martedì 10 maggio 2011

Diario del 10° incontro - 7 maggio 2011 - Lingua e stile

Eccomi qui, davanti a questa pagina bianca che deve essere riempita. Il momento tanto temuto è giunto. Potrei dire a Giuliana che mi è venuto il blocco dello scrittore ma penso che non accetterebbe la scusa (anche perché non sono uno scrittore). Insomma mi tocca e… abbiate pazienza.

Ecco il riepilogo della puntata precedente, dal titolo “Il punto di vista”. Prima di iniziare a scrivere una storia, è sempre opportuno domandarsi:        

  • Chi racconterà la storia?
  • A chi apparterrà la voce narrante?
  • Da quale angolazione verrà raccontata la storia?
  • Quali e quanti saranno i punti di vista?

E non mi addentro nell’argomento, perché l’ha già fatto benissimo Gianna nel diario dello scorso incontro.

L’argomento di oggi, “Lingua e stile”, ci rende ancora più consapevoli del significato dello scrivere per altri (e non solo per se stessi).
           
E allora parto da Raymond Carver, al quale viene attribuita la seguente affermazione:

“In definitiva, le parole sono tutto quel che abbiamo,
perciò è meglio che siano quelle giuste.”

Ciò che diciamo può essere modificato, adattato e sfuma nella memoria dell’ascoltatore. Ciò che scriviamo, invece, è lì, nero su bianco. Le parole possono essere utilizzate per comunicare, per esprimere e suscitare sentimenti e possono anche sollecitare il lettore a compiere azioni. Quando le consegniamo a qualcun altro, non possiamo più modificarle. Che responsabilità!

Certo, si può scrivere per se stessi, ma condivido quanto ha detto Giuliana nel secondo incontro:

“I nostri testi, come figli adolescenti, chiedono di uscire e incontrare altre persone…”

Non è sempre facile trovare le “le parole giuste”. Eppure, la lingua italiana annovera tra le 215.000 e le 270.000 unità lessicali. Un italiano ne conosce, all’incirca, 3000 e ne usa 1000.
La televisione ci ha abituato ad un linguaggio snello, veloce, sintetico, spesso povero nella forma. Anche la narrativa di oggi si caratterizza per l’uso di una lingua notevolmente semplificata rispetto a quella utilizzata alcuni decenni fa. Si pensi, ad esempio, all’italiano complesso, spesso tortuoso, ma avvincente del romanzo Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana di Carlo Emilio Gadda o ad alcuni prolissi romanzi dell’800. Trovare il compromesso tra la capacità di sintesi e una forma interessante significa trovare il proprio stile, quello stile che rende un autore riconoscibile tra tanti altri.
A proposito della responsabilità e la cura nell’uso appropriato del linguaggio, Giuliana suggerisce la lettura di due testi di notevole interesse: La manomissione delle parole di Gianrico Carofiglio e  Lezioni americane di Italo Calvino (in particolare, il capitolo dal titolo “Esattezza”).
In questi libri si auspica un uso consapevole e responsabile del linguaggio: le parole non vanno “buttate a caso”, ma vanno pensate e scelte con cura; inoltre, bisogna restituire il significato originario alle parole che oggi sembrano averlo perso. Di più parole conosciamo l’esatto significato, maggiore scelta avremo al momento di comunicare, di raccontare, di dare voce a sentimenti.
Per tornare al saggio già citato di Gianrico Carofiglio, il linguaggio è più sviluppato nelle società democratiche, dove i diritti tendono ad essere riconosciuti uguali per tutti. È interessante anche notare come la “Neolingua” creata dal regime di Oceania nel romanzo di George Orwell 1984 abbia come fine anche quello di diminuire le possibilità del pensiero. “Nella Neolingua” si legge nel saggio di Carofiglio “il numero delle parole viene ridotto al minimo e ogni parola residua viene limitata a un unico possibile significato”.
Essere padroni del linguaggio significa, di fatto, avere maggiori possibilità di controllo della propria vita. Studi scientifici hanno dimostrato che i ragazzi più violenti hanno molto spesso difficoltà lessicali ed espressive: non sono in grado di tradurre in parole i loro pensieri e le loro sensazioni, non riescono a dare un nome al proprio disagio interiore. Di conseguenza, dolore e frustrazione trovano sbocco in comportamenti aggressivi.  

Per venire ad aspetti più pratici sulla scrittura, ricorriamo a una serie di suggerimenti contenuti nel libro di Beppe Severgnini L’italiano – Lezioni semiserie. Tra questi, un acronimo che difficilmente dimenticheremo: P.O.R.C.O.!
Potrebbe sembrare uno scherzo, mentre è, di fatto, un comodo sistema per scrivere in maniera organizzata:

Pensa              (decidi cosa scrivere)
Organizza       (elenca i punti da toccare)
Rigurgita        (butta fuori, senza pensarci troppo9
Correggi         (leggi, rileggi, correggi)
Ometti            (togli tutto ciò che non è necessario)

Torna utile anche ricordare i “Sedici Semplici Suggerimenti”, anche questi di Beppe Severgnini:

  1. Avere qualcosa da dire
  2. Dirlo
  3. Dirlo brevemente
  4. Non ridirlo. Se mai, rileggerlo
  5. Scriverlo esatto
  6. Scriverlo chiaro
  7. Scriverlo in modo interessante
  8. Scriverlo in italiano (è più trendy, baby)
  9. Non calpestate i congiuntivi
  10. Non gettate oggettive dal finestrino
  11. Spegnete gli aggettivi, possono causare interferenze
  12. Non date da mangiare alle maiuscole
  13. Slacciate le metafore di sicurezza
  14. In vista della citazione, rallentate
  15. Evitate i colpi di sonno verbale
  16. L’ultimo che esce, chiuda il periodo

A ciascuno di questi punti Severgnini dedica un capitolo del libro. In aula non c’è tempo per una “carrellata” completa, ma Giuliana insiste, in particolare, sull’opportunità di moderare l’uso di aggettivi e avverbi.
A proposito di “dirlo brevemente”, Giuliana cita ancora Beppe Severgnini: “Scrivere è come scolpire”. Meglio togliere che aggiungere, la lunghezza del testo non conta...
E su questa frase ci invita scolpire il “dialogo impossibile” scritto da Stefano, il quale si sottopone (e sottopone il suo testo) a spuntature di scalpelli e levigature di raspe che arrivano da tutto il gruppo. Nei momenti più dolorosi, trova consolazione solo nel suo compagno Marino.
Ed è proprio Marino, più tardi, a interpretare magistralmente il muratore nel dialogo scritto da Giuliana A.: protagonisti un muratore milanese, per l’appunto, e un cinese bloccati in ascensore. Le differenze di stile, di voci, di tono, di linguaggio dei due personaggi sono così marcate che viviamo dieci minuti di autentico divertimento.
E un altro motivo di soddisfazione arriva, dolce e gustoso, a portar conforto. Il gruppo si ritrova tra una fetta di sbrisolona, una cartuccia, dolcetti pugliesi vari, un bicchiere di vino e… il passato è dimenticato.
La scrittrice Anna Martinenghi verrà a trovarci il 21 maggio, ultimo giorno di corso.
E noi, cosa faremo nei sabati a venire? Ci mancherà sicuramente questo appuntamento settimanale!

Marina A.




1 commento:

  1. Ma mi avete tenuto da parte qualcosa? Intanto mi consolo leggendo questa bellissima pagina del diario di bordo. Ciao G

    RispondiElimina