mercoledì 30 maggio 2012

Appunti dal corso - Incontro di sabato 12 maggio - Scrivere il finale

“Il climax è l’interrogazione finale
la cui risposta deve contenere in sé
un fardello inimmaginabile di dolore e di disperazione.
Si può dire che il componimento
prenda inizio da questo punto:
dalla fine, cioè da dove tutte le opere d’arte
dovrebbero incominciare.”
Edgar Allan Poe

Cosa si prova a scrivere il finale di una storia?
Nulla di particolare, se quel finale è figlio di ciò che abbiamo raccontato. Sollievo, se per tutto il tempo abbiamo temuto che non saremmo stati capaci di scriverlo.
Perplessità, se quello che abbiamo scelto è il finale di un’altra storia. Se è un epilogo finito lì per caso, che c’entra poco sia con le premesse, sia con il cuore del nostro racconto. Se è una conclusione tirata via in fretta.  

Come si fa a scrivere il finale adatto alla nostra storia?

Nel suo prezioso corso di scrittura on line (che trovate gratuitamente qui), lo sceneggiatore Fabio Bonifacci osserva:

“[I manuali di sceneggiatura] quando arrivano al finale cominciano a intorcinarsi e a diventare evasivi. Sul concetto che dovrebbe essere decisivo, quello di climax, spendono tutti pochissime parole, come se nessuno in realtà l’avesse mai capito bene e, per prudenza, si limitassero a nominarlo.” 

Lo stesso Bonifacci aveva già notato poche righe prima:  

“Sull’inizio si può quasi ‘teleguidare’ chi scrive senza neanche sapere cosa sta scrivendo. Basta fare domande. C’è un protagonista definito? Ha una volontà precisa e – possibilmente – interessante? Quali ostacoli esterni si oppongono alla sua volontà? E quali ostacoli interiori? Cosa desidera e di cosa ha paura? C’è un evento che ‘mette in moto’ la storia?” 

Se proviamo a immaginare, anche per la stesura del finale, un set di domande “tipo”, ci rendiamo conto che la faccenda è più complicata. Perché ogni finale è un caso a sé. Più precisamente, un finale ben scritto è diretta e coerente conseguenza della narrazione che conclude. Non un alieno in arrivo da un'altra galassia, ma un'arteria già pulsante dentro l'organismo-storia.
Proviamoci lo stesso, seguendo la traccia segnata da Bonifacci e alcune indicazioni di Giulio Mozzi.
Supponiamo di essere a un buon punto del nostro racconto: ne abbiamo scritto l’esordio e lo sviluppo e ci troviamo in “zona climax”, ovvero nella parte in cui i nodi vengono al pettine. Ecco alcune domande che potremmo porci mentre iniziamo la nostra corsa verso il finale:

Quali sono i nodi principali della storia?

Ho idea di come questi nodi si scioglieranno? (Se sì, lavora su quelli. Se no, lavora su quelli.)

Mi ricordo dell’idea (del sentimento, del pensiero) che mi ha spinto a iniziare a scrivere? Potrebbe esserci un nesso tra quell’idea e il finale della storia?  

Potrebbe quell’idea iniziale corrispondere al cuore della mia storia? O potrebbe contenerne, addirittura, il finale? (In altre parole: il finale potrebbe essere nascosto nelle righe dell’esordio e nello sviluppo?).

Se decidessi di raccontare questa storia partendo dal finale, cosa scriverei?

“Nell’inizio, la fine”, potrebbe essere il titolo di questo post.
Una volta lo scrittore Giulio Mozzi, oltre a suggerirmi l’esercizio che avete trovato qui, mi ha fatto notare quanto segue:

... non mi pare il caso di cominciare a scrivere un racconto se non si ha ben chiaro come la faccenda andrà a finire. Perché poi ciò che è scritto è scritto, è diventato più vischioso, non si riesce a modificarlo più che tanto, e se ciò che è scritto ci porta lontani da un buon finale - non se ne esce più.
Direi dunque che i consigli possono essere:
- non cominciare a scrivere prima di avere un'idea precisa di come il racconto dovrà finire;
- quando si avrà un'idea precisa di come il racconto dovrà finire, provare a fare una breve traccia a partire non dall'inizio, ma dalla fine; in modo che il racconto risulti tutto costruito non sulla situazione iniziale ma su quella finale.”

Può accadere, tuttavia, di ritrovarci in mezzo al deserto. Con una storia che ci è scappata di mano, perché ha iniziato a scriversi “da sola” e noi l’abbiamo lasciata fare. Quella storia, adesso, è finita in una palude e non riesce a venirne fuori.
Cosa fare?
Probabilmente ci conviene staccarci dal lavoro per un po’. Non forzare, non “appiccicare” alla storia una conclusione frettolosa e... inconcludente.
Rileggere il testo cercando di intuirne il senso (la direzione, il significato) naturale. Lasciargli il tempo di crescere ancora dentro di noi prima di percorrere gli ultimi metri e di congedarsi: con un grazioso inchino, magari, e qualche affanno. 

Giuliana Salerno




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