In mezzo alla
stanza, appeso ad una trave a testa in giù, e come aggancio le sole gambe
piegate.
È anomalo, lo
so! Ma è il mio modo abituale per sbucciare le arance e mangiarle evitando di
sgocciolarmi sui vestito. Le gocce, per gravità, cadono verso il basso, perciò
lontano da me. Le dita accarezzano la buccia esterna e scivolano sul silicone
con cui è stata spruzzata per aumentarne il tempo di conservazione. Il profumo
inizia a sentirsi solo appena affondo le dita e comincio a sbucciarla. I
polpastrelli si bagnano e si colorano del bianco della buccia interna. Significa
che con la prossima sigaretta, per qualche secondo, aspirerò sentore d’arancia.
Sarà senz’altro più buona.
Maledetto
Natale. Ogni volta che le narici aspirano odore d’agrumi, nel cervello è come
se apparisse una gigantesca scritta prepotente e luminosa: “NATALE”. L’odore
arriva direttamente nell’area dei ricordi d’infanzia e li attiva. Quasi sempre
malinconici. Sento perfino il freddo invernale sulla pelle, nonostante ormai
sia giunto il tepore primaverile.
Schiaccio la
buccia verso gli occhi. Piccole gocce schizzano a farli bruciare.
“Ti vengono
gli occhi belli,” mi diceva mia madre quando piangevo perché mio fratello mi
spruzzava in viso quelle stesse gocce.
Forse è meglio
scendere dalla trave, ora. Mi va il sangue alla testa.
Questa storia
di utilizzare i sensi per descrivere un oggetto mi ha fatto venire in mente una
professoressa di lettere, laureata in filosofia, con la quale ho litigato,
quasi da fare a botte, alla prima lezione.
“Descrivete il
banco utilizzando tutti i vostri sensi.”
Quando legge
la mia descrizione, fa uno scatto dalla sedia e si mette a urlare che lei non
si fa prendere per il culo da nessuno. Tutto perché nella descrizione ho
utilizzato anche il gusto, simulando di aver leccato il banco, il caldo ripiano
e il freddo metallo delle gambe.
Alla seconda
lezione sono uscito dall’aula e mi sono ritirato dalla scuola.
Però questa è
un’arancia, non un banco di scuola. Perciò il gusto lo posso utilizzare.
Assaporo a lungo una fetta, dopo averla schiacciata contro il palato per
sprigionarne il liquido pieno di intenso aroma che mi sale, dall’interno,
perfino nel naso.
Com’è dolce,
nonostante la nota d’aspro della vitamina C.
Beh, non so
cosa più cosa scrivere, e intanto mi mangio tutta l’arancia. Lentamente. Fetta
a fetta. È perfino rilassante.
Porca
miseriaccia, mi sono macchiato maglia e pantaloni. Lo sapevo, sarei dovuto
rimanere appeso alla trave.
Marino Polgati

Marino number one.
RispondiEliminaDany
Dany cara, mi tocca smentirti. Qui di tre racconti sull'arancia pubblicati ci sono ben 2 number one a pari merito, e sono senz'altro sia la tua Ode (bella e originale sia nell'idea che nella stesura)che il racconto di Laura (bello e anch'esso originale e poi è maledettamente sfiziosa la ricetta, ma vorremmo sapere l'ingrediente segreto). Il mio racconto è quindi da medaglietta di bronzo. Complimenti a te e a Laura. E non dimentico certo Giuliana che ha sempre idee stimolanti e creative.
RispondiEliminaCiau a tuch
Marino
Il bello di questi racconti è che leggendoli si sente davvero il profumo delle arance...e viene voglia di mangiarne una. (Anch'io vorrei conoscere l'ingrediente segreto!) Gianna
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