mercoledì 18 aprile 2012

Lettere di Italo Calvino a Raffaello Brignetti

13 gennaio 1959

Caro Brignetti,

ho riletto il tuo libro (La riva di Charleston, N.d.R.) e l’ho fatto leggere ad altri amici. E devo dirti sinceramente che i difetti fondamentali che c’erano prima ci sono ancora. E non so darmene pace perché sono convinto che il libro buono c’è, si tratta solamente di sfrondare, tagliare senza pietà.
Tagliare cioè tutto quel che c’è di “poetico” e “profondo” e che invece è terribilmente di second’ordine: tutti i discorsi su E, i dialoghi d’amore, i ricordi del dizionario e della palude, insomma tutto il mondo psicologico di questo babbeo di protagonista devi – non dico modificarlo o attenuarlo o sfoltirlo – devi farlo sparire completamente, non lasciarne traccia, dimenticarti completamente di averlo scritto. 
Hai in mano un romanzo bellissimo; con una struttura narrativa a prova di bomba, con un interesse di vicende che ti prende da principio alla fine, con quella virtù mai abbastanza lodata nei pochi romanzieri che ce l’hanno che è la precisione […] e vai a infarcirlo di tutti i cascami d’un lirismo retorico da quattro soldi! Sono molto arrabbiato con te, di non riuscire a farti capire questa cosa.
Mi dirai: ma allora devo fare del protagonista una figura di cui si sa poco o nulla, anonimo, senza volto? Sì, ti rispondo, certo, chi se ne frega, fai del protagonista una figura di cui si sa poco o nulla, anonimo, senza volto, che se mai i suoi ricordi se li tiene per sé, e vedrai che tutto fila e  il romanzo diventa un bellissimo romanzo.
Ti rimando il dattiloscritto. Vorrei che ti rimettessi a lavorare armato d’una sacra ferocia verso te stesso e d’un sacro amore verso la tua opera.

Cari saluti

Dattiloscritta.

***

Qualche anno dopo, in una lettera dell’11 gennaio 1966 allo stesso autore e riferendosi a un altro romanzo, Il gabbiano azzurro, Calvino avrebbe scritto:

“[…] Il racconto nuovo ha immagini molto poetiche; ma ti preferisco quando racconti dei fatti, più che nell’abbandono lirico; ossia mi piace l’abbandono lirico che veste una struttura di racconto di fatti.”
 
***

Testi tratti da:

Italo Calvino, I libri degli altri, Einaudi, 1991.

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