giovedì 5 maggio 2011

Diario del 9° incontro - 30 aprile 2011 - Chi racconterà la mia storia? Il punto di vista

Sono passate in fretta queste due settimane senza l’ormai indispensabile laboratorio di scrittura che ogni sabato alle 15.00 ci porta, sotto l’amabile guida della dolce e severa Giuliana, sempre più addentro ai segreti dello scrivere.
Io, come al solito, non sono riuscita a fare i compiti... Ho anche dimenticato a casa il raccoglitore del corso! Come le mie figlie che, quando sono a scuola, non perdono occasione per inviarmi sms chiedendomi quaderni o chiavi dell’armadietto, di nascosto provo a telefonare a una di loro per chiederle di portarmelo. Tanto lo so che non succederà niente. Fortuna che ho un quaderno per gli appunti e, dentro, un testo che avevo già scritto e non avevo mai consegnato.
“Prof, prof”, chiamo Giuliana e le consegno il testo: per oggi qualcosa ho fatto!  Poi, sempre presa dai sensi di colpa, mi offro volontaria per scrivere il diario di bordo. Il raccoglitore non arriva, ma almeno non prenderò un’insufficienza! Con mia figlia faremo i conti la prossima volta…
Ma forse è il caso che parli un po’ del nostro laboratorio. Siamo pochi oggi, e soprattutto mancano i due baldi corsisti che, però, sappiamo intenti a ricercare prelibatezze gastronomiche dal Nord al Sud dell’Italia: 150 anni dall’Unità d’Italia non sono passati invano.
In attesa del promesso Primitivo di Ulisse iniziamo la lezione, un po’ in ritardo, anche perché fuori un temporale improvviso coglie impreparate alcune di noi.
Come sempre iniziamo con il sommario della lezione: si sceglie lo scrivano volontario del diario e poi tutti al cinema a vedere alcune scene da l’Attimo fuggente. Il professor Keating chiede ai ragazzi di leggere sul libro di testo la definizione ufficiale di poesia e poi li lascia senza fiato incitandoli a strappare quelle pagine dal libro... La poesia nasce dalla fantasia e dal cuore di chi scrive. Vediamo i ragazzi in cortile camminare in fila mentre il professore li invita a cercare la propria strada, il proprio modo di camminare, l’originale punto di vista che rende ognuno unico ed inimitabile.
Oggi sarà proprio questione di punti di vista. Dopo aver rimuginato di ricordi e memorie, aver provato a terminare racconti di grandi scrittori, cercato incipit fenomenali, inventato trame improbabili e fantasiose estraendo bigliettini da magiche scatoline, infilato un povero extracomunitario in un ascensore con un rude muratore bergamasco, oggi proveremo ad esaminare le storie che vogliamo scrivere da vari punti di vista.
Intanto ascoltiamo il racconto di Dina, uno dei tanti che scriverà per i suoi nipotini: è una emozionante descrizione dell’infanzia trascorsa in Svizzera da emigrante e, per un po’, anche da clandestina. La ascoltiamo in silenzio, rapiti anche dalla sua voce calda. Penso che forse ognuno di noi potrebbe avere una storia simile da raccontare: tanti italiani, dal Nord al Sud, sono stati emigranti e spesso clandestini.
Ma torniamo al protagonista di oggi: il punto di vista. Giuliana ci spiega che generalmente si scrive una storia in prima persona (io narrante) o in terza persona, attraverso la voce di un narratore. Ci fa notare, poi, che nel caso dell’autobiografia la voce narrante corrisponde a quella dell’autore (che, normalmente, dobbiamo distinguere dal narratore).
Tra voce narrante e storia ci può essere una distanza più o meno grande: nell’autobiografia autore e narratore tendono a coincidere e la distanza dalla storia è minima. La distanza aumenta se a raccontare la storia, ancora in prima persona, è un “io narrante”, che è il protagonista della vicenda, ma non corrisponde all’autore. È ciò che accade nel racconto di Alberto Moravia, “La parola mamma”, o nei romanzi di Gianrico Carofiglio in cui il personaggio Guido Guerrieri racconta in prima persona vicende di cui è stato protagonista.
Ancora più grande la distanza, se il narratore in prima persona racconta storie di altri: in questo caso chi narra non è il protagonista, ma un personaggio secondario che è stato testimone o partecipe degli eventi. Un esempio lo troviamo nelle storie di Sherlock Holmes raccontate dal fedele dottor Watson nei libri di Sir Arthur Conan Doyle.
Un altro esempio di questa modalità del raccontare è in Moby Dick, il romanzo di Melville nel quale il narratore è Ismael, il marinaio: non è il protagonista della vicenda, ma ne è partecipe e testimone oculare.
Ci sono anche alcuni romanzi in cui il punto di vista cambia nei vari capitoli, ad esempio ne L’urlo e il furore di William Faulkner.
Ma si può anche raccontare la storia in terza persona: è il caso del narratore onnisciente che sa tutto di tutti. Conosce i pensieri e le storie dei protagonisti. Un esempio è dato dai romanzi dell’800, sebbene gli approcci dei vari autori siano comunque variabili: si pensi ad Alessandro Manzoni, che nei Promessi sposi partecipa attivamente alla narrazione esprimendo opinioni e orientando l’opinione del lettore con considerazioni morali; laddove, invece, Gustave Flaubert cerca di nascondersi, lasciando che il romanzo parli da solo. È qualcosa di simile alla distinzione tipicamente anglosassone tra “dire” e “mostrare”. Nell’intento di Flaubert, chi legge dovrebbe dimenticarsi che c’è un narratore e seguire solo la storia.
Esiste anche la possibilità di raccontare in “finta terza persona” (o “terza persona immersa”, o “discorso libero indiretto”). Significa che il narratore decide di seguire un solo personaggio per cui, apparentemente, non è a conoscenza di tutto quello che avviene in altri luoghi e tempi della storia. In effetti la prospettiva è quasi quella della prima persona raccontata, però, in terza persona. Questa scelta permette di mantenere una certa distanza tra il narratore e la storia.
Ovviamente questa scelta, una volta che è stata fatta, deve rimanere coerente e costante, altrimenti si rischia di confondere il lettore.
È anche possibile, più raramente, che il narratore si rivolga al protagonista in seconda persona. Si pensi a Le mille luci di New York di Jay McInerney: “Tu non sei esattamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vedere in un posto come questo a quest’ora del mattino […]”.
Giuliana ci spiega anche i limiti dei vari punti di vista: se raccontiamo in prima persona, la visione è parziale, limitata nello spazio e nel tempo. Senza parlare del rischio di non riuscire a raccontare la storia con il distacco che sarebbe necessario. Uno dei vantaggi è la sensazione di “vicinanza” che si infonde nel lettore, il quale ha la l’impressione che il narratore stia parlando proprio con lui.
Il racconto in terza persona permette, invece, di spaziare liberamente da un personaggio all’altro e di rappresentare la vicenda narrata con oggettività. Uno dei rischi è che la maggiore distanza del narratore dalla storia determini un minore coinvolgimento emotivo da parte del lettore.
Quando scriviamo dobbiamo sempre tenere ben presenti anche i punti di vista dei singoli personaggi, arrivando a metterci nei loro panni e facendoli parlare in maniera autonoma.
Affinché i personaggi prendano vita, sono molto importanti i dialoghi: anche in questo caso bisogna assumere i diversi punti di vista e far sì che le siano le parole e i loro gesti dei personaggi a rivelare chi sono. Il dialogo può essere diretto o mediato dal narratore, che interviene per spiegare o chiarire qualche punto.
E infine scopriamo che la scrittura può avere un forte valore terapeutico: scrivere può portarci a capire il punto di vista degli altri svelandoci le ragioni di comportamenti che nella vita reale abbiamo vissuto come ostili o incomprensibili.
Quante cose mi saranno sfuggite o magari non sono riuscita a definire esattamente… Confido quindi nella vostra voce narrante per tutto quello che posso aver dimenticato.
Gianna R.

4 commenti:

  1. a me sembra completissimo, anzi, grazie per il ripasso :-) Giuliana A.

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  2. Gianna,
    ti ringrazio per la tua relazione così precisa; grazie a ciò che hai scritto ho potuto, in qualche modo, "mettermi in pari".
    Ho notato il tuo riferimento alla mia assenza giustificata alla ricerca di prelibatezze: ti confermo che ho fatto il viaggio di ritorno con i "mustazzoli", i tarallini, le paste di mandorla. Porto anche Prosecco ed il Vino di Ulisse per lubrificare il gargarozzo.
    Dimenticavo un particolare: Giuliana permettendo !!
    Chiedo pertanto qui il Suo permesso e consenso (spero di avere ingolosito pure lei..).
    A presto,
    Stefano.

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  3. Be’, se i convitati si impegnano a impreziosire il brindisi con un’ispirata declamazione a memoria di un paio di canti dell’Odissea, possiamo parlarne. Ovviamente prendo io in consegna le vettovaglie, che elargirò a tempo debito solo se il poema omerico sarà stato degnamente interpretato (in caso contrario, taralli, mustazzoli e prosecco rimarranno sotto sequestro fino a data da destinarsi).
    Giuliana

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  4. Gianna, grazie anche da parte mia (sono l'altro maschietto assente per questioni culinarie) per la piacevole e chiara pagina di diario che hai scritto. Vedo qui confermata l'esattezza del mio commento di qualche giorno fa rispetto alla grande utilità di queste pagine di diario. Porterò due sbrisolone sperando nella benevolenza della nostra Giuliana.
    Ciao a tutte/i
    Marino

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