giovedì 19 maggio 2011

Il bambino con i sassi in tasca - Racconto di Laura F.

Penso al bambino che sei stato.
Al Puccio che non ho conosciuto, ma di cui mi hai detto…
È un mattino di febbraio degli anni ’50, con l’aria fresca e aspra che segue  una notte ripulita dal vento. L’arco rosato delle montagne, in lontananza, fa da sfondo alla cascina. 
Ti eri svegliato di colpo, nel buio, per lo sbattere secco di una persiana e ti eri alzato, incuriosito, ad ascoltare il respiro della vecchia casa e ad osservare l’aia illuminata dalla luna. 
Il cane dormiva, il lungo corpo abbandonato sotto il tuo sguardo: hai sorriso al pensiero della limpida giornata che vi attendeva, con i primi sentori di primavera. 
Ma il freddo della stanza buia ti attanagliava piedi e caviglie: svelto ti sei infilato nel calore sicuro del letto. I tuoi pensieri si son fatti confusi e sei ritornato a dormire, nell’immaginario dei sogni.
Era la carezza della mano nota della mamma quella che ti ha svegliato, il mattino dopo, come tutte le mattine della tua infanzia; sua la voce premurosa e sollecita che t’invogliava ad alzarti. La scuola ti aspettava! 
Nella grande cucina al pianterreno fumava la tazza di caffellatte col pane; i sassi – tratti dalla stufa – erano pronti ad esser messi nelle tasche del tuo cappotto, così che ti potessi scaldare almeno le mani lungo il tragitto verso la scuola.
Avresti tenuto duro contro il freddo, voltandoti una sola volta a guardare l’imponente cascina che lasciavi là a destra. Il tuo sguardo già correva alla lunga strada bianca diritta, sul cui fondo si stagliava il nostro campanile, punto di riferimento di tutta la Bassa bergamasca, da sempre.
Attento e curioso, prendevi idealmente nota dei grossi platani che si allineavano lungo i fossi, con i sottili rami che disegnavano una raggiera sopra di te, contro il cielo luminoso di quel freddo mattino di fine inverno. I campi, punteggiati dai casotti dei contadini, mostravano larghe pozzanghere 
alternate ai solchi di terra corposa, pronta a ricevere le nuove sementi.
Lungo il cammino quotidiano, Puccio è pensieroso: un’occhiata al becchettio dei passeri e al baluginare dei pallidi fiori primaverili. 
A volte sente la rabbia mordergli il cuore. 
A volte è invece un acuto senso di malinconia che lo fa sentire tanto solo quanto intirizzito. 
Ma poi tocca i sassi caldi, in tasca, e sorride al pensiero della mamma, delle sue premure e del suo amore…
Sono insolite in un bambino, invece, le riflessioni che giungono a fargli compagnia lungo il suo faticoso cammino: vorrebbe proseguire la marcia oltre la scuola, percorrendo strade diverse, sino ai treni che portano in vite, città e mondi sconosciuti. Quelle idee che gli frullano in testa son come presagi della sua vita futura: Puccio sente dentro una grande energia che vuol vivere, un’accentuata sensibilità che lo muove. Desidera andare oltre un’esistenza che già avverte molto stretta, addosso.
Puccio è rimasto in te: con lui fai ancora i conti, con lui a volte mi sembra d’avere a che fare…
Credo comunque che nulla del bene che ti è stato donato nel’infanzia sia andato perso.
Quel mondo vive in te e in ciò che fai: io osservo, ti guardo, comprendo.
Laura F.



2 commenti:

  1. Bella. Molto delicata e poetica. Mi è piaciuto anche il rivolgersi direttamente a Puccio, passato poi al discorso al lettore con ritorno finale diretto ancora a Puccio. L'ho trovata estremamente rilassante.
    Ciao

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  2. Ciao io non riesco a leggere bene il testo. Sarà un problema del mio computer? G

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