martedì 8 maggio 2012

Ricordi d'arancia - di Marino Polgati

Posizione scomoda per sbucciare un’arancia.
In mezzo alla stanza, appeso ad una trave a testa in giù, e come aggancio le sole gambe piegate.
È anomalo, lo so! Ma è il mio modo abituale per sbucciare le arance e mangiarle evitando di sgocciolarmi sui vestito. Le gocce, per gravità, cadono verso il basso, perciò lontano da me. Le dita accarezzano la buccia esterna e scivolano sul silicone con cui è stata spruzzata per aumentarne il tempo di conservazione. Il profumo inizia a sentirsi solo appena affondo le dita e comincio a sbucciarla. I polpastrelli si bagnano e si colorano del bianco della buccia interna. Significa che con la prossima sigaretta, per qualche secondo, aspirerò sentore d’arancia. Sarà senz’altro più buona.
Maledetto Natale. Ogni volta che le narici aspirano odore d’agrumi, nel cervello è come se apparisse una gigantesca scritta prepotente e luminosa: “NATALE”. L’odore arriva direttamente nell’area dei ricordi d’infanzia e li attiva. Quasi sempre malinconici. Sento perfino il freddo invernale sulla pelle, nonostante ormai sia giunto il tepore primaverile.
Schiaccio la buccia verso gli occhi. Piccole gocce schizzano a farli bruciare.
“Ti vengono gli occhi belli,” mi diceva mia madre quando piangevo perché mio fratello mi spruzzava in viso quelle stesse gocce.
Forse è meglio scendere dalla trave, ora. Mi va il sangue alla testa.
Questa storia di utilizzare i sensi per descrivere un oggetto mi ha fatto venire in mente una professoressa di lettere, laureata in filosofia, con la quale ho litigato, quasi da fare a botte, alla prima lezione.
“Descrivete il banco utilizzando tutti i vostri sensi.”
Quando legge la mia descrizione, fa uno scatto dalla sedia e si mette a urlare che lei non si fa prendere per il culo da nessuno. Tutto perché nella descrizione ho utilizzato anche il gusto, simulando di aver leccato il banco, il caldo ripiano e il freddo metallo delle gambe.
Alla seconda lezione sono uscito dall’aula e mi sono ritirato dalla scuola.
Però questa è un’arancia, non un banco di scuola. Perciò il gusto lo posso utilizzare. Assaporo a lungo una fetta, dopo averla schiacciata contro il palato per sprigionarne il liquido pieno di intenso aroma che mi sale, dall’interno, perfino nel naso.
Com’è dolce, nonostante la nota d’aspro della vitamina C.
Beh, non so cosa più cosa scrivere, e intanto mi mangio tutta l’arancia. Lentamente. Fetta a fetta. È perfino rilassante.
Porca miseriaccia, mi sono macchiato maglia e pantaloni. Lo sapevo, sarei dovuto rimanere appeso alla trave.

Marino Polgati

3 commenti:

  1. Marino number one.
    Dany

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  2. Dany cara, mi tocca smentirti. Qui di tre racconti sull'arancia pubblicati ci sono ben 2 number one a pari merito, e sono senz'altro sia la tua Ode (bella e originale sia nell'idea che nella stesura)che il racconto di Laura (bello e anch'esso originale e poi è maledettamente sfiziosa la ricetta, ma vorremmo sapere l'ingrediente segreto). Il mio racconto è quindi da medaglietta di bronzo. Complimenti a te e a Laura. E non dimentico certo Giuliana che ha sempre idee stimolanti e creative.
    Ciau a tuch
    Marino

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  3. Il bello di questi racconti è che leggendoli si sente davvero il profumo delle arance...e viene voglia di mangiarne una. (Anch'io vorrei conoscere l'ingrediente segreto!) Gianna

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