venerdì 18 novembre 2011

Racconto collettivo, puntata 3

LIDIA PARTE... NO, LIDIA RESTA... NO, LIDIA...

Eccoci alla terza e penultima puntata del nostro racconto momentaneamente senza titolo.
Anche questa settimana vi propongo quattro dei contributi che mi avete inviato all’indirizzo giulianasalerno@yahoo.it. Ciascuno di questi prende spunto dai precedenti sviluppi.
Vi ricordo che la prima puntata (ovvero il “testo base”) la potete leggere qui, mentre le “seconde puntate” sono qui.
È arrivato il momento di concludere le nostre quattro possibili storie. Vi chiedo, dunque, un ultimo sforzo: ripartite da uno dei quattro sviluppi che troverete sotto (AB, AB1, BC o CD) e producetevi in un gran finale!
Anche per questa settimana vale la regola che chi ha già scritto dovrà prendere le mosse da uno sviluppo creato da qualcun altro. Tuttavia, potrà benissimo ripartire, se lo gradisce, da una storia di cui aveva realizzato la seconda puntata. Ad esempio, se Daniela lo desidera, può ripartire dallo sviluppo AB di Giuliana Annesi, il quale, a sua volta, scaturisce dallo sviluppo A di Daniela.
A proposito: pensiamo anche a dei titoli?
Vi aspetto!

Giuliana Salerno



Testo base
Sviluppo A (di Daniela Invernizzi)
Sviluppo AB (di Giuliana Annesi):

[…] Lidia dimenticò di respirare. La fissava, incredula, e non respirava. Riemerse di colpo dall’apnea e si mise a tossire, forte, quasi piegandosi in due. L’altra mosse un passo verso di lei, sul viso una smorfia di preoccupazione e di disagio. Lidia alzò una mano come a dire “Tranquilla, non sto morendo” e l’altra si bloccò al centro della sala.
Disse alla donna: “Mi scusi un attimo” e andò in cucina. Prese un bicchiere lo riempì d’acqua sotto il rubinetto. Le tremavano le mani. Si costrinse a berlo tutto, a piccoli sorsi. Quando lo posò, si sentiva meglio. Un bambino! Dio mio, un bambino! Scoppiò a ridere, una risata che suonava isterica. Pensò a quanto tutto ciò fosse ironico, in fondo Alfredo lo aveva sposato proprio per farci dei bambini, prima o poi. E lui, invece, un figlio l’aveva fatto altrove, con un’altra. E bravo Alfredo. Avrebbe dovuto sentirsi ferita, in realtà non lo era. Certo, era stato uno shock, ma non sentiva dolore. Al contrario, si stupì, si sentiva sollevata, come se le avessero tolto un grosso peso di dosso, come se le avessero fornito un alibi contro un’accusa d’omicidio. Perché l’omicidio del loro matrimonio non l’aveva commesso lei, ma Alfredo. Lei era assolta. Lei ci aveva provato, se non con entusiasmo, con senso del dovere; lui si era semplicemente fatto i comodi suoi. Tornò in soggiorno da quella donna che, più pallida di quando era entrata, la fissava quasi con terrore, forse aspettandosi di vederle sfoderare un coltellaccio da cucina. Le sorrise e, con dolcezza le disse: “Prego, si accomodi. Non le fa bene stare troppo in piedi”.

***

Testo base
Sviluppo A (di Daniela Invernizzi)
Sviluppo AB1 (di Giosuè Jemma):
[…] Un’affermazione così perentoria, a bruciapelo, le tolse il fiato, ma non tanto da non riuscire a sussurrare
“Si accomodi.”
Poi, ripreso velocemente il controllo delle sue emozioni:
“Venga, si sieda, anzi, siediti. Sai certamente che mi chiamo Lidia, e tu?”
Stendendo la destra che l’altra strinse con vigore trattenuto si diresse al divano, in salotto.
“Francesca,” fu la risposta arrivata mentre si accomodavano una di fronte all’altra.
“Allora... penso di non essere indiscreta chiedendoti come è iniziato,” esordì Lidia dopo un lungo e intenso scambio di sguardi, gli occhi negli occhi.
“Alfredo è un mio collega, o meglio il mio superiore, io sono la sua segretaria,” esordì Francesca “e fin da quando lavoriamo insieme, da più di dieci anni, ho nutrito per lui una stima crescente che nel tempo s’è trasformata in amore, in un amore profondo, una passione che sta minando le fondamenta del mio matrimonio. Non ti stupire se ti confesso che amo, se così posso dire, anche mio marito, padre di mio figlio. Certo, con lui non c’è la passione travolgente che provo tra le braccia di Alfredo, ma sono accorta a non fargli capire che il mio amore è per un altro.
Ma non riesco ad andare avanti così, ed ora questa gravidanza mi costringe a…”
“E dove consumavate, perdona la crudezza del termine, ma vista la situazione è il termine corretto, dove vi incontravate, dicevo,  per dar sfogo alla vostra passione?” interruppe Lidia.
Un lieve rossore apparve sulle gote di Francesca che continuò:
“Beh vedi, nella nostra azienda i Direttori hanno una saletta riunioni, attigua al loro ufficio. È un ambiente solitamente molto tranquillo, quando non si riempie di scalmanati duranti gli staff meetings. E quello di Alfredo, poi, guarda sul giardino e dal quinto piano la vista spazia sui campi in lontananza... insomma, un ambientino delizioso arricchito anche da un divano...”
Lidia s’era ripresa dallo shock iniziale, shock dovuto alla certezza d’avere, da tempo, un bel paio di corna. E mentre l’altra parlava, lei passava rapidamente in rassegna gli anni trascorsi a fianco del marito fedifrago. Ora si spiegava i ritardi serali, i mancati pranzi insieme (doveva pur pranzare qualche volta con la segretaria, le diceva lui) e alcune, non tante in verità, défaillance nei rapporti sessuali. Ma lei li imputava ad altri problemi...   
“Capisco,” riprese seria Lidia, dimostrando comprensione – “una situazione invidiabile. L’ideale per scopare in libertà. Libertà doppia perché, vedi: Alfredo – nonostante tutti gli esami e le inutili cure – è sterile, sterile dalla nascita. Ovviamente l’ho scoperto dopo il matrimonio, quando i figli non arrivavano…”

***

Testo base
Sviluppo B (di Giosuè Jemma)
Sviluppo BC (di Marina Arnozzi):

[…] Oddio! C’era quel senso di sicurezza che Alfredo comunque ancora le dava e lei, in fondo, gli voleva bene  ma, ormai, erano più fratelli che coppia. Le sembrava di combattere una battaglia, ormai quotidiana,  tra ragione e desiderio. Ma si va in battaglia per vincere o morire e lei non aveva ancora voglia di morire di noia e di abitudine per un matrimonio stantio. Voleva vincere! Voleva vincere, soprattutto, sugli anni che incalzavano inclementi. Il tempo era poco, ma sufficiente per restituirle emozioni e sensazioni ormai quasi scordate. E se il fato non avesse voluto portarle un nuovo amore, pazienza! Avrebbe comunque dato una bella botta alla sua vita.
Basta! Deciso! Subito si sentì più leggera.
E l’occasione si presentò dopo qualche giorno, quando il suo capo le comunicò che era necessaria la sua presenza nella filiale di Parigi per risolvere una grana.
Parigi! La città dell’amore, la città dove lei e Giulio, appena ventenni, erano andati per un week-end.
Immagini di quei giorni, come scatti fotografici, le tornarono alla mente. Loro due, felici, sulla torre Eiffel o lungo i boulevards, Giulio che non perdeva occasione per declamare versi di Prévert, il loro poeta preferito “Questo amore Così violento Così fragile Così tenero Così disperato…”
“Dov’è finito questo amore e tutti gli amori che l’hanno seguito...” Lidia provò dolore per tutti loro ma realizzò che una ferita, per guarire, ha bisogno di essere lasciata aperta, all’aria, e che il "cerotto Alfredo" aveva solo coperto... protetto... povero Alfredo! Era necessario strapparlo.
E con quest’animo si preparò per il viaggio di lavoro.

***
Testo base
Sviluppo C (di Marino Polgati)
Sviluppo CD (di Daniela Invernizzi):

[…] Sarebbe partita.
Non voleva lasciare Alfredo. Non ancora, almeno. In realtà non sapeva cosa avrebbe trovato in questo viaggio, né cosa stesse cercando veramente. Forse la conferma che non c’era proprio niente da cercare. Che andava bene così. Che le sue erano stupide, banali fantasticherie irrisolte.
Ma sentiva che doveva andare, là dove l’amore dei vent’anni l’aveva sfiorata e lei non lo aveva capito, riconosciuto.
Guardò in Internet gli orari dei treni: c’era solo l’imbarazzo della scelta per raggiungere Roma. Prenotò un Frecciarossa per l’indomani, senza pensarci troppo.
Quella sera Alfredo aveva le sembianze di un cane bastonato. Lidia spiegò le sue ragioni, la sua voglia di fuggire, il suo bisogno di capire. Ma quello che Alfredo vedeva era l’ennesimo fallimento della sua vita. Un’altra relazione, come le precedenti, miseramente terminata. Senza che ci fossero grandi drammi, irrisolti problemi, scontri, cattiverie, ripicche o tradimenti.
Per un nulla. Per niente. Finita e basta.
Lidia chiese perdono, cercando di rassicurarlo che la porta era ancora aperta, che non era finita; ma  non sembrava molto convincente, neppure a se stessa.
Partì, in una mattina impietosa e fredda, con una valigia scassata che non la voleva seguire. Per un attimo si sentì ridicola, pensò : “Stupida, ma dove vai?”, ma fu solo un attimo.
Alfredo la osservava dalla finestra, sorseggiando una tazza grande di caffè d’orzo. Pensò che forse avrebbe dovuto aiutarla, accompagnarla alla stazione, ma poi, no, si disse, sarebbe stato come approvare.
Un moto di rabbia gli salì al petto, sgorgò in una lacrima, finì nella tazza del caffè.




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