martedì 17 maggio 2011

Le vite degli altri - Racconto di Daniela I.

Parole pescate: racchetta da tennis, quadro, Settimana enigmistica
                                                                    ***
La cameriera Guenda entrò zoppicando nella camera 212. Zoppicava da quando un debosciato le era passato sul piede con la bicicletta, scusandosi a malapena. Ora il piede le faceva un male cane, ma non poteva permettersi di restare a casa dal lavoro, perché da poco era stata ‒ come dire ‒ promossa? e l’intero secondo piano era diventato una sua responsabilità.
  La stanza apparve uguale a tutte le altre, ogni volta che entrava per rassettarle: letto sfatto, asciugamani per terra, cartacce nel cestino, una racchetta da tennis appoggiata al muro… Una racchetta da tennis? La impugnò, pensando immediatamente all’uomo che con tutta probabilità l’aveva comprata e poi dimenticata.
  L’aveva visto già altre volte prendere alloggio nell’hotel e tutti quanti – o forse sarebbe meglio dire tutte quante – l’avevano notato: alto, bello, dai modi gentili, più giovane degli abituali clienti dell’hotel. Un uomo d’affari, senza dubbio, sempre con una valigia ventiquattrore e l’aria terribilmente importante.
  Osservò l’oggetto, che le sembrava di buona fattura, anche se lei di tennis proprio non ne sapeva. Tutto lo sport, in realtà, non le era mai interessato, del resto c’era poco da fare per le sue gambe tozze e il giro vita che lasciamo perdere. Mary la cuoca le aveva raccontato di averlo visto giocare con il proprietario dell’hotel sul campo di terra rossa dietro le cucine, e di come si muoveva elegante e leggero, come i tennisti professionisti.
  Aprì le finestre e poi le ante dell’armadio: la ventiquattrore regnava solitaria fra le pareti vuote. Ormai era chiaro che l’ospite se n’era andato con troppa fretta. Prese la valigia senza pensarci troppo; dopo le pulizie l’avrebbe consegnata, insieme alla racchetta, alla reception. Ma la valigia, con uno scatto, si aprì e da essa fece capolino un piccolo quadro.
   Guenda non resistette, lo prese e si mise a osservarlo: si trattava di un ritratto, uno di quelli che a lei non erano mai piaciuti, forse del Settecento o dell’Ottocento o chi lo sa; raffigurava un uomo, forse un nobile, con la fronte spaziosa, i denti sporgenti, il collo taurino, gli occhi vicini; insomma, un orrore.
  ‒ E dunque, quale lavoro svolgeva il nostro aitante giovanotto? ‒ pensò. Trafficante di opere d’arte? Un ladro? O un semplice intermediario per ricchi collezionisti?
  Guenda si fermò a riflettere: che vita avventurosa doveva avere quest’uomo, al contrario della sua! Possedeva tutto quello che lei non aveva: bellezza, salute, giovinezza, ricchezza. Faceva un lavoro affascinante, che lo portava in giro per il mondo, conosceva l’arte e chissà quali altre cose interessanti.
  Si sedette sul letto, presa dal sogno impossibile di essere la compagna di lui; si immaginò fasciata in un abito elegante mentre trattava il prezzo dell’opera al telefono con il compratore di turno.
  Si risvegliò quando lo sguardo le cadde sul comodino. C’era una Settimana enigmistica, con una penna appoggiata sopra. Prese il giornale e lo sfogliò: era completato in tutte le sue parti. Persino i rebus, che lei trovava così difficili e che la facevano sentire terribilmente stupida. Erano stati tutti risolti, scritti con grafia – anche quella! – bella ed elegante. Lo vide seduto sul letto, mentre risolveva via via tutti i quesiti, compiacendosi della propria intelligenza.
  “Certa gente ha tutte le fortune!” disse ad alta voce, pensando a quanto fosse stato ingiusto con lei il Padreterno. Sbirciò qualche barzelletta con indolenza, cercando di tirarsi su il morale; e stava per buttare la rivista quando, in un angolino, sull’ultima pagina, scritto piccolo piccolo, con grafia bella ed elegante, lesse due semplici parole: voglio morire.
Daniela I.


1 commento:

  1. Brava! E, come si dice, l'apparenza inganna... quanto inganna! (Luogo comune, tanto per restare in tema)

    RispondiElimina