mercoledì 2 maggio 2012

Appunti dal corso - Incontro di sabato 28 aprile - Seconda parte

Brevi annotazioni sulla composizione dei dialoghi

Iniziamo con una distinzione che quasi tutti abbiamo imparato sui banchi di scuola: quella tra discorso indiretto e discorso diretto.
Nel discorso indiretto mancano le battute dei personaggi. Apprendiamo ciò che c’è da sapere dalla voce narrante, che ovviamente non riporta letteralmente le parole dette o pensate dai protagonisti della storia, ma in un certo modo le interpreta.
Il discorso diretto consiste nella citazione esatta delle parole dei personaggi della storia. È segnalato tipograficamente dalle virgolette o dai trattini.
Ne sono esempi il monologo, il monologo interiore, il dialogo.
Nel discorso diretto, il narratore riporta senza filtri le battute dei suoi personaggi. In questo caso la narrazione si definisce “mimetica”.
Nel caso del discorso indiretto, invece, il narratore fa da mediatore tra il lettore e la vicenda rappresentata. In questo caso la narrazione è detta “diegetica”.

Discorso diretto/indiretto libero o legato
Sia il discorso diretto che quello indiretto possono essere “liberi” o “legati”. Per il momento, riferiamo questa distinzione solo al discorso diretto.
Nel discorso diretto libero manca il verbo dichiarativo. Ovvero, mancano i vari rispose, disse, replicò etc.
Il lettore entra in immediato contatto con le parole del personaggio. La voce narrante resta nell’ombra.
Nel discorso diretto legato la battuta è introdotta da un verbo dichiarativo. La presenza del narratore si sente più forte (e, di conseguenza, aumenta la distanza tra lettore e personaggio).

Ed ora, qualche accenno al dialogo.

Come si impara a scrivere un dialogo?
Prima di tutto, come diceva Eduardo de Filippo, bisogna andare in giro e ascoltare la gente che parla. Notare il lessico, l’accento, il registro (colloquiale, gergale, giovanile, tecnico), la lunghezza delle frasi, le espressioni usate più frequentemente, i gesti e le espressioni del viso.
Il dialogo deve fornire a chi legge un’impressione di immediatezza, come se scaturisse dalla bocca dei protagonisti e non dalla mente di chi li ha creati.
È necessario sapere più cose possibile dei personaggi a cui daremo voce: l’estrazione  sociale, il contesto in cui agiscono, la relazione che c’è tra loro, i loro intenti e timori. Ogni battuta deve rivelare qualcosa di loro, proprio come accade tra persone reali che, quando s’incontrano, sin dal primo momento si fanno conoscere per quello che dicono.
È anche vero che, come accade nella vita reale, i personaggi non dicono tutto quello che passa loro per la testa. Per paura, per timidezza, per secondi fini, per prudenza. La parola, dunque, pur essendo utilizzata per esternare il pensiero, di rado lo riflette fedelmente: ci sono dei meccanismi di filtro tra ciò che pensiamo e sentiamo e ciò che, più o meno volontariamente, esprimiamo attraverso le parole. Ecco perché scrivere un buon dialogo non significa scrivere tutto.
Dobbiamo entrare nella mente dei nostri personaggi e intuire quali parole sceglierebbero per tradurre (o tradire, o scegliere di non tradurre) il loro sentire e i loro pensieri. Meglio ancora se, come accade nei momenti di grazia, i personaggi hanno iniziato a “muoversi e a parlare da soli”, indipendentemente dal nostro arbitrio.

Caratteristiche di un buon dialogo
Naturalezza, espressività, chiarezza, sintesi. Non dovrebbe contenere ripetizioni né tempi morti, se non sono strettamente funzionali. Avere ritmo, armonia, essere coinvolgente, non stereotipato. Contenere tratti tipici delle conversazioni che si svolgono nel mondo reale: i personaggi devono interrompersi, completarsi le frasi a vicenda, cambiare argomento, rispondere anche con il silenzio. Cosa si nasconderà dietro il loro silenzio?

Alcuni obiettivi del dialogo
  • Dare voci diverse ai personaggi, rendendoli riconoscibili dal tono, dalle espressioni ricorrenti, dal ritmo delle battute.
  • Distinguere i punti di vista degli interlocutori.
  • Fornire informazioni sull’ambiente, sul rapporto tra i personaggi, il loro carattere, la loro storia, il loro stato d'animo… senza diventare “didascalico”, ovvero senza ridursi a un un elenco espositivo privo di spontaneità.
  • Portare avanti la storia: dopo un dialogo, i personaggi si troveranno in una situazione diversa da quella che l’aveva preceduto e saranno costretti a fare qualche altra cosa. Ecco, dunque, che la narrazione avanzerà di un passo.

Quando scrivere i dialoghi?
Non siamo obbligati a farlo mentre siamo concentrati sull’elaborazione della storia: rischieremmo di non avere ancora ben definito il carattere e le relazioni tra i personaggi. Se lo riteniamo opportuno, possiamo rinviare la scrittura dei dialoghi a un momento in cui la narrazione avrà preso corpo, e con essa i tratti dei protagonisti della storia. Così facendo, le loro battute scaturiranno dalla nostra mente in modo più naturale e verosimile.

Cosa fare quando abbiamo scritto il dialogo?
Rileggerlo ad alta voce. AD ALTA VOCE. AD ALTA VOCE.

Giuliana Salerno


(Sullo stesso argomento, v. anche il link http://eppursiscrive.blogspot.it/search/label/Strumenti)




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