drammatica compiuta, e in quelli più riusciti i personaggi si svelano attraverso l’azione, e l’azione è a sua volta condotta mediante i personaggi: il significato che se ne trae deriva dall’esperienza nel suo complesso.
[…]Un racconto implica sempre, in forma drammatica, il mistero della personalità. Ne ho prestati alcuni ad una signora di campagna che abita in fondo alla mia strada, e lei me li ha restituiti dicendo: "Beh , 'sti racconti ti fanno proprio vedere come si comporta davvero certa gente", e io ho pensato che avesse ragione; quando si scrivono racconti, bisogna accontentarsi di cominciare proprio da lì: facendo vedere come certa gente si comporterà, malgrado tutto.
Storie, non teorie
Si tratta, certo, di un livello molto umile da cui partire, e infatti molti tra quelli convinti di voler scrivere racconti non sono disposti a cominciare da lì. Vogliono parlare di problemi, e non di persone, di questioni astratte, non di situazioni concrete. Hanno un’idea, un sentimento, un io strabocchevole, o vogliono essere Scrittori, oppure elargire saggezza in forme abbastanza semplici perché il mondo abbia ad assorbirle. In ogni caso, non hanno una storia in testa, e se anche l’avessero non sarebbero disposti a scriverla; in assenza di storia, partono alla scoperta di una teoria, di una tecnica, di una formula.
Conoscere attraverso i sensi
[…] La narrativa opera attraverso i sensi, e uno dei motivi per cui, secondo me, scrivere racconti risulta così arduo è che si tende a dimenticare quanto tempo e pazienza ci vogliono per convincere attraverso i sensi. Se non gli viene dato modo di vivere la storia, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quel che il narratore si limita riferirgli. La caratteristica principale, e più evidente, della narrativa è quella d’affrontare la realtà tramite ciò che si può vedere, toccare, sentire, odorare e gustare.
È questa una cosa che non si può imparare solo con la testa; va appresa come abitudine, come modo abituale di guardare le cose. Lo scrittore di narrativa deve rendersi conto che non è possibile suscitare la compassione con la compassione, l’emozione con l’emozione, o i pensieri con i pensieri. A tutte queste cose bisogna dare corpo, creare un mondo dotato di peso e di spessore.
Ho notato che i racconti dei principianti sono solitamente infarciti di emozioni, ma di chi siano queste emozioni spesso è difficile determinare. Il dialogo procede sovente senza il sostegno dei personaggi che sia dato vedere, mentre il pensiero fuoriesce incontenibile da ogni angolo del racconto. Ciò avviene perché il principiante è tutto preso dai suoi pensieri ed emozioni, anziché dall’azione drammatica, ed è troppo pigro o ampolloso per calarsi nel concreto, dove opera la narrativa. È convinto che il giudizio stia da una parte e le impressioni dei sensi dall’altra. Per lo scrittore di narrativa, invece, il giudizio comincia proprio dai particolari che vede e da come li vede.
Imparare a guardare
[…] Imparare a guardare, infatti, è la base per l’apprendimento di qualsiasi arte, tranne la musica. Molti dei narratori che conosco dipingono, non perché siano particolarmente dotati, ma perché dipingere li aiuta a scrivere. Li costringe ad osservare le cose. Scrivere narrativa non è tanto questione di dire cose, quanto piuttosto di mostrarle.
Affermare tuttavia che la narrativa procede per particolari non significa limitarsi ad accumularli meccanicamente l’uno sull’altro. I particolari devono rientrare in un disegno complessivo, e ogni particolare va messo al servizio dell’intento del narratore. L’arte è selettiva. Quello che c’è è essenziale e crea movimento.
Sul significato del racconto
[…] Quando puoi stabilire quale sia il tema di un racconto, scinderlo dalla storia stessa, alla sta’ pur certo che il racconto non è un granché. Il significato deve essere incorporato nella storia, calato nel concreto. Il racconto è un modo per dire qualcosa che non può essere detto in nessun altro modo; per trasmetterne il significato, ogni singola parola è indispensabile. Le storie si raccontano perché una serie di considerazioni risulterebbe inadeguata. Se qualcuno ci chiede di cosa tratti una storia, l’unica è rispondergli di leggersela.
Show, don’t tell
Il tipico problema dello scrittore di racconti è come far sì che l’azione descritta riveli quanto più possibile del mistero dell’esistenza. Ha poco spazio per farlo, e le considerazioni non bastano. Deve mostrare, non parlare, e mostrare il concreto: il suo problema è, quindi, fare in modo che il concreto assolva un doppio compito.”
Se non l’avrete fatto prima, e se vorrete, leggeremo il racconto insieme sabato prossimo. Intanto, date un'occhiata ad alcuni brani tratti dal saggio in questione, del quale riporterò titolo e riferimenti bibliografici solo la prossima settimana.
Agli estratti sotto ho aggiunto qualche titolo che dovrebbe agevolarne lo studio (sì, lo studio: perché lo considero materiale così prezioso da meritare uno studio, più che una semplice lettura).
Resistete alla tentazione di cercarlo in internet! Sarebbe come trangugiare tramezzini alla maionese prima di un pranzo a base di pesce.
Giuliana
Salerno
di Flannery O’Connor
Cos’è un racconto
“Tutti credono di sapere che cos’è un racconto. Ma prova a chiedere a uno studente del primo anno di scriverne uno, ne caverai di tutto o quasi: reminiscenze, episodi, opinioni, aneddoti, di tutto, insomma, tranne che un racconto. Il racconto è un’azione drammatica compiuta, e in quelli più riusciti i personaggi si svelano attraverso l’azione, e l’azione è a sua volta condotta mediante i personaggi: il significato che se ne trae deriva dall’esperienza nel suo complesso.
[…]Un racconto implica sempre, in forma drammatica, il mistero della personalità. Ne ho prestati alcuni ad una signora di campagna che abita in fondo alla mia strada, e lei me li ha restituiti dicendo: "Beh , 'sti racconti ti fanno proprio vedere come si comporta davvero certa gente", e io ho pensato che avesse ragione; quando si scrivono racconti, bisogna accontentarsi di cominciare proprio da lì: facendo vedere come certa gente si comporterà, malgrado tutto.
Storie, non teorie
Si tratta, certo, di un livello molto umile da cui partire, e infatti molti tra quelli convinti di voler scrivere racconti non sono disposti a cominciare da lì. Vogliono parlare di problemi, e non di persone, di questioni astratte, non di situazioni concrete. Hanno un’idea, un sentimento, un io strabocchevole, o vogliono essere Scrittori, oppure elargire saggezza in forme abbastanza semplici perché il mondo abbia ad assorbirle. In ogni caso, non hanno una storia in testa, e se anche l’avessero non sarebbero disposti a scriverla; in assenza di storia, partono alla scoperta di una teoria, di una tecnica, di una formula.
Conoscere attraverso i sensi
[…] La narrativa opera attraverso i sensi, e uno dei motivi per cui, secondo me, scrivere racconti risulta così arduo è che si tende a dimenticare quanto tempo e pazienza ci vogliono per convincere attraverso i sensi. Se non gli viene dato modo di vivere la storia, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quel che il narratore si limita riferirgli. La caratteristica principale, e più evidente, della narrativa è quella d’affrontare la realtà tramite ciò che si può vedere, toccare, sentire, odorare e gustare.
È questa una cosa che non si può imparare solo con la testa; va appresa come abitudine, come modo abituale di guardare le cose. Lo scrittore di narrativa deve rendersi conto che non è possibile suscitare la compassione con la compassione, l’emozione con l’emozione, o i pensieri con i pensieri. A tutte queste cose bisogna dare corpo, creare un mondo dotato di peso e di spessore.
Ho notato che i racconti dei principianti sono solitamente infarciti di emozioni, ma di chi siano queste emozioni spesso è difficile determinare. Il dialogo procede sovente senza il sostegno dei personaggi che sia dato vedere, mentre il pensiero fuoriesce incontenibile da ogni angolo del racconto. Ciò avviene perché il principiante è tutto preso dai suoi pensieri ed emozioni, anziché dall’azione drammatica, ed è troppo pigro o ampolloso per calarsi nel concreto, dove opera la narrativa. È convinto che il giudizio stia da una parte e le impressioni dei sensi dall’altra. Per lo scrittore di narrativa, invece, il giudizio comincia proprio dai particolari che vede e da come li vede.
Imparare a guardare
[…] Imparare a guardare, infatti, è la base per l’apprendimento di qualsiasi arte, tranne la musica. Molti dei narratori che conosco dipingono, non perché siano particolarmente dotati, ma perché dipingere li aiuta a scrivere. Li costringe ad osservare le cose. Scrivere narrativa non è tanto questione di dire cose, quanto piuttosto di mostrarle.
Affermare tuttavia che la narrativa procede per particolari non significa limitarsi ad accumularli meccanicamente l’uno sull’altro. I particolari devono rientrare in un disegno complessivo, e ogni particolare va messo al servizio dell’intento del narratore. L’arte è selettiva. Quello che c’è è essenziale e crea movimento.
Sul significato del racconto
[…] Quando puoi stabilire quale sia il tema di un racconto, scinderlo dalla storia stessa, alla sta’ pur certo che il racconto non è un granché. Il significato deve essere incorporato nella storia, calato nel concreto. Il racconto è un modo per dire qualcosa che non può essere detto in nessun altro modo; per trasmetterne il significato, ogni singola parola è indispensabile. Le storie si raccontano perché una serie di considerazioni risulterebbe inadeguata. Se qualcuno ci chiede di cosa tratti una storia, l’unica è rispondergli di leggersela.
Show, don’t tell
Il tipico problema dello scrittore di racconti è come far sì che l’azione descritta riveli quanto più possibile del mistero dell’esistenza. Ha poco spazio per farlo, e le considerazioni non bastano. Deve mostrare, non parlare, e mostrare il concreto: il suo problema è, quindi, fare in modo che il concreto assolva un doppio compito.”
Lettere di Italo Calvino a Raffaello Brignetti
13 gennaio 1959
Caro Brignetti,
ho riletto il tuo libro (La riva di Charleston, N.d.R.) e l’ho
fatto leggere ad altri amici. E devo dirti sinceramente che i difetti
fondamentali che c’erano prima ci sono ancora. E non so darmene pace perché
sono convinto che il libro buono c’è, si tratta solamente di sfrondare,
tagliare senza pietà.
Tagliare cioè tutto quel che
c’è di “poetico” e “profondo” e che invece è terribilmente di second’ordine:
tutti i discorsi su E, i dialoghi d’amore, i ricordi del dizionario e della
palude, insomma tutto il mondo psicologico di questo babbeo di protagonista
devi – non dico modificarlo o attenuarlo o sfoltirlo – devi farlo sparire
completamente, non lasciarne traccia, dimenticarti completamente di averlo
scritto. Hai in mano un romanzo bellissimo; con una struttura narrativa a prova di bomba, con un interesse di vicende che ti prende da principio alla fine, con quella virtù mai abbastanza lodata nei pochi romanzieri che ce l’hanno che è la precisione […] e vai a infarcirlo di tutti i cascami d’un lirismo retorico da quattro soldi! Sono molto arrabbiato con te, di non riuscire a farti capire questa cosa.
Mi dirai: ma allora devo fare del protagonista una figura di cui si sa poco o nulla, anonimo, senza volto? Sì, ti rispondo, certo, chi se ne frega, fai del protagonista una figura di cui si sa poco o nulla, anonimo, senza volto, che se mai i suoi ricordi se li tiene per sé, e vedrai che tutto fila e il romanzo diventa un bellissimo romanzo.
Ti rimando il dattiloscritto. Vorrei che ti rimettessi a lavorare armato d’una sacra ferocia verso te stesso e d’un sacro amore verso la tua opera.
Cari saluti
Dattiloscritta.
***
Qualche anno dopo, in una lettera dell’11 gennaio 1966 allo stesso autore e riferendosi a un altro romanzo, Il gabbiano azzurro, Calvino avrebbe scritto:
“[…] Il racconto nuovo ha
immagini molto poetiche; ma ti preferisco quando racconti dei fatti, più che
nell’abbandono lirico; ossia mi piace l’abbandono lirico che veste una
struttura di racconto di fatti.”
Italo Calvino, I
libri degli altri, Einaudi, 1991.

Appunti dal corso - Incontro di sabato 14 aprile
All’inizio del corso abbiamo parlato della necessità di
affinare le nostre capacità di osservazione. Cosa accade intorno a noi? Quali
aspetti della realtà si evolvono e si modificano? Quanto “ci perdiamo” dei
dettagli, delle trasformazioni, dei fenomeni del mondo umano, animale,
vegetale? E cosa potremmo, invece, notare semplicemente esercitando le nostre
capacità di osservazione e ascolto più del solito?
L’esercizio di “sbucciare un’arancia” e raccontare le sensazioni collegate a quell’esperienza aveva proprio lo scopo di ricordarci che i nostri sensi sono continuamente chiamati in gioco nelle attività che svolgiamo ogni giorno.
Vista, udito, gusto, olfatto e, in generale, le sensazioni corporee ci permettono di accedere a un’infinità di informazioni e dettagli riguardanti ciò che avviene dentro e fuori di noi. Quella che invece ci manca è, molto spesso, l’abitudine di utilizzare consapevolmente i cinque sensi come strumenti di conoscenza della realtà.
Anche gli esercizi di descrizione di alcuni oggetti di casa erano un invito a osservare l’ambiente con più attenzione. Siamo, ad esempio, in grado di raccontare a memoria soggetti e caratteristiche (autore, tecnica, epoca) dei quadri appesi alle pareti del nostro soggiorno? Potremmo specificare le dimensioni, la forma e il colore del portaombrelli nell’ingresso? E il materiale di cui è composto? Ricordiamo con precisione aspetto, marca e provenienza del robottino da cucina che pure utilizziamo tutti i giorni?
In particolare, questi esercizi lasciavano la libertà di svolgerne la traccia sia in modo oggettivo, realizzando pure “schede tecniche”, sia inserendo nel testo riferimenti personali quali il significato e le emozioni ad essi collegati.
Eppure, molto più di puri e semplici “esercizi di osservazione e descrizione” si sono rivelati gli scritti che mi sono arrivati sul tavolo.
E sapete quali, a mio parere, si sono distinti dagli altri per forza, nitidezza, efficacia?
Forse quelli puramente descrittivi?
Forse quelli descrittivi con un breve accenno “emotivo-psicologico” alla propria relazione con l’oggetto?
Oppure quelli, diciamo così, “cinquanta e cinquanta”?
I brani di alcuni autori che in queste settimane ci stanno guidando nel nostro percorso ci hanno aiutato a formulare delle risposte o, comunque, a decidere in quale direzione muoverci. Nei prossimi post comparirà parte degli estratti letti insieme in aula.

L’esercizio di “sbucciare un’arancia” e raccontare le sensazioni collegate a quell’esperienza aveva proprio lo scopo di ricordarci che i nostri sensi sono continuamente chiamati in gioco nelle attività che svolgiamo ogni giorno.
Vista, udito, gusto, olfatto e, in generale, le sensazioni corporee ci permettono di accedere a un’infinità di informazioni e dettagli riguardanti ciò che avviene dentro e fuori di noi. Quella che invece ci manca è, molto spesso, l’abitudine di utilizzare consapevolmente i cinque sensi come strumenti di conoscenza della realtà.
Anche gli esercizi di descrizione di alcuni oggetti di casa erano un invito a osservare l’ambiente con più attenzione. Siamo, ad esempio, in grado di raccontare a memoria soggetti e caratteristiche (autore, tecnica, epoca) dei quadri appesi alle pareti del nostro soggiorno? Potremmo specificare le dimensioni, la forma e il colore del portaombrelli nell’ingresso? E il materiale di cui è composto? Ricordiamo con precisione aspetto, marca e provenienza del robottino da cucina che pure utilizziamo tutti i giorni?
In particolare, questi esercizi lasciavano la libertà di svolgerne la traccia sia in modo oggettivo, realizzando pure “schede tecniche”, sia inserendo nel testo riferimenti personali quali il significato e le emozioni ad essi collegati.
Eppure, molto più di puri e semplici “esercizi di osservazione e descrizione” si sono rivelati gli scritti che mi sono arrivati sul tavolo.
E sapete quali, a mio parere, si sono distinti dagli altri per forza, nitidezza, efficacia?
Forse quelli puramente descrittivi?
Forse quelli descrittivi con un breve accenno “emotivo-psicologico” alla propria relazione con l’oggetto?
Oppure quelli, diciamo così, “cinquanta e cinquanta”?
I brani di alcuni autori che in queste settimane ci stanno guidando nel nostro percorso ci hanno aiutato a formulare delle risposte o, comunque, a decidere in quale direzione muoverci. Nei prossimi post comparirà parte degli estratti letti insieme in aula.
Giuliana
Salerno

martedì 17 aprile 2012
Esercizio per sabato 21 aprile 2012
Premessa
Abbiamo già incontrato vari autori che affermano di essere spesso partiti da una “visione”, ovvero da una rappresentazione reale o immaginaria che li ha accompagnati per qualche tempo fino ad acquisire spessore e a diventare, a poco a poco, una storia. Tra questi, Umberto Eco (dall’immagine del monaco avvelenato in una biblioteca, come abbiamo letto, si sarebbe originato Il nome della rosa), Raymond Carver, Flannery O’Connor, Roberto Cotroneo, Elena Varvello. Ecco perché questa settimana muoviamo i nostri passi in direzione di una visione.
Esercizio
Leggi il testo dell’autrice Elena Varvello che hai ricevuto in aula. Nei prossimi giorni, chiudi gli occhi. Chi vedi, cosa vedi? Comincia a far muovere nella tua mente un’immagine che ha colpito la tua attenzione e osserva in che modo si evolve. Dopo un paio di giorni, apri il foglietto ricevuto in aula: vi troverai scritto il nome di un oggetto che dovrà entrare nella tua visione. Consiglio: cerca prima di “vedere” qualcosa o qualcuno. Solo quando la tua visione ti sarà diventata familiare, leggi il contenuto del foglietto e immagina un possibile sviluppo del tuo racconto.
Cerca anche nella tua memoria. I nostri ricordi sono pieni di immagini (ma anche di parole) che ci hanno accompagnato (perseguitato?) per anni. Passa al setaccio quei ricordi, tira fuori quelle immagini. E parti da lì.
Giuliana Salerno
Abbiamo già incontrato vari autori che affermano di essere spesso partiti da una “visione”, ovvero da una rappresentazione reale o immaginaria che li ha accompagnati per qualche tempo fino ad acquisire spessore e a diventare, a poco a poco, una storia. Tra questi, Umberto Eco (dall’immagine del monaco avvelenato in una biblioteca, come abbiamo letto, si sarebbe originato Il nome della rosa), Raymond Carver, Flannery O’Connor, Roberto Cotroneo, Elena Varvello. Ecco perché questa settimana muoviamo i nostri passi in direzione di una visione.
Esercizio
Leggi il testo dell’autrice Elena Varvello che hai ricevuto in aula. Nei prossimi giorni, chiudi gli occhi. Chi vedi, cosa vedi? Comincia a far muovere nella tua mente un’immagine che ha colpito la tua attenzione e osserva in che modo si evolve. Dopo un paio di giorni, apri il foglietto ricevuto in aula: vi troverai scritto il nome di un oggetto che dovrà entrare nella tua visione. Consiglio: cerca prima di “vedere” qualcosa o qualcuno. Solo quando la tua visione ti sarà diventata familiare, leggi il contenuto del foglietto e immagina un possibile sviluppo del tuo racconto.
Precisazione
So bene che le visioni non
arrivano “a comando”, tanto meno se speriamo di incontrarne una "fertile" nel giro di
pochi giorni. Tuttavia, in queste settimane ci siamo allenati ad affinare i
nostri sensi, a mettere a fuoco la folla di immagini e sensazioni che ad ogni
istante ci raggiungono. Ci siamo esercitati a rimanere in ascolto per decifrare
i suoni che compongono una melodia e a masticare piano per distinguere gli
ingredienti di una pietanza. Pertanto, il nostro spirito di osservazione, da
qualche tempo, è “avvertito” più di prima, e meglio di prima potrà suggerirci
l’immagine iniziale (o centrale, o finale, o, comunque, cruciale) di un
racconto. Cerca anche nella tua memoria. I nostri ricordi sono pieni di immagini (ma anche di parole) che ci hanno accompagnato (perseguitato?) per anni. Passa al setaccio quei ricordi, tira fuori quelle immagini. E parti da lì.
Giuliana Salerno

mercoledì 11 aprile 2012
Sortilegio - di Clara Gismondi
Sortilegio
(16/12/2011)
Lontano è difficile udire l’urlo del
mare
il tintinnio passa
lascia attoniti nel suo
pellegrinare
e fila nel vento.
lussurie astratte
strappano vesti in
tormento;
brandelli d’aria appesantiscono il
tuono
che
rintuzza
mortificando voli.
Alle conchiglie, a
riva
giunge l’eco d’un antico
sortilegio:
nascono fiori a pelo
d’acqua
al di là del molo.
Clara
martedì 10 aprile 2012
Consiglio di lettura - di Raffaella De Giorgio
Erik Orsenna, La danza delle virgole, Salani Editore, 2010
E’ un romanzo brillante e dal ritmo veloce inserito nella letteratura per ragazzi, ma a mio avviso bello anche per i più grandi.
Giovanna
è una ghost-writer, cioè una "scrittrice-fantasma": il suo lavoro è scrivere per conto di altre persone. Durante un viaggio in elicottero verso un cliente che le
ha commissionato una lettera d’amore, Giovanna scorge lungo la
spiaggia una striscia nera di materiale inquinante. Scoprirà che si
tratta di parole naufragate, ridotte ad un ammasso indecifrabile. Sarà
compito della protagonista restituire vita a quelle parole private di
spazi che le separino e di segni di punteggiatura.
"Gli
stati d’animo si alternano in noi, a volte brutti, a volte belli, come
il sole che segue la pioggia. Niente di grave. Fra ogni stato d’animo,
metterai una virgola, senza angosciarti."
Raffaella De Giorgio

domenica 8 aprile 2012
Esercizio per sabato 14 aprile
Premessa
L’ultima volta che ci siamo visti, ciascuno ha regalato a qualcun altro una delle sette “idee per una storia” che aveva elaborato durante la settimana.
Il gesto di “regalare un’idea” esprime la ratio di quanto detto nell’ultimo incontro: dobbiamo diventare delle fucine di idee, abituarci a generarne quante più possibile e far diventare questa attività creativa un automatismo, una consuetudine che ci accompagni ogni giorno. Dobbiamo arrivare a immaginare tanti di quei possibili inizi (o situazioni, o immagini etc.) da sentirci liberi di regalarli, persino. Sarebbe possibile fare lo stesso, se puntassimo su un’idea soltanto e girassimo per giorni, mesi, anni, intorno a quella? Credo di no.
Esercizio
Scrivi un racconto a partire dall’idea che ti è stata regalata in aula.

Appunti dal corso - Incontro di sabato 31 marzo
Da dove vengono le storie?
Da qualsiasi luogo, tempo, stato d’animo.
E in che modo prendono forma?
Nei modi che l’autore scopre essere più efficaci per il proprio stile di lavoro, per le circostanze che vive in quel momento, per il tipo di storia che vuole raccontare. Quest’ultima espressione, “tipo di storia che si vuole raccontare”, sottende l’idea che chi inizia a scrivere conosca già quello che andrà a narrare. Ciò è vero in parte. Tutto ha inizio, molto spesso, da una suggestione, un ricordo, un’immagine da cui si originano i fili di possibili storie.
Umberto Eco, nel rievocare i momenti dai quali scaturirono le idee germinali del suo primo romanzo, Il nome della rosa, afferma di essere stato colpito dall’immagine di un monaco assassinato mentre leggeva in una biblioteca*. Quell’immagine avrebbe “chiesto” allo scrittore di costruirvi intorno qualcos’altro, mentre il resto sarebbe venuto a poco a poco, inclusa la decisione di situare la vicenda nel Medioevo. Tutto il resto sarebbe nato
“… leggendo, rivedendo delle immagini, riaprendo armadi dove si erano accumulate da venticinque anni le mie schede medievali, stese per tutt’altre ragioni”.
Una sola immagine, dunque, all’origine di una storia che è entrata nella… storia della letteratura e anche del cinema. E, a proposito del “quando” iniziare a scrivere, è notevole come Eco abbia trascorso un anno abbondante
“senza scrivere un rigo […] Leggevo, facevo disegni e diagrammi, inventavo un mondo. Questo mondo doveva essere il più preciso possibile, in modo che io potessi muovermici con assoluta confidenza. Per il Nome della rosa, ho disegnato centinaia di labirinti, e di piante di abbazie, basandomi su altri disegni, e su luoghi che visitavo, perché avevo bisogno che tutto funzionasse, avevo bisogno di sapere quanto ci avrebbero messo due personaggi per andare parlando da un luogo all’altro. E questo definiva anche la durata dei dialoghi”.
Quando metterci a scrivere, dunque, se l’idea per una storia ha cominciato a girarci in testa? Dipende da molte cose, ovviamente. A volte l’impulso a scrivere, a cogliere quel momento di temporanea nitidezza e a trasformarlo in parole è irresistibile, quindi... assecondiamolo! Anche perché non è detto che quell’impulso si ripresenti uguale (e ugualmente efficace).
Tuttavia, potrebbe anche essere sufficiente, in un primo periodo, limitarsi ad appuntare quell’idea in modo schematico.
“Appuntarla” può significare molte cose: documentarsi su luoghi e personaggi, accumulando materiale; tracciare lo schema di un possibile inizio (o svolta, o finale) o anche un abbozzo di trama, se si ha già in mente lo sviluppo di una situazione determinata. Scattare fotografie dei luoghi che potrebbero diventare teatro degli eventi che racconteremo. O anche, come fece Eco – il quale ha, probabilmente, una particolare inclinazione per la dimensione grafica e visiva –, disegnare (mi vengono in mente, a tal proposito, anche i disegni e i bozzetti con cui artisti Fellini e Buzzati arricchirono la loro attività creativa… ma questo sarà oggetto di un altro post).
Non scrivere necessariamente subito, dunque. Farsi lambire dalla luce di quell’aurora, portarsela in giro, parlarle, farla crescere, se ne ha voglia. E non lasciarla sola, non addossarle la responsabilità di essere la nostra unica chance.
Il che significa affiancarla, possibilmente, con altri barlumi di idee, ricordi o immagini che condividano con la prima l’onere di sollecitare la nostra immaginazione.
Se ricordate, l’ultimo esercizio proposto al corso consisteva nello scrivere almeno sette idee per altrettante storie. Non sette storie, ma sette ipotesi, sette inizi che contenessero uno schema composto dai seguenti elementi:
- una situazione iniziale di apparente tranquillità;
- un personaggio dotato di un desiderio e di una paura;
- un evento che, chiamando in gioco proprio quel desiderio e quella paura, imponesse al personaggio di compiere delle scelte (e iniziare, così, un percorso di svelamento di sé).
Perché “almeno sette idee”? Perché sette è meglio di sei, o di tre. Perché meglio di sette sarebbe scriverne otto, dieci, venti, trenta. Perché è utile abituarci a generare idee per le storie che potremmo, un giorno, scrivere. Perché una delle frustrazioni degli aspiranti scrittori è quella di “non avere idee” o, peggio, di averne una sola e di essersi arenati su quella mille volte.
Perché a forza di generare e appuntare idee, arriverà un momento in cui ci verrà automatico.
Una volta chiesero ad Einstein quale fosse la differenza tra lui e un uomo qualsiasi. Lui rispose che, se si fosse chiesto a una persona qualunque di trovare un ago in un pagliaio, trovato un ago questa si sarebbe fermata. Lui, invece, avrebbe messo sottosopra l’intero pagliaio, alla ricerca di tutti gli aghi possibili.
Generare idee per le nostre storie è simile a cercare soluzioni ai nostri problemi. Se siamo persuasi che la soluzione a un problema sia una e una sola, una forte tensione interna ci impedirà di liberare tutte le nostre risorse. Quando, invece, ci convinciamo che le soluzioni potrebbero essere due, tre o anche più di tre, la seconda e la terza risposta che daremo saranno immancabilmente più creative e rilassate.
Dobbiamo puntare su più cavalli, e pensarci bene prima di metterci a scrivere il romanzo della nostra vita basandoci sulla prima idea che ci viene in mente.
Giuliana Salerno
*Eco, Umberto, “Come scrivo”, in Sulla letteratura, Bompiani, gennaio 2002.


Se il destino volesse - di Clara Gismondi
Se il destino volesse (09/03/2012)
Piangerti
contrariamente
ai soli che tramontano
affondare nella sabbia
pietra
e monte insieme
farsi acqua
consumando i giorni
per plasmarti.
Se il destino volesse.
Spaccature
gli occhi non vedono il principio
né la fine
se arrendo lo sguardo
mi rimani tra le dita.
Clara
sabato 7 aprile 2012
Irène Némirovsky - di Carla Fortunati
Irène Némirovsky nasce a Kiev nel 1903 e muore a Auschwitz nel 1942. Vive l’infanzia all’est per poi arrivare giovanissima in Francia, come racconta nel suo romanzo più autobiografico Il vino della solitudine. E’ un percorso che la porta a Parigi attraverso l’Europa dei primi del ‘900, in fuga dalla Rivoluzione di Ottobre.
Molto dei racconti di Némirovsky è autobiografico.
Nei suoi scritti è centrale il rapporto con la madre. Il narcisismo di quest’ultima si manifesta con una totale incapacità di amare, di andare oltre il proprio egocentrismo. La capacità di lettura e comprensione profonda dell’animo umano che contraddistingue Irène è in parte, verosimilmente, frutto del percorso attraverso cui riesce a superare quella difficile esperienza. Anche se, come scrive, “da un’infanzia infelice non si guarisce mai”.
La sensibilità generata dal suo vissuto infantile è probabilmente il prerequisito per la sua capacità di vedere “l’ombra” nell’essere umano, di non rifiutarla, negandola, ma di assorbirla come parte integrante della personalità. Così il racconto delle debolezze dei suoi personaggi ci riporta ad una concezione dell’uomo che vive, e spesso riconosce, anche la parte meno nobile di se stesso.
I protagonisti dei racconti rispecchiano gli ambienti che Irène ha conosciuto, l’alta borghesia ebraica da cui proviene, i quartieri abitati dagli Ebrei nell’Europa orientale, il mondo della provincia francese.
Ritorna la figura della madre nei tratti che raccontano la protagonista di Jezabel, un thriller per la vicenda che descrive, uno scritto teatrale per lo stile che rimanda a una sceneggiatura.
Il racconto dell’umanità, con la sua moltitudine di personaggi, diventa affresco in Suite francese, il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto (1942). In una Francia occupata dai tedeschi, sono moltissimi i protagonisti che presentano infinite sfumature senza distinzione alcuna tra presunti buoni e presunti cattivi. Quest'opera costituisce una sorta di trattato antropologico che rimanda a una conoscenza veramente profonda dell’uomo, dei suoi mali e delle sue virtù.
Un'immagine indimenticabile è quella con cui si conclude Il vino della solitudine. Irène, ventenne, subito dopo la morte del padre, lascia la propria casa e la madre senza voltarsi. Sola sugli Champs-Elysées, per la prima volta piange, guarda con attenzione le cose intorno a sé, le persone, la natura. E sente scorrere una leggerezza mai provata prima. Da quel momento inizia la sua nuova vita e la accompagna un’unica certezza, la percezione di se stessa.
Carla Fortunati

giovedì 5 aprile 2012
Appunti dal corso – Incontro di sabato 24 marzo – Seconda parte
Preparare il
progetto
Se l’obiettivo (ciò che intendiamo scrivere) è il punto d’arrivo, il progetto è il percorso da compiere per raggiungerlo. Contiene intenti e previsioni. Specifica passi e azioni da compiere. Non è stabilito una volta per tutte: essendo nato da un impulso creativo, può essere riscritto, ridefinito, ripensato. Lievemente modificato o anche sovvertito. Annullato o rinviato, se nuove circostanze lo richiedono.
Finché ce l'abbiamo sul tavolo, il progetto ci aiuta a proseguire. È come il corrimano della passerella che dalla banchina ci porta a bordo: non indispensabile, ma molto rassicurante.
Provate a formulare il vostro progetto di scrittura intorno alle domande che seguono (e che vi saranno rivolte, qui, alla seconda persona singolare). Non dimenticate di mettere nero su bianco altre domande, risposte, ipotesi, idee, mappe., dubbi da sciogliere. A presto.
1) Quali passi/azioni devi compiere per realizzare il tuo progetto (e raggiungere, così, il tuo obiettivo)? Fai un elenco di tutte le fasi che porteranno alla realizzazione dell’obiettivo. Scrivi tutto quello che ti viene in mente, anche in una forma apparentemente confusa. Pensa proprio a ciò che è necessario fare e scrivilo o disegnalo sotto forma di appunti, di disegni, di mappe.
2) In quale ordine devi compiere questi passi/azioni? Cosa fare prima e cosa dopo?
3) Qual è la tua destinazione finale? Quali potrebbero essere le tappe intermedie per raggiungerla? A volte un traguardo ci intimorisce perché ci sembra enorme. Scrivere un libro di 350 pagine ci appare come un obiettivo immenso, irraggiungibile. Allora che facciamo? Lo prendiamo e lo tagliamo a fette come un salame. Individuiamo piccoli compiti da portare a termine entro precise (e ragionevoli, e flessibili) scadenze. Ragionevoli e flessibili, ripeto, ma pur sempre scadenze. In questo modo, tutto sembrerà più alla nostra portata.
4) Quali ostacoli dovrai superare per realizzare il progetto? Ostacoli interiori, esteriori, organizzativi, logistici, di ideazione, di costruzione della trama, di caratterizzazione, di concentrazione. Come puoi risolvere i problemi che si frappongono tra te e il risultato? Ad esempio: lavori in un ufficio otto ore al giorno. Poi ti dedichi alla famiglia. Dove trovare il tempo per scrivere? Quali strategie potresti mettere in atto per recuperare tempo?
5) Quali capacità ti mancano ancora per realizzare il tuo progetto? Come potresti svilupparle? Ad esempio: hai difficoltà nello scrivere i dialoghi. Oppure, ti sembra di non avere grandi idee, anche se scrivi in un ottimo italiano. O ancora, i tuoi racconti “muoiono” nel finale, dove avviene regolarmente una caduta di ritmo, di suspense, di stile. Quali competenze, se sviluppate, potrebbero avere un forte impatto sul risultato che desideri?
6) Chi può aiutarti? Cosa può esserti utile? Guardati intorno. Ci sono persone con cui potresti scambiare opinioni su ciò che scrivi? Familiari che potrebbero aiutarti a liberare un’ora al giorno da dedicare alla scrittura? Corsi da frequentare, libri da leggere, siti internet da consultare? Consigli che potresti chiedere agli scrittori che preferisci? (Oggi internet ci consente di comunicare con chiunque desideriamo, o quasi…) Chiedi aiuto, se necessario, e sii pronto anche a ricambiare la disponibilità degli altri.
7) Cosa devi fare quotidianamente per raggiungere il tuo obiettivo? Compila una lista “in progress” (in continua evoluzione, cioè) di tutte le azioni utili a realizzare il risultato che desideri. Ad esempio, alzarti al mattino mezz’ora prima. Scrivere lo schema di una trama da sviluppare giorno per giorno. Combina e metti in ordine di priorità e di tempo i punti precedenti (soluzioni per superare gli ostacoli, capacità da sviluppare, cooperazione da ottenere etc.) per far scaturire tutte le idee utili alla realizzazione del tuo progetto. Predisponi un piano delle cose da fare il giorno prima, la settimana prima, il mese prima.
ALTRE DOMANDE
Che cosa dovresti fare in modo diverso?
Che cosa dovresti continuare a fare?
Quale abitudine quotidiana dovresti acquisire per avvicinarti all’obiettivo?
Nel definire il nostro obiettivo di narrazione, abbiamo fatto un sopralluogo nel futuro, sistemato qualche cosuccia
qua e là, riordinato i cassetti e poi siamo risaliti sulla navicella spazio-temporale per
risbarcare nel presente.
È qui ed ora, infatti, che disegniamo la mappa e mettiamo a
punto il progetto di scrittura. Se l’obiettivo (ciò che intendiamo scrivere) è il punto d’arrivo, il progetto è il percorso da compiere per raggiungerlo. Contiene intenti e previsioni. Specifica passi e azioni da compiere. Non è stabilito una volta per tutte: essendo nato da un impulso creativo, può essere riscritto, ridefinito, ripensato. Lievemente modificato o anche sovvertito. Annullato o rinviato, se nuove circostanze lo richiedono.
Finché ce l'abbiamo sul tavolo, il progetto ci aiuta a proseguire. È come il corrimano della passerella che dalla banchina ci porta a bordo: non indispensabile, ma molto rassicurante.
Provate a formulare il vostro progetto di scrittura intorno alle domande che seguono (e che vi saranno rivolte, qui, alla seconda persona singolare). Non dimenticate di mettere nero su bianco altre domande, risposte, ipotesi, idee, mappe., dubbi da sciogliere. A presto.
1) Quali passi/azioni devi compiere per realizzare il tuo progetto (e raggiungere, così, il tuo obiettivo)? Fai un elenco di tutte le fasi che porteranno alla realizzazione dell’obiettivo. Scrivi tutto quello che ti viene in mente, anche in una forma apparentemente confusa. Pensa proprio a ciò che è necessario fare e scrivilo o disegnalo sotto forma di appunti, di disegni, di mappe.
2) In quale ordine devi compiere questi passi/azioni? Cosa fare prima e cosa dopo?
3) Qual è la tua destinazione finale? Quali potrebbero essere le tappe intermedie per raggiungerla? A volte un traguardo ci intimorisce perché ci sembra enorme. Scrivere un libro di 350 pagine ci appare come un obiettivo immenso, irraggiungibile. Allora che facciamo? Lo prendiamo e lo tagliamo a fette come un salame. Individuiamo piccoli compiti da portare a termine entro precise (e ragionevoli, e flessibili) scadenze. Ragionevoli e flessibili, ripeto, ma pur sempre scadenze. In questo modo, tutto sembrerà più alla nostra portata.
4) Quali ostacoli dovrai superare per realizzare il progetto? Ostacoli interiori, esteriori, organizzativi, logistici, di ideazione, di costruzione della trama, di caratterizzazione, di concentrazione. Come puoi risolvere i problemi che si frappongono tra te e il risultato? Ad esempio: lavori in un ufficio otto ore al giorno. Poi ti dedichi alla famiglia. Dove trovare il tempo per scrivere? Quali strategie potresti mettere in atto per recuperare tempo?
5) Quali capacità ti mancano ancora per realizzare il tuo progetto? Come potresti svilupparle? Ad esempio: hai difficoltà nello scrivere i dialoghi. Oppure, ti sembra di non avere grandi idee, anche se scrivi in un ottimo italiano. O ancora, i tuoi racconti “muoiono” nel finale, dove avviene regolarmente una caduta di ritmo, di suspense, di stile. Quali competenze, se sviluppate, potrebbero avere un forte impatto sul risultato che desideri?
6) Chi può aiutarti? Cosa può esserti utile? Guardati intorno. Ci sono persone con cui potresti scambiare opinioni su ciò che scrivi? Familiari che potrebbero aiutarti a liberare un’ora al giorno da dedicare alla scrittura? Corsi da frequentare, libri da leggere, siti internet da consultare? Consigli che potresti chiedere agli scrittori che preferisci? (Oggi internet ci consente di comunicare con chiunque desideriamo, o quasi…) Chiedi aiuto, se necessario, e sii pronto anche a ricambiare la disponibilità degli altri.
7) Cosa devi fare quotidianamente per raggiungere il tuo obiettivo? Compila una lista “in progress” (in continua evoluzione, cioè) di tutte le azioni utili a realizzare il risultato che desideri. Ad esempio, alzarti al mattino mezz’ora prima. Scrivere lo schema di una trama da sviluppare giorno per giorno. Combina e metti in ordine di priorità e di tempo i punti precedenti (soluzioni per superare gli ostacoli, capacità da sviluppare, cooperazione da ottenere etc.) per far scaturire tutte le idee utili alla realizzazione del tuo progetto. Predisponi un piano delle cose da fare il giorno prima, la settimana prima, il mese prima.
ALTRE DOMANDE
Che cosa dovresti iniziare a fare per ottenere ciò che desideri?
Che dovresti smettere di fare? Che cosa dovresti fare in modo diverso?
Che cosa dovresti continuare a fare?
Quale abitudine quotidiana dovresti acquisire per avvicinarti all’obiettivo?
Giuliana
Salerno

Appunti dal corso - Incontro di sabato 24 marzo - Prima parte
Partire
dalla meta
In altre parole, possiamo definire e mettere nero su bianco una parte dello scenario verso il quale ci stiamo incamminando, e in tal modo influenzarlo, modificarlo “da lontano” prima che si sia concretizzato (in realtà, ad essere influenzata sarà principalmente la nostra convinzione di raggiungere il traguardo…).
Qualcosa di simile può dirsi di un obiettivo di scrittura. Ammettiamo di aver deciso di scrivere una raccolta di racconti entro un anno; prima, cioè, del 5 aprile 2013.
Scriveremo allora, su un foglio di carta, una data e il numero approssimativo dei racconti; formuleremo delle ipotesi (sempre per iscritto) sul tipo di storie nasceranno e sulla loro lunghezza; faremo una stima del tempo che ogni giorno/settimana/mese potremo dedicare al lavoro da svolgere. Tutto questo, e molto altro, ci aiuterà a percepire il traguardo come verosimile. Non più un mero desiderio, ma una possibilità concreta. Non un vagheggiamento, ma una sensazione più simile alla consapevolezza che domani sorgerà il sole.
Sarà come avvertire la nostra mente che, di qui a poco, dovrà misurarsi con questioni creative e organizzative, e che avendole individuate e messe su carta in anticipo, tali questioni le appariranno più familiari e meno ostiche.
E ora, i legittimi dubbi:
Come faccio a “ingabbiare” la mia immaginazione in un numero determinato di ore di scrittura, di racconti, di “tipi” storie da raccontare e di altri dati prestabiliti a tavolino? Non rischio di soffocare la mia voglia di raccontare e la mia inventiva?
Possibile risposta: non si tratta di “ingabbiare” qualcuno o qualcosa. Si tratta di predisporre un percorso che abbia, sin dall’inizio, una direzione e una destinazione che diverranno, via via, più nette.
Altre perplessità:
Molti di voi sono rimasti perplessi all’idea di porsi un
obiettivo di narrazione prima di aver scritto alcunché. L’obiezione più
frequente: come faccio a sapere cosa avrò scritto tra sei mesi se ancora non
l’ho neanche iniziato? Risposta: infatti, non sappiamo cosa scriveremo. E meno
male! Che gusto ci sarebbe, altrimenti? Però possiamo, in parte, immaginarlo,
tanto per rendere il lavoro più agevole.
Quando cerchiamo casa, non sappiamo ancora dove andremo ad
abitare. Non abbiamo idea di quante finestre avremo, né di chi saranno i nostri
vicini, né di quanto disterà il supermercato.
Tuttavia, è possibile stabilire in anticipo alcuni
requisiti. Ad esempio, sappiamo di non voler rinunciare a una stanza per gli
ospiti e al box auto. Saremmo più contenti se la zona giorno fosse orientata a Sud
e se ci fosse almeno un fazzoletto di giardino. Inoltre, sappiamo di dover
terminare la nostra ricerca prima della fine dell’anno, quando scadrà il
contratto d’affitto dell’appartamento in cui viviamo ora. In altre parole, possiamo definire e mettere nero su bianco una parte dello scenario verso il quale ci stiamo incamminando, e in tal modo influenzarlo, modificarlo “da lontano” prima che si sia concretizzato (in realtà, ad essere influenzata sarà principalmente la nostra convinzione di raggiungere il traguardo…).
Qualcosa di simile può dirsi di un obiettivo di scrittura. Ammettiamo di aver deciso di scrivere una raccolta di racconti entro un anno; prima, cioè, del 5 aprile 2013.
Scriveremo allora, su un foglio di carta, una data e il numero approssimativo dei racconti; formuleremo delle ipotesi (sempre per iscritto) sul tipo di storie nasceranno e sulla loro lunghezza; faremo una stima del tempo che ogni giorno/settimana/mese potremo dedicare al lavoro da svolgere. Tutto questo, e molto altro, ci aiuterà a percepire il traguardo come verosimile. Non più un mero desiderio, ma una possibilità concreta. Non un vagheggiamento, ma una sensazione più simile alla consapevolezza che domani sorgerà il sole.
Sarà come avvertire la nostra mente che, di qui a poco, dovrà misurarsi con questioni creative e organizzative, e che avendole individuate e messe su carta in anticipo, tali questioni le appariranno più familiari e meno ostiche.
E ora, i legittimi dubbi:
Come faccio a “ingabbiare” la mia immaginazione in un numero determinato di ore di scrittura, di racconti, di “tipi” storie da raccontare e di altri dati prestabiliti a tavolino? Non rischio di soffocare la mia voglia di raccontare e la mia inventiva?
Possibile risposta: non si tratta di “ingabbiare” qualcuno o qualcosa. Si tratta di predisporre un percorso che abbia, sin dall’inizio, una direzione e una destinazione che diverranno, via via, più nette.
Altre perplessità:
Ma
allora, che dov’è lo spirito selvaggio dell’ispirazione? E gli imprevisti, gli
sviluppi inaspettati che danno sapore alle storie? E i personaggi che, a un
certo punto, sfuggono all’autore e agiscono di testa propria? Che fine fa tutto
questo, se ho già fissato in partenza le tappe (organizzative e narrative), la
direzione, la destinazione?
Risposte possibili: il percorso segnato al principio non
sarà stato mica vergato col sangue! Lo avremo, piuttosto, abbozzato a matita,
seppure nel modo più dettagliato di cui saremo stati capaci.
Non, dunque, binari della metropolitana incuneati in tunnel
sotterranei, ma uno spazio a più dimensioni dove il nostro desiderio di
raccontare possa seguire la rotta oppure distaccarsene.
Il punto non è mettere paletti alla voglia di raccontare.
È, al contrario, dotarsi di punti di riferimento che torneranno utili nei periodi
in cui l’ispirazione sarà vaga e inconcludente, se non inesistente. È aver stabilito
dei passi da compiere e un tracciato da seguire quando l’alternativa sarebbe un foglio ostinatamente bianco per giorni, mesi, anni. È muoversi con
la scioltezza di chi ha già in mente un finale (ed è libero, in ogni momento,
di cambiarlo).
Nel prossimo post, suggerimenti per preparare un progetto
di scrittura.
Giuliana
Salerno

martedì 3 aprile 2012
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