sabato 7 aprile 2012

Irène Némirovsky - di Carla Fortunati


Irène Némirovsky nasce a Kiev nel 1903 e muore a Auschwitz nel 1942. Vive l’infanzia all’est per poi arrivare giovanissima in Francia, come racconta nel suo romanzo più autobiografico Il vino della solitudine. E’ un percorso che la porta a Parigi attraverso l’Europa dei primi del ‘900, in fuga dalla Rivoluzione di Ottobre.
Molto dei racconti di Némirovsky è autobiografico.
Nei suoi scritti è centrale il rapporto con la madre. Il narcisismo di quest’ultima  si manifesta con una totale incapacità di amare, di andare oltre il proprio egocentrismo. La capacità di lettura e comprensione profonda dell’animo umano che contraddistingue Irène è in parte, verosimilmente, frutto del percorso attraverso cui riesce a superare quella difficile esperienza. Anche se, come scrive, “da un’infanzia infelice non si guarisce mai”.
La sensibilità generata dal suo vissuto infantile è probabilmente il prerequisito per la sua capacità di vedere “l’ombra” nell’essere umano, di non rifiutarla, negandola, ma di assorbirla come parte integrante della personalità. Così il racconto delle debolezze dei suoi personaggi ci riporta ad una concezione dell’uomo che vive, e spesso riconosce, anche la parte meno nobile di se stesso.
I protagonisti dei racconti rispecchiano gli ambienti che Irène ha conosciuto, l’alta borghesia ebraica da cui proviene, i quartieri abitati dagli Ebrei nell’Europa orientale, il mondo della provincia francese.
Ritorna la figura della madre nei tratti che raccontano la protagonista di Jezabel, un thriller per la vicenda che descrive, uno scritto teatrale per lo stile che rimanda a una sceneggiatura.
Il racconto dell’umanità, con la sua moltitudine di personaggi, diventa affresco in Suite francese, il suo ultimo romanzo, rimasto incompiuto (1942). In una Francia occupata dai tedeschi, sono moltissimi i protagonisti che presentano infinite sfumature senza distinzione alcuna tra presunti buoni e presunti cattivi. Quest'opera costituisce una sorta di trattato antropologico che rimanda a una conoscenza veramente profonda dell’uomo, dei suoi mali e delle sue virtù.
Un'immagine indimenticabile è quella con cui si conclude Il vino della solitudine. Irène, ventenne, subito dopo la morte del padre, lascia la propria casa e la madre senza voltarsi. Sola sugli Champs-Elysées, per la prima volta piange, guarda con attenzione le cose intorno a sé, le persone, la natura. E sente scorrere una leggerezza mai provata prima. Da quel momento inizia la sua nuova vita e la accompagna un’unica certezza, la percezione di se stessa.

Carla Fortunati

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